giovedì 25 gennaio 2018

Bibliografie essenziali. 26. Fardella 1704-2004: tracce di storia, a cura di A. Appella e A.Latronico, Potenza, Consiglio Regionale della Basilicata, 2007

APPELLA ANTONIO
Testimonianze d'antichità nel territorio di Fardella (p.39-56)
BRANCO LUIGI
Il territorio di Fardella nelle "vite" dei santi italo-greci e del B. Giovanni da Caramola (p.57-62)
PERCOCO GIOVANNI
Spigolature tra documenti editi e inediti riguardanti Fardella (p.63-70)
ELEFANTE FRANCESCO
Fardella: dalle origini al 1861 (p.71-84)
MAZZARESE FARDELLA ENRICO
I Fardella attraverso i secoli (p.85-92)
ANDRISANI PIETRO
Aurora Sanseverino mecenate: suo contributo allo sviluppo dell'Opera in musica di Scuola Napoletana (p.93-120)
DE SALVO VINCENZO
Quadri storici della famiglia De Salvo nei secoli XVIII e XIX (p.121-128)

giovedì 18 gennaio 2018

Bibliografie essenziali. 35. Tursi. La Rabatana, a cura di C. D. Fonseca, Matera, Altrimedia Edizioni, 2004

FONSECA COSIMO DAMIANO
Introduzione (p.11-18)
PELLETTIERI ANTONELLA
"...Et per Sarracenos casali S. Jacopi". Gli insediamenti islamici in Basilicata (p.19-32)
MONTESANO NICOLA
Tursi. Alle radici del toponimo Rabatana (p.33-44)
BISCAGLIA CARMELA
La forma urbis della Rabatana di Tursi. Il processo evolutivo della città e il suo contesto storico attraverso le fonti notarili dei secoli XVI-XVII e i carteggi dell'Archivio Doria Pamphilj (p.45-74)
COLESANTI GEMMA
Aspetti della vita economica del territorio di Tursi attraverso alcuni documenti inediti (1473-1488) (p.75-82)
DEROSA LUISA
Una città dimenticata. Note per uno studio sulla Rabatana di Tursi dal Medioevo all'Età Moderna (p.83-114)
POTENZA MARIA ROSARIA
Ricerca aerofotogrammetrica con studio analitico e produzione cartografica del "Quartiere Rabatana" di Tursi (p.115-124)
GERALDI EDOARDO
Ambiente naturale e ambiente costruito. Antichi legami spezzati tra uomini, terra e acqua nel cuore dell'abitato della Rabatana di Tursi (p.125-150)
LIONETTI BRUNA
Il rilievo come base dell'indagine conoscitiva della Rabatana. S. Maria Maggiore - Comparto urbano in via Goldoni - via Novelli - Palazzo Labriola (p.151-156)
MASINI NICOLA
Analisi del lessico costruttivo della Rabatana di Tursi. Un contributo per la redazione di un codice di pratica (p.157-210)
GAUDIANO MARIA LUCIA
Lettura delle strutture edilizie nella Rabatana di Tursi. Il tipo edilizio nel tessuto urbano (p.211-222)
PALOMBA MARIA BRUNA
Chiesa di Santa Maria Maggiore in Rabatana. Gli interventi del XX secolo (p.223-246)
GERALDI EDOARDO - RADICCHI PINA
Metodologie avanzate di indagine basate sull'infrarosoo. Lo studio del Patrimonio Culturale: Analisi T/IR sulla Chiesa Collegiata di Santa Maria Maggiore della Rabatana di Tursi (p.247-256)
GIZZI FABRIZIO TERENZIO
Il quadro sismico e la pericolosità di sito nel contesto della vulnerabilità (p.257-286)
LAZZARI MAURIZIO
Rischio geomorfologico relativo e dissesto idro-geologico dell'area urbana di Tursi: naturale o antropogenico? (p.287-304)
GIZZI FABRIZIO TERENZIO - MASINI NICOLA
Il terremoto irpino del 23 novembre 1980 a Tursi. Dal dato parametrico a quello descrittivo (p.305-316)
PALOMBA MARIA BRUNA
Incidenza degli eventi alluvionali sul tessuto urbano e sul comparto via Goldoni - via Novelli (p.317-330)
DELLI SANTI MAURIZIO
GIS per la catalogazione, gestione e valorizzazione della Rabatana di Tursi (p.331-336)
LIONETTI COSIMO - SGURA VINCENZO
Il software esecutivo per la catalogazione integrata della Rabatana (p.337-340)
PISCOPO SABINA
Appendice: Lettera a un viaggiatore (p.353-372)

