La sera del 23 novembre 1980, alle 19:34, un violento terremoto, con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, colpì il Sud Italia, devastando vaste aree della Campania e della Basilicata. Fu uno dei più gravi eventi sismici del dopoguerra in Italia, con una magnitudo di 6.9 della scala Richter e una durata di circa 90 secondi. L’epicentro fu localizzato tra i comuni di Conza della Campania, Sant’Angelo dei Lombardi e Lioni, ma le conseguenze si estesero su un territorio molto più ampio, colpendo duramente anche numerosi centri della Basilicata, in particolare nella provincia di Potenza.
Il terremoto provocò quasi 3.000 vittime, oltre 8.000 feriti e circa 300.000 sfollati. In Basilicata, le aree maggiormente colpite furono il Vulture-Melfese, il Melandro e alcune zone dell'Alta Val d'Agri. Comuni come Balvano, Bella, Muro Lucano, Potenza, Pescopagano e Baragiano subirono danni gravissimi. A Balvano, il crollo della chiesa dell’Assunta durante la messa domenicale causò la morte di oltre 70 persone, per lo più giovani e bambini.
Gli edifici costruiti con materiali scadenti o in modo non conforme alle norme antisismiche crollarono facilmente. Il disastro mise in evidenza le carenze strutturali di interi paesi e la vulnerabilità di un territorio già segnato dal dissesto idrogeologico e dall’abbandono.
I soccorsi furono lenti e disorganizzati. Il governo italiano, presieduto da Arnaldo Forlani, fu duramente criticato per l’inadeguatezza e il ritardo della risposta. I primi aiuti giunsero solo dopo molte ore, e furono insufficienti rispetto all’estensione della catastrofe. Si moltiplicarono le denunce da parte di sindaci e cittadini, mentre cresceva la frustrazione tra i sopravvissuti, costretti a vivere per settimane al freddo in tende o rifugi improvvisati.
Anche l’informazione giocò un ruolo cruciale: le immagini e le testimonianze diffuse dai telegiornali accrebbero la pressione sull’esecutivo e sulla macchina dei soccorsi. Tra i momenti più significativi si ricorda l’intervento televisivo di Pertini, allora Presidente della Repubblica, che denunciò pubblicamente le inefficienze dello Stato.
Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini ebbe, infatti, un ruolo cruciale e simbolicamente molto forte nei giorni successivi al terremoto del 23 novembre 1980. La sua figura emerse come punto di riferimento morale in un momento di enorme crisi, distinguendosi per la prontezza della risposta, l’empatia verso le vittime e la severa critica verso le inefficienze dello Stato.
Pertini si recò personalmente nelle zone terremotate, pochi giorni dopo il sisma. Fu uno dei primi rappresentanti istituzionali a farlo, e lo fece senza protocolli rigidi, camminando tra le macerie, parlando con la gente, abbracciando i sopravvissuti, ascoltando i racconti dei sindaci e dei soccorritori. Visitò diversi comuni della Campania e della Basilicata, tra cui Balvano, Sant'Angelo dei Lombardi, Lioni e Muro Lucano, portando vicinanza concreta e sollievo emotivo a una popolazione attonita e traumatizzata.
Il momento più ricordato del suo intervento fu una durissima denuncia trasmessa in diretta televisiva. In un messaggio al Paese, Pertini non esitò a condannare pubblicamente i ritardi nei soccorsi, la disorganizzazione dello Stato e la burocrazia paralizzante. In particolare, criticò la lentezza con cui venivano distribuiti gli aiuti, la mancanza di coordinamento tra le autorità civili e militari, l’assenza di piani di emergenza adeguati.
Le sue parole furono un atto di accusa contro il governo e l’apparato dello Stato, e al tempo stesso un richiamo alla responsabilità morale e politica. Questo intervento contribuì a scuotere l'opinione pubblica e a spingere le istituzioni ad agire con maggiore urgenza.
La fase della ricostruzione fu lunga, complessa e purtroppo segnata da ritardi, sprechi e corruzione. Furono, è vero, emanate delle leggi per salvaguardare le popolazioni colpite, a partire dal Decreto-legge 26 novembre 1980, n. 776, convertito con modificazioni nella Legge 23 gennaio 1981, n. 9, che fu il primo provvedimento d’urgenza emanato a soli tre giorni dal sisma. Prevedeva l’assegnazione immediata di fondi per i soccorsi e per le prime sistemazioni degli sfollati, l’intervento diretto dello Stato nella gestione dell’emergenza, l’impiego dell’Esercito per i soccorsi e per la logistica.
La Legge 14 maggio 1981, n. 219, comunque, fu la legge fondamentale per la ricostruzione. Essa stabilì indennizzi totali per la ricostruzione delle case distrutte, sia per i proprietari sia per gli inquilini, piani di ricostruzione e di rilancio socio-economico delle zone terremotate, incentivi alla delocalizzazione di abitazioni e attività produttive in aree più sicure, la realizzazione di infrastrutture pubbliche e servizi nei nuovi insediamenti e contributi per le imprese danneggiate, per rilanciare l'economia locale.
Fu prevista anche la nomina di Commissari straordinari con ampi poteri, uno per la Campania e uno per la Basilicata, per accelerare i tempi della ricostruzione.
Nonostante ciò, il terremoto del 1980 divenne emblema di una gestione politica clientelare e di un utilizzo distorto dei fondi pubblici. Nonostante i miliardi investiti, molte comunità impiegarono decenni per tornare alla normalità.
In Basilicata, però, la tragedia fu anche occasione di trasformazione. Si registrarono interventi infrastrutturali importanti e una crescente consapevolezza dell’importanza della prevenzione sismica. I comuni colpiti furono ricostruiti con criteri più moderni e resistenti, anche se le ferite sociali, demografiche e psicologiche non si sono mai del tutto rimarginate.