giovedì 30 settembre 2021

La Basilicata contemporanea. 37. Il terremoto della Basilicata del 1980

La sera del 23 novembre 1980, alle 19:34, un violento terremoto, con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, colpì il Sud Italia, devastando vaste aree della Campania e della Basilicata. Fu uno dei più gravi eventi sismici del dopoguerra in Italia, con una magnitudo di 6.9 della scala Richter e una durata di circa 90 secondi. L’epicentro fu localizzato tra i comuni di Conza della Campania, Sant’Angelo dei Lombardi e Lioni, ma le conseguenze si estesero su un territorio molto più ampio, colpendo duramente anche numerosi centri della Basilicata, in particolare nella provincia di Potenza.
Il terremoto provocò quasi 3.000 vittime, oltre 8.000 feriti e circa 300.000 sfollati. In Basilicata, le aree maggiormente colpite furono il Vulture-Melfese, il Melandro e alcune zone dell'Alta Val d'Agri. Comuni come Balvano, Bella, Muro Lucano, Potenza, Pescopagano e Baragiano subirono danni gravissimi. A Balvano, il crollo della chiesa dell’Assunta durante la messa domenicale causò la morte di oltre 70 persone, per lo più giovani e bambini.
Gli edifici costruiti con materiali scadenti o in modo non conforme alle norme antisismiche crollarono facilmente. Il disastro mise in evidenza le carenze strutturali di interi paesi e la vulnerabilità di un territorio già segnato dal dissesto idrogeologico e dall’abbandono.

I soccorsi furono lenti e disorganizzati. Il governo italiano, presieduto da Arnaldo Forlani, fu duramente criticato per l’inadeguatezza e il ritardo della risposta. I primi aiuti giunsero solo dopo molte ore, e furono insufficienti rispetto all’estensione della catastrofe. Si moltiplicarono le denunce da parte di sindaci e cittadini, mentre cresceva la frustrazione tra i sopravvissuti, costretti a vivere per settimane al freddo in tende o rifugi improvvisati.
Anche l’informazione giocò un ruolo cruciale: le immagini e le testimonianze diffuse dai telegiornali accrebbero la pressione sull’esecutivo e sulla macchina dei soccorsi. Tra i momenti più significativi si ricorda l’intervento televisivo di Pertini, allora Presidente della Repubblica, che denunciò pubblicamente le inefficienze dello Stato.
Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini ebbe, infatti, un ruolo cruciale e simbolicamente molto forte nei giorni successivi al terremoto del 23 novembre 1980. La sua figura emerse come punto di riferimento morale in un momento di enorme crisi, distinguendosi per la prontezza della risposta, l’empatia verso le vittime e la severa critica verso le inefficienze dello Stato.
Pertini si recò personalmente nelle zone terremotate, pochi giorni dopo il sisma. Fu uno dei primi rappresentanti istituzionali a farlo, e lo fece senza protocolli rigidi, camminando tra le macerie, parlando con la gente, abbracciando i sopravvissuti, ascoltando i racconti dei sindaci e dei soccorritori. Visitò diversi comuni della Campania e della Basilicata, tra cui Balvano, Sant'Angelo dei Lombardi, Lioni e Muro Lucano, portando vicinanza concreta e sollievo emotivo a una popolazione attonita e traumatizzata.
Il momento più ricordato del suo intervento fu una durissima denuncia trasmessa in diretta televisiva. In un messaggio al Paese, Pertini non esitò a condannare pubblicamente i ritardi nei soccorsi, la disorganizzazione dello Stato e la burocrazia paralizzante. In particolare, criticò la lentezza con cui venivano distribuiti gli aiuti, la mancanza di coordinamento tra le autorità civili e militari, l’assenza di piani di emergenza adeguati.
Le sue parole furono un atto di accusa contro il governo e l’apparato dello Stato, e al tempo stesso un richiamo alla responsabilità morale e politica. Questo intervento contribuì a scuotere l'opinione pubblica e a spingere le istituzioni ad agire con maggiore urgenza.
La fase della ricostruzione fu lunga, complessa e purtroppo segnata da ritardi, sprechi e corruzione. Furono, è vero, emanate delle leggi per salvaguardare le popolazioni colpite, a partire dal Decreto-legge 26 novembre 1980, n. 776, convertito con modificazioni nella Legge 23 gennaio 1981, n. 9, che fu il primo provvedimento d’urgenza emanato a soli tre giorni dal sisma. Prevedeva l’assegnazione immediata di fondi per i soccorsi e per le prime sistemazioni degli sfollati, l’intervento diretto dello Stato nella gestione dell’emergenza, l’impiego dell’Esercito per i soccorsi e per la logistica.
La Legge 14 maggio 1981, n. 219, comunque, fu la legge fondamentale per la ricostruzione. Essa stabilì indennizzi totali per la ricostruzione delle case distrutte, sia per i proprietari sia per gli inquilini, piani di ricostruzione e di rilancio socio-economico delle zone terremotate, incentivi alla delocalizzazione di abitazioni e attività produttive in aree più sicure, la realizzazione di infrastrutture pubbliche e servizi nei nuovi insediamenti e contributi per le imprese danneggiate, per rilanciare l'economia locale.
Fu prevista anche la nomina di Commissari straordinari con ampi poteri, uno per la Campania e uno per la Basilicata, per accelerare i tempi della ricostruzione.
Nonostante ciò, il terremoto del 1980 divenne emblema di una gestione politica clientelare e di un utilizzo distorto dei fondi pubblici. Nonostante i miliardi investiti, molte comunità impiegarono decenni per tornare alla normalità.
In Basilicata, però, la tragedia fu anche occasione di trasformazione. Si registrarono interventi infrastrutturali importanti e una crescente consapevolezza dell’importanza della prevenzione sismica. I comuni colpiti furono ricostruiti con criteri più moderni e resistenti, anche se le ferite sociali, demografiche e psicologiche non si sono mai del tutto rimarginate.