giovedì 11 gennaio 2018

Paesi lucani. 42. L'Università di Muro

In età moderna, a Muro, in pubblico parlamento, il popolo procedeva all’elezione di due Mastrogiurati, due sindaci e quattordici persone per eletti; di questi se ne faceva una lista che si portava al padrone, il quale dei detti due mastri giurati ne eleggeva uno, dei due sindaci ne eleggeva uno e delle quattordici persone ne eleggeva sette per eletti.
Al Mastrogiurato – figura tra le più importanti dell’Università – era affidata la pubblica sicurezza della Città: possedeva la facoltà di punire le guardie quando non prestavano servizio, di sostituirle con altre quando gli impedimenti fisici ne condizionavano la presenza; in caso di assenza del Governatore (o Giudice), prendeva le redini dell’amministrazione con il nome di Luogotenente, si prestava a Mastro Mercato durante la Fiera di S. Quirico e a custode dell’Archivio comunale; regolava i donativi dello sposo nei matrimoni a seconda della quantità della dote ma, soprattutto, presiedeva i pubblici Parlamenti e formulava le proposte.
Il Sindaco – responsabile dell’amministrazione economica e finanziaria della città – prestava servizio insieme a quattro Eletti: il Capo Eletto, il Catapano o Grassiere, il Portolano e il Segretario. Il primo affiancava il Sindaco e ne faceva le veci in caso di assenza; il secondo vigilava sui macelli, le cantine, le pizzicheriecon l’incarico di imporre l’accisa sui commestibili; al Portolano erano affidate le pulizie delle strade e il Segretario – cui erano subordinati tre uscieri – completava il personale dell’amministrazione svolgendo varie funzioni di utilità.
 Questi magistrati, chiamati Baiuli, venivano eletti – eccetto il Portolano che era scelto dalla Regia Camera sulla terna proposta dall’Università – ogni anno, di solito nella stagione estiva e durante i giorni festivi. Tutti erano elettori: esclusi soltanto le donne, i fanciulli, i debitori dell’Università, gli infami per condanna o per mestiere.
Le elezioni e il pubblico parlamento si tenevano in piazza S. Marco, dove tutti i cittadini, previo invito del banditore che per tre giorni di seguito correva per la città, convenivano al tocco della campana: a seconda del tempo, i componenti del Governo sedevano all’aperto, intorno alla Pietra del Pesce o sotto il porticato dell’antica Taverna; alla fine di ogni seduta, il Cancelliere, servendosi della suddetta Pietra come piano d’appoggio redigeva il verbale o conclusione dell’assemblea.
Ma questi due luoghi d’esercizio del potere furono solo dimora temporanea dell’Università: sebbene tra i Governatori e la Taverna vigesse una sorta di convenzione (consistente in un alloggio gratuito, una sala per l’amministrazione della giustizia, una stalla per il cavallo e un carcere temporaneo per i detenuti), il disbrigo degli affari si teneva, già agli inizi del Seicento, nella sagrestia della Chiesa dell’Annunziata dove era custodito anche l’archivio dell’Università. Un nuovo edificio, poi, di cui si face menzione nel primo articolo dei Capitoli della Taverna, con il nome di Dohana nova, sorse a breve distanza dalla Taverna, sulla strada di S. Maria Viapiana, dirimpetto alla chiesa dell’Annunziata e al palazzo Marolda. Venne su con porzioni grandiose e i suoi portici abbastanza spaziosi si prestavano meravigliosamente a contenere governo e popolo quando si tenevano comizi e parlamenti.
Secondo la rivela del 1746, dopo che il terremoto del 1694 distrusse la nuova sede che cadde insieme alla chiesa dell’Annunziata, l’Università prese in fitto per 92 ducati una casa di otto stanze, due delle quali adibite a carcere.
Tutti i magnifici componenti del governo percepivano uno stipendio; da un bilancio dell’Università del 1738 veniva chiaramente espressa ciascuna provvisione: al Sindaco spettavano quindici ducati, al Capo Eletto per la numerazione degli animali e la formazione del libro delle tasse, e al Cancelliere, 10 ducati; ai tre uscieri ventinove e al Mastrogiurato spettava la più alta provvisione di trenta ducati.
Anello di congiunzione tra l’Università e la potestà feudale era il Governatore, nominato ogni anno dal conte che si raccomandava di scegliere «huomo di spata e cappa» per elevarlo a «Dottore in Lege, privilegiato, attalchè la Guiustizia habia suo effetto senza exceptione di persona».
Al Governatore rispondevano i Giudici della Bagliva che se inizialmente erano collettori universali delle rendite demaniali e feudali, dell’esazione delle rendite e dell’amministrazione della giustizia, videro in poco tempo ridurre la propria influenza al semplice «decidere simpliciter et de plano le cose appartenentino alla Bagliva» ossia a rendere giustizia su quel complesso di consuetudini e di usi, che raccolti ed ordinati sotto il nome di Capitoli, Capitolazioni o Statuti, ebbero vigore di legge, poiché sanciti e confermati dal feudatario .
