Del sopralluogo nei conventi colpiti che, con paterna sollecitudine e “non curando né freddo, né fiumi, né monti, né tutti i pericoli immaginabili”, fra’ Antonio aveva pensato di compiere, considerando poi che “la nostra venuta non avrebbe potuto far altro, che aggiungere inu/tili lagrime al vostro pianto, inutile duolo alla vostra afflizione…” e assicurando “che al più presto possibile saremo tra voi, se il Signore ci conserverà in vita; come ci ha conservato per pura sua divina misericordia”, egli compì in realtà la sola visita a Santa Maria del Sepolcro a Potenza: “E già ci recammo a Potenza; ma quando (triste rimembranza!) vedemmo in quel Convento, che il quarto, il quale meno ispirava orrore era un corridoio caduto; quando vedemmo quei Frati afflitti, avviliti, sparuti, gittati a terra, come chi da immenso duolo è accorato; ah, sì! ci avvilimmo noi pure, e (lo confessiamo) ci scoraggimmo (sic). Poterono pure quei Frati darci animo, poterono dirci: oh! fac/cia Iddio, abbiamo la Chiesa quasi salva; il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo qui ci vuole; Egli farà in modo, che col tempo, con la pietà dei Potentini, e più colla munificenza del nostro Gran Re Ferdinando II° (Deo Gratias) si giungerà a ristorare, ed a riergere due corridoi almanco”.
Nel 1847, esattamente dieci anni prima del terremoto, Cesare Malpica, giunto a Potenza durante il suo itinerario in Italia meridionale, aveva visitato il convento e la chiesa di Santa Maria così descrivendoli: “Il cenobio è tutto nitidezza come il cuore del Santo fondatore dell’ordine. La chiesa è decente, come tutte quelle dell’ordine. Noi saliamo a inchinare il P. Lettore e Provinciale Luigi da Laurenzana. Le sue stanze contengono una biblioteca mirabile per la scelta e per il numero delle opere e per la qualità delle edizioni; più un gabinetto di macchine pregevolissime. Vi convengono magistrati e letterati a ingannar le ore con piacevoli colloqui. E il buon romito accoglie tutti con franca cordialità”.
Si noti il rilievo dato da fra’ Antonio alla presenza nel convento potentino dell’altare che tutt’ora ospita la reliquia del Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo. Reperita nel 1278 a Gerusalemme da Ruggero II Sanseverino, vicerè di Carlo I d’Angiò re di Napoli, la reliquia di Terra mixta cum sanguine Christi fu donata alla chiesa collegiata di Sant’Antonino di Saponara (oggi Grumento Nova, PZ) con atto del 24 settembre 1284, a noi noto nella trascrizione che ne fece Giovanni Battista Pacichelli. A seguito di un’aspra e plurisecolare contesa tra il clero saponarese e i vescovi di Marsico, nel 1647 il vescovo di Potenza Bonaventura Claverio si recò, come inviato del papa Innocenzo X, a Saponara e qui chiese ed ottenne una parte dell’insigne reliquia. Passati i moti di Masaniello, la reliquia, custodita privatamente dal Claverio, fu destinata alla chiesa dei Riformati di Santa Maria del Sepolcro, restaurata e abbellita con il soffitto ligneo della navata principale commissionato dallo stesso Claverio. Nel 1656 venne ultimato il sontuoso altare destinato ad accogliere la reliquia che, la mattina del 4 giugno, fu solennemente portata in processione dalla Cattedrale di San Gerardo. Nell’atto rogato per l’occasione dal notaio Gerardo Caporella, il vescovo predispose un triplice sistema di chiusura della custodia le cui chiavi consegnò alla Cattedrale, ai Riformati e alla famiglia Loffredo, feudataria della città di Potenza. La reliquia poteva essere esposta ai fedeli soltanto il Venerdì Santo. Il 16 novembre del 1886, su iniziativa di Giovanni Maria Sanna Solaro, il vescovo Tiberio Durante permise una ricognizione della reliquia costituendo una commissione che raccogliesse le testimonianze e i documenti che la corredavano. Nel frattempo, il 25 novembre 1717, la reliquia rimasta a Saponara era stata trafugata e si era persa per sempre: Ippolita Spinelli, moglie del conte di Saponara Luigi Sanseverino, la sostituì con una seconda, ugualmente portata da Ruggero