Il percorso dei democratici valdagrini del 1848 partì da Gallicchio e Missanello, proseguì alla volta di Armento, Montemurro ed per ultima Corleto, comune dove gli schieramenti si sarebbero uniti anche a rivoltosi di Anzi e Laurenzana.
Giambattista Robortella, supportato da Rocco De Petrocellis e Giambattista Robilotta, capitano della Guardia Nazionale di Gallicchio, aveva tessuto una trama corporativa radicata. La fase processuale svoltasi a Corleto a partire dal 1 agosto 1849 evidenziò il progetto di una rete Corleto-Anzi-Laurenzana. Il Robortella convinse Domenico Asselta di Laurenzana a sposare la sua causa; Asselta era a capo dei progressisti locali e mise a disposizione a suoi uomini. I suoi emissari si recarono a Corleto col chiaro intento di “sovvertire” l’ordine dello Stato . I contatti con la popolazione furono ininterrotti: il Robertella e altri tre commissari batterono il territorio con grande costanza, inneggiando alla repubblica e osteggiando teorie e tesi ultraliberali cercando di arruolare uomini: «dobbiamo partire tutti, tutti dobbiamo partire, stiamoci allegramente che saremo liberi, e la forma del governo dev’essere quella che diciamo noi, non vogliamo più il Re» .
Altre testimonianze confermano l’audacia del Robertella che, giunto a Corleto nel mese di giugno del 1848, organizzò un gruppo armato con l’intento di spostarsi su Potenza per fare causa comune con il governo provvisorio e difendere l’imbocco sul Marmo . Egli sfruttava propizie argomentazioni per la sua causa: sosteneva che già in molti e in particolare da Avigliano si erano spostati con le armi nel capoluogo. Raccontava dei rapporti che avrebbe intrapreso con la Calabria fino ad arrivare materialmente ad addestrare alcuni uomini alle armi. I frutti raccolti tuttavia furono pochi; infatti, come testimoniava il proprietario corletano Carlo Guerrieri,
in luglio poi vennero sotto 200 persone armate di Gallicchio e Missanello, guidate dal detto Robertella, da R. Rocco De Petrocellis e da Giambattista Robilotta e si pretese che anche qui esse prendessero le armi e si partisse con loro per Marmo a difendere il governo provvisorio in Potenza; qui non trovarono aderenti […] la massa di quella gente non progredì ed invece tutti se ne tornarono nel seno delle loro famiglie .
Poco dissimile risulta la ricostruzione riportata dal sindaco di Corleto Francesco De Palma, che, interrogato dal giudice Florio, confermò il passaggio di una colonna di uomini armati, circa un centinaio, diretti verso Montemurro. Il De Palma diede informazioni anche su Laurenzana, Calvello e Anzi, dove in numerosi si erano radunati in attesa degli insorti valligiani comandati dal “triumvirato” Robertella-De Petrocellis-Robilotta. Alcuni armati democratici alloggiarono presso Corleto, a casa di don Carlo, mentre a Sarconi fu ospite Robertella ed altri trovarono sistemazione presso Pietro Lacava, capitano della Guardia Nazionale. Il Sindaco, tuttavia, non era estraneo ai fatti, come dimostra la circostanza che si sarebbe consultato con i vertici militari locali. Si discusse sulla possibilità di unirsi alla massa in marcia; le idee furono contrastanti, ma si scelse di pazientare: volevano conoscere le intenzioni delle località più popolose e prossime al capoluogo .
Tentativi di contatto avevano coinvolto nello stesso periodo del 1848 anche Roccanova. De Petrocellis aveva ottenuto il supporto di Roberto Marotta di Roccanova, a capo degli uomini di idee democratiche dell’area. Il carteggio tra il Marotta e De Petrocellis aveva ottenuto i risultati sperati, dato che il primo aveva dato il suo beneplacito ad intervenire, dichiarandosi pronto a partire con i suoi uomini. Il supporto del Marotta, comunque, andò oltre, considerato che prese immediatamente contatti con Domenico Giura a Chiaromonte, alla ricerca di ulteriori collaboratori . Del resto, il Robertella stesso aveva rapporti con Roccanova, confermati dal fatto che, al ritorno dalle Calabrie nel 1848, si fermò in tale centro per incontrare Prospero Fortunato .