Non solo erano obbligati a rendere giustizia entro otto giorni dalla querela ma per ogni ritardo o obiezione erano passibili di una multa di quindici carlini. Non appena gli uscieri della «Corte Bagliva» coglievano in flagranza i contravventori, o anche animali domestici senza padrone che mettevano guasto nei seminati, negli orti, nelle vigne, erano tenuti a riferire subito ai giudici e attendere gli opportuni provvedimenti.
Le denunce, però, si accettavano solo se corroborate dalla testimonianza di individui presenti al fatto; il solo padrone del fondo in cui era avvenuto il danno non poteva nulla, neppure se fossero stati visibili i segni del danno sofferto e se il suo asserto fosse stato suggellato da giuramento.
I due giudici della Bagliva non percepivano stipendio; erano eletti annualmente dal popolo e la loro retribuzione consisteva in una quota parte degl’introiti per le multe inflitte ai contravventori; per questo non mancavano abusi: bollavano ai mugnai le stadere e le bilanci, con le quali pesavano il grano e le farine, nonché le cosiddette «misure» per riscuotere la molitura o quel tanto di sfarinato che gli spettava per compenso; bollavano altresì le Caraffe ai Cantinieri; e qualora i mugnai e cantinieri erano sorpresi in fallo dai Baglivi, che avevano l’obbligo di sorvegliare mulini e cantine, pagavano per multa due tari.
La Bagliva, dunque, non sempre introitava denaro per ripartirlo secondo le norme stabilite e molto spesso tutto quel che si riceveva restava ad esclusivo beneficio dei Giudici e degli Uscieri: se ad esempio, il proprietario di un terreno, di un vigneto, di un orto, vi trovava dei maiali che mandavano tutto a male, secondo gli articoli 53, 54 e 58 degli Statuti, poteva ucciderli ed impadronirsi della carne a patto però che consegnasse, per ogni maiale ucciso, un prosciutto ai Giudici e la testa agli Uscieri.
Le contravvenzioni, poi, rispetto al danno fatto dagli animali, non si applicavano con eguale misura su tutti i terreni dell’agro murese: le pene e le multe maggiori venivano applicate per i danni che si producevano negli orti e nei vigneti, ragion per cui, l’articolo 66 dei Capitoli prescrisse ai pastori di starne lontani con i loro greggi; ma per evitare ulteriori questioni, l’Università istituì di procedere ogni anno alla Difesa delle vigne: una commissione di quattordici individui tra mandriani ed agricoltori aveva il compito di tracciare in modo stabile e definitivo le linee da rispettare.
I feudatari facevano costantemente leva sull’Università per rafforzare i loro interessi economici tanto che, un po’ per volta, vennero abolite le antiche consuetudini: i magistrati furono spogliati di ogni prestigio, gli Orsini nel Seicento tolsero la carica di pubblica sicurezza al Mastro Giurato per affidarla ai loro “Barricelli”, aggregarono la Portolania alla Corte e fecero controllare il Catapano dall’Erario comitale.
L’Università, dunque, non era che un altro strumento nelle mani dei potenti, un punto di riferimento di sola facciata, incapace di rivendicare i diritti del popolo contri gli abusi e le usurpazioni; perfino i lunghi procedimenti penali cui l’Università era costretta ad appellarsi non riuscivano a rendere giustizia: dal 1572 al 1806 l’Università di Muro tenne con quella di Castelgrande e con i conti Orsini una vertenza per il possesso dei demani compresi nei loro territori; molte volte, per pareggiare i bilanci – indeboliti da uscite, destinate, per la maggior parte al Signore – era costretta a tassare i cittadini sui generi alimentari, effettuare prestiti, concedere in pagamento alcuni diritti sul terratico del demanio .
Le uscite superavano le entrate perché il Signore imponeva continuamente nuove tasse come i 1450 ducati l’anno per la rendita del feudo, e perché gli interessi spesso superavano la somma dei prestiti stessi.
Gli Orsini, per aumentare il patrimonio fondiario, utilizzavano tutte le risorse derivanti dai poteri feudali nell’usurpare le terre pubbliche oppure nell’obbligare i singoli proprietari a vendere le terre private; costrinsero i vassalli a servizi personali gratuiti, esercitando sulla popolazione un continuo terrore di cui la giurisdizione era lo strumento principale; addirittura, quando l’Università nel 1737 inoltrò al duca la richiesta di annullamento delle le elezioni fatte «contra formam iuris», senza il consenso del popolo e l’emanazione dei «banni», trasferì il pubblico carcere nelle sue stanze esercitando inimmaginabili forme di tortura.

