Primogenito di Francesco, duca di Andria, e di Sancia di Chiaramonte, contessa di Copertino, sorella della regina Isabella, moglie di Ferdinando d'Aragona, nacque probabilmente nei feudi paterni in data imprecisata.
La moglie, Maria Donata Orsini, figlia di Gabriele, contessa di Montescaglioso, gli portò in dote uno Stato ricchissimo, costituito da città e terre, fra cui Acerra, Guardialombarda, Lacedonia, Lavello, Venosa con il titolo di duca, Ruvo, Carpignano, Galatone, Minervino e naturalmente Montescaglioso. Per questi possedimenti Alfonso d'Aragona gli dette l'assenso alla successione il 10 giugno 1454. Dalla moglie, - morta nel 1481 - il D. ebbe Federico (che prese in moglie Costanza d'Avalos) premortogli, Isotta Ginevra, moglie del gran senescalco Pietro Guevara, marchese del Vasto, Antonia, moglie di Giovan Francesco Gonzaga, e Isabella, che sposò Federico d'Aragona.
Quando iniziò la guerra di successione fra i baroni ribelli e il bastardo di Alfonso d'Aragona, Ferdinando, destinato a succedergli, il D. con il padre si mantenne fedele all'Aragonese e prese le armi per sostenerlo. Dopo la rotta di Sarno (7 luglio 1460), il D., insieme con Iñigo de Guevara e Alfonso e Iñigo d'Avalos, fu inviato con 400 cavalli a presidiare la sua terra di Acerra, che trovandosi a poche miglia da Napoli costituiva un'importante posizione strategica, sia rispetto a Napoli sia rispetto alla strada per Capua. Circa due anni dopo era ad Andria, insieme con il padre, quando vi fu assediato dallo zio della moglie, il potente feudatario Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, principe di Taranto, aderente al partito angioino. I continui bombardamenti la mancanza di vettovaglie e l'impossibilità di un aiuto esterno portarono alla resa della città, da cui però il D. era fuggito poco prima. L'Orsini allora si volse contro Minervino, ove era la moglie del D., Maria Donata, asserragliata nella fortezza. Anch'essa poco dopo dovette cedere allo zio e non fu trattata generosamente perché, presa prigioniera, mentre il presidio veniva trucidato, fu rinchiusa insieme con i figli a Spinazzola. Riacquistarono la libertà non molto più tardi, allorché, dopo la vittoria di Ferdinando d'Aragona a Troia (18 ag. 1462), l'Orsini si accordò con il re.
Il 10 ag. 1464 il sovrano donò al D. Ginosa, in Terra d'Otranto, che era stata confiscata al ribelle Guido Moliterno, e pressappoco nel medesimo periodo gli concesse Bisaccia; morta la madre, nel 1468, gli confermò il possesso dei feudi materni. Si hanno poche e sporadiche testimonianze dell'attività successiva del D. sia pubblica sia privata. Nel settembre del 1477, comunque, partecipò alla cerimonia dell'incoronazione della nuova regina, Giovanna d'Aragona, sorreggendo il globo d'oro. Prese parte anche alla guerra d'Otranto, durante la quale ebbe un fatto d'arme a Rocca, che portò all'uccisione di settanta turchi, i quali stavano facendo rifornimenti. Forse anche come riconoscimento di quest'altra sua prova di fedeltà, il 3 nov. 1482 il D. ricevette il titolo di gran connestabile e ottenne su Altamura, da lui acquistata poco prima per 27.000 ducati il titolo di principe. Doveva esercitare anche le funzioni della sua carica, tanto che durante la guerra di Ferrara il re gli scriveva annunciandogli la prossima partenza della flotta napoletana verso le coste pugliesi. Tuttavia i provvedimenti presi dal D. non poterono impedire la caduta di Gallipoli nelle mani dei Veneziani. Quando nel novembre del 1484, dopo la pace di Bagnolo, il duca di Calabria ritornò a Napoli, facendovi un ingresso solenne e minaccioso, il D. fu uno dei baroni che lo accolsero.
Con ogni probabilità il D. partecipò nella primavera del 1485 alla riunione di baroni a Melfi in occasione del matrimonio di Troiano Caracciolo con Ippolita Sanseverino, che si usa ritenere il primo atto della congiura contro il re. Certo nell'agosto si riteneva sicura la sua connivenza con i ribelli e si guardava anche con sospetto il fatto che egli avesse fortificato Acerra, terra le cui entrate dovevano andare a Francesco d'Aragona, promesso sposo della figlia Isabella, ma il cui possesso rimaneva al Del Balzo.
Al re giungevano a proposito del D. notizie contraddittorie. Nell'agosto il suo nome veniva indicato fra i "confederati" con il papa ai danni del sovrano, mentre ai primi di settembre il re era informato che sia il D., sia il genero Pietro Guevara erano ben disposti verso di lui. Il re, allora, pensò di inviare ai due gli oratori fiorentino e milanese "per indurli al pacifico vivere", senza che poi questo proposito fosse messo in atto. Fra gli accordi di Miglionico, con i quali i baroni si impegnavano - ma non sinceramente - ad essere fedeli al re, c'era anche l'impegno del sovrano a dare in sposa al D. una sua figlia naturale, Lucrezia, precedentemente promessa al duca d'Urbino. La sposa avrebbe dovuto essere consegnata il 10 novembre ad Andria.
