giovedì 28 maggio 2020

Personaggi. 24. Carolina Rispoli Ciasca

Carolina Rispoli era nata a Melfi il 19 maggio 1893. La sua prima esperienza letteraria fu una novella, Lotta elettorale, pubblicata sulla rivista "Vita femminile italiana", anno V, fascicolo V. Uscì con lo pseudonimo di Aurora Fiore e con una prefazione di Sofia Bisi Albini.
Incoraggiata da quel successo letterario, Carolina pubblicò, nel 1916, un ampio romanzo, Ragazze da marito (Milano, Quintieri), in cui si narrava della condizione di cinque sorelle.
Nel 1922, il 26 aprile, Carolina Rispoli sposò Raffaele Ciasca, nato a Rionero in Vulture nel 1888, giovane di alta cultura e dalle brillanti prospettive. I romanzi successivi della Rispoli, comunque, si ispireranno alla figura del marito, come Il nostro destino (Milano Unitas 1923) o Il tronco e l'edera (Milano, Cèschina, 1926), La terra degli asfodèli (Milano, Cèschina, 1933), La torre che non crolla (Milano, Cèschina, 1938), ultimo romanzo dell'autrice. Dopo il 1938, infatti,, scrisse ben poco e solo di saggistica, come Gerardiello (Roma, Sales, 1946), racconto della vita di San Gerardo Maiella e Uomini oscuri del Mezzogiorno nel Risorgimento (Roma, 1962).
Due anni dopo la morte del marito, nel 1977, Carolina Rispoli gli dedicò un saggio, che era, in forma ragionata, la stessa celebrazione, che, indirettamente e allusivamente, ne aveva fatto in vari romanzi: La giovinezza di Raffaele Ciasca tra Giustino Fortunato e Gaetano Salvemini.
Carolina Rispoli è morta, quasi centenaria, il 6 dicembre 1991.

giovedì 21 maggio 2020

Personaggi. 23. Giovanni Darcio (Maria Teresa Imbriani)

Giovanni Darcio, il poeta venosino di cui ci occupiamo, nonostante viva ed operi nel pieno del Cinquecento, è un tardo umanista, elegante cultore di classici, un raffinato scrittore latino, di cui  non è rimasta traccia in terra lucana. 
Il suo nome ci viene recuperato e tramandato in epoche troppo lontane da lui, sicché è impossibile ricostruire la sua biografia, tranne che per quelle poche notizie derivanti dall'opera e, in particolar modo, dall'epistola dedicatoria che funge da introduzione e da premessa all'edizione dei Canes, pubblicati a Parigi presso Simon de Colines nel 1543. 
Del poeta venosino è sconosciuta la data di nascita e quella di morte e anche la dizione del nome è incerta; le fonti ci tramandano, infatti, diverse grafie: Ioannes Darcius o Darchius; Joannes Darchius; Jean Darci o Darcci o Darces o D'Arces; Giovanni Darcio. Dal riferimento ai dedicatari dell’opera, si riesce però a ricostruire una qualche attività più precisa. I due ecclesiastici, che vengono chiamati a «proteggere» i Canes, sono Andreas Richer, della diocesi di Sens, vescovo di Calcedonia dal 9 gennaio 1542 e il Cardinale Louis de Bourbon de Vendôm vescovo di Laon, arcivescovo di Sens. Dalla data della nomina di Andreas Richer a vescovo di Calcedonia ricaviamo il termine prima del quale la dedicatoria non può essere stata scritta: attraverso questa informazione e le notizie che dà di se stesso Darcio, si può conoscere, con l'approssimazione di un anno, la data in cui egli lasciò Venosa per la Francia. 