BIBLIOGRAFIA

L. MARTUSCELLI, Numistrone e Muro Lucano. Note appunti e ricordi storici, Napoli, Tipografia Pesole, 1896
M. A DE CRISTOFARO, Muro Lucano nell’età moderna e il suo archivio diocesano, Venosa, Osanna, 1989

giovedì 4 gennaio 2018

Bibliografie essenziali. 36. Zanardelli e la Basilicata cento anni dopo, Potenza, Consiglio Regionale della Basilicata, 2003

CASERTA GIOVANNI
Giuseppe Zanardelli: un viaggio nella terra in cui la pazienza fu più grande della miseria (14-30 settembre 1902) (p.23-62)
CORSINI PAOLO
Vita e opere di uno statista liberale (p.63-71)
DE RUGGERI RAFFAELLO
Intervento (p.73-82)
TAMBLÉ DONATO
Le fonti archivistiche relative al viaggio di Zanardelli in Basilicata: l'Archivio Centrale dello Stato (p.83-104)
VERRASTRO VALERIA
Le fonti archivistiche relative al viaggio di Zanardelli in Basilicata: l'Archivio di Stato di Potenza (p.105-116)
D'ANDREA GIAMPAOLO
Il Mezzogiorno, la Basilicata e Zanardelli (p.117-133)
MARTIELLO DONATO
Zanardelli e Fortunato (p.135-142)
GAETANI D'ARAGONA GABRIELE
Intervento (p.143-147)
SAVINO NICOLA
Intervento (p.149-150)
CESTARO ANTONIO
Conclusioni (p.151-158)
ZANARDELLI GIUSEPPE
Discorso pronunciato a Potenza il 29 settembre 1902 (p.159-169)

Le perle lucane. 3. Lagopesole

«Lo stile somiglia a quello di Castel del Monte presso Andria, ma tranne pochi ornamenti alle finestre, archi di porta e cornicioni non esis...