giovedì 9 novembre 2023

La cultura meridionale. 4. Fra tradizione e modernizzazione: il “Saggio storico” di Giuseppe Maria Arrighi (1809-1813)

Il Saggio Storico per servire di studio alle rivoluzioni politiche e civili del Regno di Napoli dell’Arrighi (Napoli, Stamperia del Corriere, 1809 [vol. I-II] 1813 [vol. III]), fu definito da Croce, al pari delle opere del Botta e del Colletta, come un’opera di «storiografia anacronistica», rivolta a considerare il passato con le lenti deformanti del presente.

Giuseppe Maria Arrighi, nato nel 1769, si recò a Napoli su invito di Cristoforo Saliceti, ministro di polizia di Giuseppe Bonaparte. Ritornato in Corsica nel 1815, vi morì nel 1834. Arrighi (probabilmente còrso, in quanto dedicò l’opera al patriota Pasquale Paoli) era, peraltro, stato già autore de La felicità, i diritti e le virtù sociali nella cattolica religione (in Roma, per Michele Puccinelli a Tor Sanguigna, 1794), nella quale, pur imbastendo una polemica anti-illuminista a difesa del papato, si era distinto per una notevole conoscenza dei philosophes, citando ampiamente La Mettrie, Helvetius, Bayle.

Con tale background, Giuseppe Maria Arrighi compose una storia che, arrivando al gennaio 1799, si imperniava su quello che Criscuolo ha definito come una sorta di “monarchismo repubblicaneggiante” nel quale, rivalutando – sulla scorta del Muratori – il regno longobardo ed ispirandosi al repubblicanesimo classico nell’esaltare le repubbliche medievali, il sovrano veniva inteso come garante della libertà del popolo. In tale ottica, l’Arrighi propugnava una monarchia ispirata al modello romano, nella quale la concessione delle libertà civili si unisse al compito di formare una coscienza ‘nazionale’ anche grazie al ruolo dell’esercito. 

Tuttavia, proprio su tali premesse, si può evidenziare come, nel III volume del Saggio, nell’ambito di una riflessione sul problema del «carattere nazionale» come base verso un’indipendenza italiana, comparissero alcune critiche al modello militare napoleonico, visto come eccessivamente professionalizzato e poco legato al tessuto cittadino, pur se l’Arrighi riconosceva, fin dalla prefazione, il regno di Murat come un’importante occasione di modernizzazione per il Regno di Napoli.

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