giovedì 23 settembre 2021

Risorgimento lucano. 39. Imputati di reati politici in Basilicata per i fatti del 1848

FONTE: F. ECHANIZ, Atto di accusa e conclusioni date dal Procurator Generale del re Francesco Echaniz nella causa per reità di stato consumate in Potenza nel corso dell'anno 1848, Potenza, Tip. V. Santanello, 1852, p. 105.

giovedì 16 settembre 2021

Risorgimento lucano. 38. Il Memorandum del 1848

FONTE: ARCHIVIO DI STATO DI POTENZA, Processo per la Setta dell’Unità d’Italia, b. 3, f. 5, "Memorandum delle province confederate", 25.06.1848

giovedì 9 settembre 2021

Personaggi. 26a. Petruccelli della Gattina romanziere

Petruccelli della Gattina è noto come giornalista e scrittore politico, ma la sua attività fu anche scandita da romanzi che all'epoca fecero un certo scalpore. 
Nel 1845, attingendo alla grande enciclopedia medievale, pubblicò a Napoli il suo primo romanzo, di ispirazione gotica, Malina. Storia napoletana del secolo quattordicesimo, cui seguì nel 1847 a Parigi Ildebrando. Cronache del secolo undicesimo, che, con la sua radicale critica al potere temporale dei papi, fu ristampato dall’editore milanese Daelli nel 1864 con il titolo Il re dei re. Convoglio diretto nell’XI secolo. Francesco Torraca lo definì «uno dei più strani che abbia mai letti».
La sua opera letteraria più nota, Memorie di Giuda (Milano 1870), fu prima pubblicata a Parigi nel 1867 con il titolo Les mémoires de Judas, e tradotta da lui stesso in italiano. In questo particolare romanzo storico la materia dei Vangeli fu ripresa inserendo una quantità di personaggi d'invenzione e presentando un Cristo del tutto umano; alla narrazione erano mescolati frequenti riferimenti al presente, nella decisa prevalenza della dimensione politica del racconto. Memore dei suoi studi giovanili presso Rosini, Petruccelli spacciò il testo per il volgarizzamento di un codice apocrifo del Nuovo Testamento ritrovato tra i papiri di Ercolano da parte del giovane Fabrizio. Un simile ‘Giuda rivoluzionario’ scatenò inevitabilmente le ire del mondo clericale.
Ancora, degli anni Settanta sono Il re prega (Milano 1874), Il sorbetto della regina (1875) e I suicidi di Parigi (Milano 1876); Giorgione (1879), che, con il successivo Imperia (188I pinzoccheri. Scene della rivoluzione francese, I-II, Bologna 1892.
0), segna il ritorno al romanzo storico della giovinezza. Postumo apparve il romanzo