nel 1284, che l’8 ottobre 1730 fu trasferita nella chiesa madre di Saponara. Alla protezione del Preziosissimo Sangue i Potentini ricorsero in occasione di varie calamità: la peste del 1656, i nubifragi agostani del 1773, i fatti del 1799. La presenza di questa reliquia scongiurò la sconsacrazione della chiesa e il suo passaggio completo al demanio dello Stato. Nel 1886 essa fu affidata dal Demanio al Municipio e quindi all’Arciconfraternita di San Nicola proprio perché in Santa Maria sorgeva l’altare ospitante la sacra reliquia. Per la ricostruzione del convento di Santa Maria del Sepolcro a Potenza il ministro provinciale, come leggiamo, fa affidamento alla pietà dei cittadini e alla munificenza dell’autorità regia poiché non ritiene sufficienti le entrate dei propri possedimenti. Scrive infatti: “Forseché (sic) avremmo potuto disporre di somme piccole, o grandi, che le si tolsero? avremmo potuto invertire le rendite annuali dei nostri feudi a beneficio delle nostre Case rovinate?... Dio buono!... Deh, potessero le forze quanto il cuore desidera!”
Oltre agli interessanti riferimenti allo stato di distruzione materiale in cui versavano i conventi della sua provincia, la lettera di fra’ Antonio contiene un’ampia sezione dedicata alla denuncia della noncuranza e rilassatezza morale che il sisma, quale manifestazione della giusta ira divina, aveva fatto emergere in alcuni frati. Qui il tono della missiva si allinea, anticipandole, alle espressioni usate da Pio IX nella Cum nuper sopra citata. Dopo aver richiamato i suoi frati a un severo esame di coscienza sostenuto, più che dalla paura, dal salutare timor di Dio, il ministro provinciale aggiunge: “È questa, è questa per noi, forte chiamata del Signore; è questa chiamata a penitenza; è questa chiamata all’adempimento dei nostri doveri; è questa chiamata all’observanza della S. Regola, che professiamo; è questa chiamata, che deve farci tremare, perché minaccia di presentarci in un subito, ed impreparati innanzi al trono di Dio, che vede tutto, conosce tutto, penetra nei nostri pensieri, si addentra fin nei più profondi segreti del nostro cuore, e tutto esamina, e tutto giudica, e tutto piacevolmente premia, ed inesorabilmente punisce”. Si domanda poi, inizialmente escludendo questa ipotesi, se possa esservi qualcuno tra i frati che sia disinteressato alla propria salvezza eterna: “Ma se pure (per una lontanissima ipotesi) taluno ci fosse […] noi saremmo costretti a riconoscere in lui non un figlio di Francesco di Assisi, ma un anatema, un riprovato, un membro reciso della casta Sposa di G. Cristo, la nostra Cattolica Chiesa”. Si tratta “di alcuni, i quali […] ci han dato a dividere la loro dispiacenza di rimanersi nel luogo della disgrazia, la loro poca curanza della rovinata casa, e la loro poca carità verso i disgraziati, chiedendo disposizioni, ed Ubbidienze per altri Conventi, ed anche per la propria famiglia!” A questi pusillanimi senza cuore, fra’ Antonio oppone “quei buoni P. Guardiani, e […] tutti quei buoni religiosi, che dopo la disgrazia, si rassegnarono ai voleri di Dio, e si diedero di premura ad osservare i danni ricevuti, ed a mettervi quel riparo, che la stagione permette, onde le fabbriche scosse non vadano a deperire, ed i Frati non manchino dell’abitazione necessaria”. Il ministro provinciale implora su “questi Padri […] questi Frati buoni, che neppure una parola di dispiacere han proferito, e che han cercato non di fuggire la casa del lutto, ma di dar coraggio ai deboli, di assistere gl’infelici, che tra le ruine chiedevano il sollievo della Religione, e di non rendere deserta la casa della loro Ubbidienza, anzi di racconciarla, di preservarla alla meglio da ulteriori danni […] con tutta l’effusione del nostro cuore […] dal Cielo tutti i beni di che il Signore suol esser largo ai veri figli del nostro S. Patriarca”. Quanto ai primi, prega il Signore “che ulteriori pene non mandi alla loro colpa, e che eccitatili a pentimento, li renda degni della sua misericordia!”