Egli è, quindi, partito da Venosa non prima del 1539, ma non più tardi del 1540. La poca distanza tra la partenza e la pubblicazione dell’opera, e insieme l’affermazione di aver aggiunto nel libro lavori giovanili indicano che l’autore maturò a Venosa sia la scelta dei temi sia le letture che gli offrirono  il substrato culturale su cui operare secondo il canone umanistico-rinascimentale dell’imitazione. Dell’attività svolta prima della partenza per la Francia siamo informati dallo stesso Darcio: egli dichiara di aver praticato a Venosa l’insegnamento e di aver abbandonato poi la sua laboriosa provincia per potersi dedicare completamente a quegli studi, che, per le occupazioni della professione, non aveva potuto approfondire.
Darcio fece fortuna in Francia, non solo perché la sua opera viene pubblicata da uno dei più noti e attivi editori di Parigi, ma anche perché, come appare verosimile dai dati in nostro possesso, fu chiamato dal Cardinal di Tournon, uno degli uomini europei più influenti a quel tempo, a esercitare l’attività di aumônièr (elemosiniere, cioé amministratore delle rendite derivanti dalle elemosine). Non sono stati rintracciati dati biografici, che possano confermare l’ipotesi, ma la traduzione del De re rustica di Palladio Rutilio dal latino al francese apparsa a Parigi nel 1554 per l’editore Michel de Vascosan sotto il nome di Jean Darces, conservata in un esemplare mancante del frontespizio alla Biblioteca Nazionale di Parigi potrebbe essere elemento probante. 
L’opera da cui Darcio si attendeva la gloria e la fama presso i posteri è il poemetto in esametri Canes, dedicato alla descrizione e all’osservazione dei cani. Si concentrano nell’opera, di chiaro gusto erudito, due interessi fondamentali del mondo di Darcio: l’amore per i classici e il desiderio di evasione nella natura. Tra il didascalico e l’aneddotico, il poema non è privo di spunti felici, ma certo rispecchia uno stile molto lontano dal nostro (non si dimentichi che anche Pascoli dedicò al cane una delle sue poesie latine): gli spunti più felici derivano dai momenti descrittivi, dalle aperture sul mondo della natura e dei sentimenti, dai ritratti efficaci d’ambienti preziosi. 
Nella stessa edizione parigina dell’opera darciana, dopo i Canes, l’autore inserisce un lavoro giovanile, l'Epistola di Deidamia ad Achille, facendola precedere da un Argumentum in prosa. Dalla tradizione mitologica, Darcio riprende la vicenda di Deidamia, unita in nozze ad Achille, durante l’esilio forzato nell’isola di Sciro, e poi abbandonata e tradita dall’eroe, che, una volta giunto a Troia, prende prima come concubina Briseide, poi è in trattative di nozze con Priamo ed Ecuba per la figlia Polissena. La lettera di Deidamia ad Achille, sul modello delle Heroides di Ovidio, ripercorre le vicende amorose, il tradimento, ma alla fine, si scioglie in una preghiera amorosa: che l’eroe,  almeno memore dell'amore che c'è stato tra di loro, delle promesse e della fedeltà che le aveva giurato, ritorni, altrimenti Deidamia vendicherà il proprio pudore violato suicidandosi. 