Benché il D. avesse promesso, come gli altri baroni, che sarebbe andato ad ossequiare il re a Foggia o a Barletta, si recò invece presso il principe di Salerno e il 30 novembre arrivava al re sia la richiesta dei baroni di settanta uomini d'armi, pagati dall'erario regio per il D. come gran connestabile, sia la notizia che egli aveva inalberato gli stendardi del papa. In effetti la data, diremmo ufficiale, dell'insurrezione del D. è il 25 nov. 1485. Egli aveva promesso agli altri baroni di andare in Abruzzo a recare aiuto al prefetto di Roma, Giovanni Della Rovere, che aveva invaso le terre del Regno, ma fu colpito da un attacco di podagra e rimase in Puglia, dove compì numerose e brutali aggressioni, impadronendosi di Spinazzola, Genzano, Barletta; quando intervenne nella regione, Ferrandino di Aragona gli inferse duri colpi, recuperando terre da lui conquistate ed anche altre a lui appartenenti. Questo avveniva nei primi mesi del 1486, ma già nel dicembre dell'anno precedente Acerra si era data al re, dopo un assedio di venti giorni. Ai primi di aprile il D. ed il marchese di Bitonto, che operavano nella regione pugliese con cinque squadre e 400 fanti, si recarono a Benevento, ove si abboccarono con il Della Rovere.
Avvenuta la pace fra Innocenzo VIII e Ferdinando d'Aragona (11 ag. 1486), ricominciarono i patteggiamenti fra i baroni e il sovrano. Nel medesimo mese di agosto il re inviò un suo ambasciatore al D. per sapere se era disposto ad accettare la pace sottoscritta fra lui e il papa; ai primi di settembre l'inviato comunicava che il barone intendeva essergli "fidelissimo vassallo". In quel medesimo periodo, però, si stava ancora perfezionando l'accordo stipulato, fra il duca di Melfi, Giovanni Caracciolo, e i baroni ribelli, i quali avevano concesso al duca, fra varie altre cose, che si effettuasse il matrimonio fra sua figlia Beatrice e il Del Balzo. A Lacedonia, l'11 settembre, il D. fu tra i baroni che giurarono di continuare la lotta contro il sovrano. Tuttavia i contatti con il re continuavano e continuavano le promesse matrimoniali. Si parlò del matrimonio di una nipote del D., figlia di Pietro Guevara, morto nel settembre di quell'anno, con il secondogenito del duca di Calabria e successivamente anche di uno fra Sancia, figlia naturale del medesimo duca, con un figlio naturale del Del Balzo. In ogni modo quando Alfonso d'Aragona conquistò Venosa, le richieste perché il barone si sottomettesse divennero pressanti. Nel novembre il duca gli inviò oratori, che lo trovarono "molto pieno de suspecto" e che lo esortarono a venire alla "gratia del re che lo tracterà da bon parente et come da figlio". Nello stesso mese il D. prese la dura decisione di sottomettersi a Ferdinando. L'incontro avvenne tra Foggia e Cerignola; il principe presentò al sovrano le chiavi del castello di Venosa e questi lo accettò "per securtà sua e per salute de epso principe". Con il re il D. si portò a Napoli il 18 dicembre.
L'arresto di Francesco Coppola e di Antonello Petrucci non aveva però insegnato niente ai baroni, che continuavano a tramare contro il sovrano. Il D. credeva di poter ancora permettersi di essere scontento del re, di poter ancora contare sul matrimonio con la figlia del sovrano e di poter non ritenersi soddisfatto di quello della figlia Isabella con Federico d'Aragona. Egli si teneva in contatto soprattutto con il principe di Bisignano, con il quale decise di fuggire a Roma, dove avrebbero raggiunto il principe di Salerno. A questo scopo il D. aveva venduto tutto il bestiame e il Sanseverino aveva preparato alcune navi. Il D. chiamò inoltre a Napoli il fratello Angliberto e lo convinse a ritirarsi nelle sue terre in Puglia e lì attendere dai baroni, che si sarebbero riuniti a Roma attorno al principe di Salerno, un segnale, che avrebbe dato di nuovo il via all'insurrezione contro il re. La mancanza di tempestività e di determinazione gli impedirono tuttavia di partire ed egli fu arrestato insieme con numerosi altri baroni il 4 luglio 1487. Gli atti dell'istruzione del processo contro costoro furono pubblicati, ma la sentenza non fu mai emessa. Rinchiuso in Castelnuovo il D., come i suoi compagni di sventura, non ne uscì più.
Secondo un cronista napoletano, essi furono gettati in mare il 25 dic. 1490, ma non si sa quando in effetti fu loro data la morte. Tutte le sue proprietà furono confiscate e i beni feudali, anziché alla figlia primogenita, Isotta Ginevra, finirono nelle mani di Federico d'Aragona, marito di Isabella.
Con ogni probabilità il D. possedette una biblioteca: lo si può dedurre dalla considerazione che sicuramente a lui pervennero i codici, di cui il padre risulta esser stato in possesso, e dal fatto che il celebre copista Giovanni Marco Cinico copiò per lui, nel 1463, un Trattato degli uccelli da rapina, ora conservato nella Bibl. naz. di Torino (N VII 78).
FONTE: Voce di F. Petrucci, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1988, vol. 36.