Anche in ragione di quanto accadeva fuori d’Italia, a fine Ottocento c’erano ormai le condizioni perché gli studi di tradizioni popolari si configurassero come disciplinate. Ed è questa l’impresa cui si dedicò Giuseppe Pitré, medico.
In materia di poesia popolare, Pitré restò legato a concezioni romantiche cui aggiunse una notevole carica di «sicilianismo»: non certo chiuso e campanilistico come quello che rimproverò a un altro raccoglitore di canti siciliani, Lionardo Vigo, ma in ogni caso sempre volto a sottolineare, accentuare, esaltare la peculiarità e l’autoctonia siciliana dei canti raccolti nell’isola. Ma per altri aspetti Pitré si fece portatore delle prospettive comparativistiche europee. Così in Pitré convivono l’aspirazione antropologica derivata dagli indirizzi positivistici europei, e gli interessi di storia patria (o locale) che nascono dalle propensioni romantiche e dal suo amore per i canti e per la Sicilia.
Egli non si limitò semplicemente a fare opera descrittiva, o comunque soltanto erudita, sia nel commentare sia nel procedere a raffronti tra le tradizioni siciliane e quelle di altre regioni o nazioni; ma delle tradizioni stesse pose in luce il significato etnico e l'importanza storica e soprattutto diede, oltre alla raccolta, i principî per l'avviamento allo studio della demopsicologia (come egli chiamò la sua scienza): il che egli ottenne, ora premettendo ai proverbî, ai giuochi, agl'indovinelli, saggi introduttivi, che informano sullo stato delle ricerche e sulle principali questioni; ora facendo seguire alle leggende e ai canti studî critici che sono il frutto di ampie e profonde investigazioni.
Va notato che nella demopsicologia di Pitré non trovano gran posto i problemi politico-sociali del tempo (questione meridionale, emigrazione, mafia ecc.); e anche in seguito, con rare eccezioni, i modi culturali e le condizioni di vita del mondo contadino restano oggetti d’indagine reciprocamente separati.
Decine di raccolte di canti, racconti, usi, credenze furono generate dall’impulso di Pitré e dal clima dell’epoca: a questa attività demologica regionale si collega (ma ne supera decisamente i confini) anche l’opera di vari romanzieri veristi o immediatamente postveristi, con i nomi di Giovanni Verga e Luigi Capuana per la Sicilia, di Grazia Deledda per la Sardegna, di Matilde Serao per Napoli e di Gabriele D’Annunzio per l’Abruzzo. E, fuori del regionalismo veristico o delle influenze di Pitré, qualche utilizzazione di forme e modi della poesia popolare fu fatta anche da poeti quali Giosue Carducci, Giovanni Pascoli, Severino Ferrari.