Sul finire della sua circolare, come già si è detto, fra’ Antonio Maria da Genzano notifica ai conventi della sua provincia la lettera del ministro generale che richiama tutti i religiosi ad una più stretta sequela della regolare osservanza e al rispetto delle costituzioni generali dell’Ordine e dei Regolamenti. “Vogliamo che dei 7 (sic) articoli ivi notati, ciascun Guardiano ne trascriva i primi cinque, che immediatamente riguardano l’andamento religioso della Comunità, ed insieme ai Regolamenti in ogni mese li faccia leggere in pubblica mensa. Vogliamo pure, che esattamente, ed alla lettera siano osservati; e noi ne prenderemo conto speciale nella Santa Visita, e saremo scrupolosi nel punirne i / trasgressori, e mandarne relazione speciale al P. Ministro Generale in Roma”. Di quali mancanze si tratti, il ministro provinciale di Basilicata fa cenno già nella sua prima lettera circolare laddove scrive: “Eppure (non conviene tacerlo) forse qualcuno di voi potrà dirci: e dov’è, Padre mio, così esatta, così pura, così splendida, ed in fiore la regolare osservanza? Ed è poi come / ci dite, così bene osservata e praticata in questa Provincia la Santa Regola professata? […] Non vedete, voi forse, che molti, per non dire tutti i Frati non amano più l’altissima povertà? Che vogliono dormire non dico sopra una nuda tavola, o su di un pagliariccio, usando a capezzale un sasso aspro, e duro, ma vogliono servirsi di materassi di lana, e di morbidi origlieri? E non vedete che tutti vanno calzati a genio loro? Che non danno un passo senza prima avere pronti i mezzi di trasporto convenienti più ai bisogni del secolo, che ad un povero Frate Minore? Dov’è più osservato quell’aureo precetto della nostra santa Regola, precetto che la riassume nella sua massima parte = Fratres nihil sibi approprient, nec domum, nec locum, nec aliquam rem? Dov’è più quell’obbedienza pronta, ilare, e disappassionata, la quale dev’essere il distintivo, la caratteristica di un buono, e, se si vuole, bene educato Religioso? Dov’è più quel riserbo, che un Frate debbe (sic) professare per fatti, che nel Chiostro si succedono, pei detti, che tra loro si scambiano? Dov’è quella prudenza, quella evangelica carità nel coprire, e nello scusare i difetti, ed i mancamenti del proprio fratello?” Prima delle richieste di suffragi per i frati e i loro parenti morti a causa del terremoto, leggiamo un appello che, stante la tragica situazione descritta, può sembrarci paradossale. Il ministro provinciale scrive: “Raccomandiamo poi caldamente ai Padri Guardiani per le loro Comunità, ed a ciascun frate in particolare, la compra delle opere, notificate dal medesimo Padre Ministro Generale. Chi volesse farne acquisto, ce ne scriva al più presto, affinché potessimo in uno commetterle ai Padri, che nella Circolare sono indicati. Valga lo stesso pel piccolo Breviario, che sta per uscire alla luce”. L’invito ai conventi e ai singoli religiosi a provvedere all’aggiornamento delle proprie collezioni librarie, significativo in quanto proveniente da un ministro provinciale lettore emerito di sacra teologia e di sacra eloquenza, può essere collocato nello sforzo di mantenere un elevato livello negli studi e nella preparazione delle nuove leve, nonché inquadrato nella preoccupazione, che lo stesso Pio IX manifestò di lì a poco, di contrastare i “propagatori di perverse dottrine”. “E poiché si pubblicano ovunque, emersi dalle tenebre, perniciosissimi libri per mezzo dei quali abilissimi fabbricatori di menzogne si sforzano di portare alla depravazione, con malvage opinioni di ogni genere, le menti e i cuori, confondendo ogni realtà umana e divina, onde far crollare le fondamenta stesse della cristiana e civile società, allora, Venerabili Fratelli, combattete con tutto il Vostro zelo per tener lontana il più possibile dal vostro gregge questa esiziale peste di libri. E affinché possiate più facilmente e con maggior sicurezza difendere la sana dottrina e i buoni costumi e chiudere l’adito ad ogni errore e alla corruzione, non trascurate di esaminare accuratamente tutti i libri, specialmente quelli che trattano di materie teologiche e filosofiche e di cose sacre, oltre che di diritto canonico e civile”.L’invito del ministro provinciale riveste inoltre una capitale importanza in relazione all’opera di dispersione patrimoniale, anche in campo librario, avvenuta nel decennio francese che fu alimentata da motivi non solo di natura fiscale ma anche d’ordine politico ed ideologico e fu stabilita attraverso le leggi di soppressione degli ordini religiosi. In particolare, nella circolare del 9 luglio 1808, il Ministro del Culto prescriveva la compilazione di inventari per i libri, gli arredi sacri e gli oggetti d’arte, ordine eseguito soprattutto nei conventi delle famiglie francescane degli Osservanti, Riformati e Cappuccini già nell’agosto di quell’anno.