Interessante testimonianza ad Armento era data dal sindaco Michele Mazziotta, che ammetteva di aver incontrato, nel luglio del ’48, i fomentatori della marcia: tuttavia, il Mazziotta si difese sostenendo di aver sì preso contatti con i rivoltosi, ma solo con l’intenzione di offrire loro vitto durante la loro sosta ad Armento e, interrogato sulla promessa di uomini al Robertella, dichiarò di essere all’oscuro dei fatti e, altresì, di non sapere chi dei suoi concittadini avesse offerto loro tale aiuto .
La testimonianza del Mazziotta era confermata dalla deposizione di Paolo Ambrosini, capitano della locale Guardia Nazionale, che confermava il passaggio del drappello composto da circa cento uomini, il cui comandante, appunto il Robilotta, fu fermato dal sindaco ed intavolò con quest’ultimo una discussione animosa. Il Mazziotta avrebbe offerto riposo e ristoro ai soldati, ma la risposta che ricevette fu scortese e dettata dalla rabbia:
Il Mazziotta replicò l’offerta degli alloggi. Ma il capitano, guardandolo in cagnesco, esso deponente, rispose che nulla mancava alla sua gente ed aveva come sovvenire anche gli altri compagni. Dopo breve dimora in questo comune gli armati ripresero la marcia verso Montemurro e nei giorni seguenti giunse a sua notizia, non rammenta da chi, che la suddetta gente armata, delusa nelle speranze concepite di aver rinforzo in Armento, si era partita indignata ed aveva minacciato di portare sacco e fuoco a questa patria .
Il passaggio ad Armento, non accompagnato, differentemente dalle aspettative, dall’aumento di unità del contingente armato che era partito da Gallicchio e Missanello, fu il mancato anello di congiunzione e di fatto condizionava l’entusiasmo dei partecipanti che, scoraggiati dall’attesa e mancata offerta di aiuto, non trovarono la forza di spostarsi da Montemurro alla volta di Anzi e Laurenzana, centri nei quali la cultura democratica aveva fondamenti più radicati e dove la risposta sarebbe risultata energica e decisiva alla volta del Marmo .
La nottata successiva al passaggio del Robertella e del De Petrocellis in Armento gli armati si spostarono, comunque, verso Montemurro. La notizia dell’arrivo in tale comune di circa duecento stranieri fu subito alterata dalla diffusione orale, dato che i montemurresi si convinsero erroneamente di essersi imbattuti in uomini provenienti dalla Calabria e dal Cilento. Solo il mattino seguente, alle prime luci dell’alba, effettivamente scoprirono la verità, ossia che il manipolo che si era rifugiato nel comune era composto dalla «Guardia Nazionale di Gallicchio e Missanello, condotti dai loro rispettivi capitani ed ufficiali e che si erano ricoverati nella casa del giudice Regio di allora, sig. Golisciani, da cui costantemente si diceva esser poi chiamati» .
Il sindaco di Montemurro, il barone Michele Nitti, informato della presenza dei facinorosi, avrebbe voluto conoscere i loro intenti, riuscendo a sapere che volevano far marcia su Potenza per supportare il governo provvisorio. La maggioranza dei cittadini era avversa a partecipare e, anche dopo che il sindaco parlò in un circolo improvvisato per decidere il percorso da seguire, la popolazione non volle partecipare e il Nitti si sarebbe prodigato per riportare la calma in quei pochi facinorosi presenti .
La marcia fallì definitivamente quella notte, dato che i tentativi disperati di trovare supporto a Corleto e Spinoso non diedero effetto positivo . Il fallimento di Montemurro colpiva l’orgoglio già ferito dopo la disfatta morale di Armento. La ragione, comunque, prevalse e si decise di non viaggiare verso Potenza e il Marmo.
FONTI: ASP, Atti e processi di valore storico,
cart.101, fasc. 1 (1852).