FONTE: M. T. IMBRIANI, Appunti di Letteratura Lucana. Ventisette ritratti d'autore dal medioevo ai giorni nostri, Potenza, Consiglio Regionale della Basilicata, 2001, pp. 28-32 (con tagli).

giovedì 14 maggio 2020

giovedì 7 maggio 2020

I rei di Stato lucani del 1799. 11. Le Municipalità repubblicane

In Basilicata, all'inizio del 1799, quando nella provincia giunse la notizia della fuga della famiglia reale in Sicilia il generale clima di tensioni sociali – in genere legate alla gravità della situazione economica  – si tradusse nelle speranze ed aspirazioni delle avanguardie repubblicane che, ovunque, diedero maggiore impulso alle proprie iniziative senza attendere direttive dalla capitale del Regno . 
Il 2 febbraio era nata, dopo sanguinosi scontri tra diverse fazioni politico-sociali, la Municipalità di Tito; il giorno successivo erano state costituite quelle di Pietragalla, Cancellara e Tolve ed erano stati eletti i rappresentanti della Municipalità di Potenza, presidente della quale, lo stesso vescovo Serrao propose il vicario diocesano don Domenico Maria Vignola. Il 5 febbraio, venne ufficialmente costituita la Municipalità di Avigliano, presieduta da don Carlo e don Giulio Corbo.
A Cancellara e Tolve la piantagione degli alberi della libertà fu accompagnata dall’elezione dei rispettivi presidenti: Saverio Gaetano Basile e Rocco Gennaro Balsamo, mentre, Daniele Carbonaro che già da sindaco di Vaglio era riuscito ad avere la meglio sulle più potenti famiglie gentilizie locali, si riconfermò, con l’acclamazione del popolo, presidente della nuova Municipalità e promotore degli ideali antimonarchici. La manifestazione popolare filorepubblicana di Castelmezzano incontrò l’ostacolo del sacerdote Nicola Auletta che rese possibile, poi, la costruzione del governo municipale solo a distanza di alcuni giorni, con l’elezione, di comune accordo, di uno dei suoi “parenti stretti”, Giovanni d’Amico.
Mentre nei comuni di Albano, Brindisi, Trivigno venivano eletti, rispettivamente Vito Molfese, Benedetto Montulli, Nicola Sassano, a Calvello fu necessario trovare un punto di equilibrio tra la posizione repubblicana e quella più radicale, pertanto l’elezione di Diego Falcone, fu affiancata a quella di Don Saverio di Ruvo come suo segretario.
Le Municipalità di Picerno e Muro furono particolarmente significative all’interno di un contesto territoriale, quello al confine con il Principato Citra, dove si andavano già connotando iniziative antirepubblicane e filomonarchiche: a Picerno, fu il giovane Saverio Carrelli a restituire alla storia uno dei più importanti esempi di autogoverno democratico e popolare; mentre a Muro la sensibilizzazione ai nuovi ideali da parte di uno dei precettori di Filangieri, il vescovo Luca Nicola De Luca, sfociò nella calda acclamazione del peculiare Comitato repubblicano presieduto dal dottore in utroque jure Giovanni Martuscelli e dal segretario Ferdinando Farenga impegnati nella causa repubblicana anche nei centri abitati vicini.
A Balvano, tutt’altro che come una svolta, invece, si presentò la “costruzione” della Municipalità poiché vedeva riconfermati al potere gli stessi esponenti del capitolo della locale chiesa ricettizia. 
Il Vulture-Melfese si distinse come altra peculiare realtà politica, presto connotata per la convivenza di ispirazione giacobina e repubblicana e indirizzi radicali: dopo la repubblicanizzazione di Melfi, Venosa, Palazzo e Spinazzola, a Montepeloso, odierna Irsina, la peculiare figura del vescovo della locale diocesi, Michele Arcangelo Lupoli, venne ricordata per la formidabile lettera pastorale al clero e al popolo che illustrava come “la bontà delle nuove idee” fosse in completa armonia con gli ideali della Religione Cristiana. Il presidente della nuova Municipalità, Giacomo D’amati, accompagnò la piantagione dell’albero della libertà sul quale erano sistemati anche coccarda e berretto frigio alla francese.
Tutt’altra cosa fu invece la Municipalizzazione del capoluogo di provincia, Matera dove prevalevano indirizzi filomonarchici tali da reprimere le pur significative spinte repubblicane: solo con l’ufficiale «ordine di democratizzare la provincia» , si giunse alla conversione del contesto istituzionale-amministrativo presieduto da Fabio Mazzei.
Una forte corrente filomonarchica era presente anche a Tursi da dove, in seguito alla costruzione della Municipalità, fuggì il marchese Giulio Cesare Donnaperna, alla volta del feudo di Colobraro.
A Montalbano, la piantagione dell’albero della libertà, fu accompagnata da una festosa manifestazione di popolo guidata dal dott. in legge Luigi Lomonaco, devoto alla causa giacobina e attivo nella municipalizzazione delle vicine Università.
Assai peculiare e significativa fu la figura del barone di Brancalassi di Episcopia che presentandosi in piazza, recando sul cappello la coccarda del tricolore francese, dichiarò di rinunciare alla giurisdizione, al privilegio del suo nome, proclamandosi cittadino. 
Nella città di Lagonegro fu lo stesso sindaco in carica, Nicola Francesco Rinaldi a promuovere la svolta repubblicana: il parlamento cittadino elesse all’unanimità il sacerdote Nicola Tortorella. 
 Rotonda, Miglionico, Moliterno e Rionero assunsero invece una municipalizzazione di «facciata», resa possibile, dunque, non dall’acclamazione del popolo o dal trionfo di un’opera di proselitismo dei nuovi valori, ma dall’attività dei commissari che, da Napoli, si dipartirono in tutto in regno per uniformare il territorio alla novità francese: a Rotonda, il commissario don Andrea Bianchemani, giunto a cavallo tra la folla, cominciò a nominare ufficiali, presidente e deputati del nuovo governo municipale, addirittura dall’alto della sella; a Miglionico, l’ albero della libertà fu piantato solo in seguito alla minaccia di fucilazione; a Moliterno la proclamazione del Governo Municipale fu pilotata dal capoeletto in carica, Michele Arcangelo Parisi, detto «Michelone», che riconfermò il suo potere e la devozione ai Borbone. A Rionero la Municipalizzazione fu una scelta forzata dall’assenza di alternative, circondato da paesi tutti democratizzati. 

Le perle lucane. 4. Maratea

 «Dal Porto di Sapri, che aperto è fama inghiottisse la celebre Velia, raccordata dal Poeta dopo Palinuro, nel golfo di Policastro, à dodeci...