Il 17 agosto 1808, infatti, fra Carlo da Vaglio, vicario del convento di Santa Maria del Sepolcro a Potenza, per conto del padre guardiano Raffaele da Trivigno, consegnò a Giuseppe Viggiano, funzionario del sig. Cavaliere Vito Lauria Intendente di Basilicata, l’”Inventario di tutti i semoventi, industrie, sacri arredi, mobili, utensili, Biblioteca e Quadri” al cui interno si trova l’”Inventarium indicans libros omnes iuxta alphabeticam distributionem, et numeri dispositionem huius Bibliothecae Patres Reformatorum Sanctae Mariae Sepulchri Civitatis Potentinae Anno Domini 1753”. Dopo la bufera napoleonica, il Concordato tra la Santa Sede e il Regno di Napoli del 1818 permise la ricostruzione di molte biblioteche monastiche e conventuali mediante la restituzione di materiale ai legittimi proprietari o con l’accoglimento di una produzione più recente e di fondi provenienti da insediamenti soppressi. Da qui la già ricordata annotazione del Malpica, nelle sue Impressioni di viaggio in Basilicata edite nel 1847, sulla “biblioteca mirabile per la scelta e per il numero delle opere e per la qualità delle edizioni” contenuta nelle stanze del convento di Santa Maria del Sepolcro a Potenza. Di qui alcuni incunaboli e cinquecentine, già salvatisi dal saccheggio del 1799, andarono a costituire il nucleo antico della Biblioteca Provinciale di Potenza. L’inventario potentino suddivide i libri secondo un criterio topografico-alfabetico in “Scripturalia, Praedicabiles, Scholastici, Polemici, Sancti Patres, Morales, Historia Ordinis et Canonisti, Spiritualia, Miscellanea, Prohibiti”. Quello del convento dei Riformati di Avigliano elenca i testi in “eruditi, miscellanei, istoriali, scritturali, predicabili, legali, filosofici, panegirici, Santi Padri, Scolastici e dommatici, morali, spirituali”.
Prima di impartire la sua serafica benedizione fra’ Antonio Maria da Genzano scrive: vi preghiamo, e col merito di S. Ubbidienza v’im/ponghiamo (sic) di pregare il Signore, e la nostra Regina, e / patrona Maria Santissima Immacolata pel nostro piissimo, e munificentissimo Sovrano Ferdinando II, e per tutta la sua / Real Famiglia”. E se vi piace, non dimenticate nelle vostre orazioni, / che ora crediamo più frequenti, e più calde, non dimenticate Noi, / povero, ed afflitto vostro Superiore”.
La lettera di fra’ Antonio Maria Pallotta, ministro provinciale dei Francescani Riformati di Basilicata, come la successiva enciclica Cum nuper di Pio IX, leggono il terremoto del 16 dicembre 1857 quale giusta punizione divina per la decadenza dei costumi del clero e dei religiosi. Queste voci accorate, dagli accenti talvolta apocalittici, danno il tono di un’epoca peraltro impegnata nella ricerca di nuovi metodi di indagine sugli eventi sismici che il geologo irlandese Mallet poté perfezionare proprio in occasione della calamità che colpì la Val d’Agri.