giovedì 5 settembre 2019

La Basilicata contemporanea. 30. Fatalità: da una lettera di Nitti a Fortunato

Noi che non crediamo alla vita futura, e che sappiamo che la vita e la morte non sono termini assoluti, ma fenomeni di natura identica, un avvicendarsi e un sostiuirsi scambievole, noi non dobbiamo, mio caro Giustino, credere alla fatalità.
Se io avessi creduto ad essa non avrei lottato e non lotterei contro difficoltà quotidiane, in ambiente dove nessuno sforzo di bontà e di amore porta i frutti che dovrebbe. Tante volte io pure son preso dallo scoraggiamento. Ma una voce interiore mi dice sempre: lotta e credi. Non ridete di ciò che io vi dico. Ma, ogni giorno che passa, io mi convinco che non vi è nulla che sia compiuto con amore, che non dia risultato. 
(...) Nulla si perde. Se vi accasciate sotto la fatalità, che cosa altro vi resta che uno sterile rimpianto? Voi non fate che rimpiangere ciò cui non potete più credere: rimpiangete la fede religiosa, cioè la illusione; rimpiangete il misticismo scemante, cioè la illusione che si dilegua. Voi non concepite la realità. Avete troppo nel vostro cuore e nella vostra anima il difetto della educazione antica. Non abbandonate la illusione cattolica che tutto si possa fare, se non per l'illusione pessimista, che nulla si possa fare.
(...) Nella vita dei popoli, come nella vita degli individui, non vi è nulla di più malefico della illusione pessimista. L'idealismo rivoluzionario, per quanto dannoso esso sia, vale cento volte di più.
Questa è la mia convinzione tenace, senza di cui non lotterei e non amerei: sento, che se non l'avessi la mia esistenza non avrebbe scopo e la mia opera sarebbe vana.
FONTE: G. Fortunato, Carteggio. 1867-1911. a cura di E. Gentile, Roma-Bari, Laterza, 1978, vol. 1, pp. 41-43 (con tagli) - Lettera di F. S. Nitti a Fortunato del 12/2/1896.

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