Su di lui come romanziere pesa, forse, ancora la stroncatura che nel 1937 ne diede, impietosamente, Benedetto Croce:

"Quale delusione nello sfogliare i volumi di giornalisti che ebbero un tempo gran numero di lettori am-miranti e che parvero fontane zampillanti di vivacissimi spiriti ; quale sproporzione tra la pomposa risonanza del loro nome e l’effettiva povertà delle loro parole stampate ! Chi può ora sostenere la lettura dei romanzi dovuti alla penna del focoso giornalista-epigrammista che fu Ferdinando Petruccelli della Gattina: Il re prega, Il sorbetto della regina e altrettali, che vorrebbero dare quadri della Napoli borbonica e danno un cumulo di cose enormi, di delitti tenebrosi, di stranezze, di scempiaggini, senza disegno e senza stile, con una disinvoltura e un brio di maniera, meccanici e falsi? Le Memorie di Giuda del medesimo autore, scritte più abilmente, offrono l’ordinario ciarpame di lussuosità, lussuria, voluttà e crudeltà, che è d’obbligo nei romanzi sull’età imperiale, e par che contino sullo sbalordimento dei lettori nel leggere che Gesù aveva una sorella di nome Ida, la quale era stata venduta ai piaceri di Ponzio Pilato ed era fidanzata a Giuda, e aveva anche uno zio chiamato Barabba, e che egli fu bensì crocifisso ma tolto ancor vivo dalla croce e risanato e segretamente condotto a Roma, dove morì tre anni dopo di consunzione, assistito da Giuda e da Pilato; e simili stravaganze. Il pezzo forte del romanzo è la scena del furore di Claudia, moglie di Pilato, che fa gettare Ida nella vasca delle murene:

Appena il corpo di Ida cadde nel bacino, quelle centinaia di serpenti, come in un sol gruppo, si scagliarono sopra di lui. Ida si rialzò, e tentò di stare in piedi. L’acqua la copriva sino al. petto. Cominciò a strappare colle sue mani le murene che, come enormi sanguisughe, le si attaccarono con la bocca tutta aperta, formando un disco armato di succhiatoi, e la morsero... 
Ida ricadeva e spariva sotto l’acqua per un istante: poi si rilevava. Il suo collo e le sue guance erano stati invasi e morsicati. Si sarebbe detta una testa di Medusa. Le mani le braccia erano avvinghiate da quegli orribili mostri. Era divenuta una sola piaga: l’acqua arrossava. In quel punto una murena le saltò alle labbra. Ida piegò. Altre le si ap-presero agli occhi. Gettò un grido: fece uno sforzo supremo per sbarazzarsi da quelle morse viventi, da quei ferii divoratori, e riuscì a sbrattarne per un istante ancora il suo bel viso, orribilmente lacerato, poi vacillò e si abbiosciò ..." (da B. CROCE, Aggiunte alla “Letteratura della nuova Italia”, in «La Critica», n. 35 (1937), pp. 291-292).

giovedì 2 settembre 2021

Il Mezzogiorno moderno. 18. I De Cardenas: una famiglia potente

I De Cardenas avevano origini spagnole. 
Un ramo fu importato in Sicilia da Giovanni, Pretore di Palermo, nel 1321-22. Ne fu capostipite il nobiluomo spagnolo Fernando, originario di València, che aveva sposato una discendente diretta della Casa Reale di Castiglia e Leon. 
Tra i membri della famiglia si annoverano Giovanni, governatore della Camera sotto la regina Elisabetta; Alfonso, Castellano di Piazza e Marchese di Laino; Ferdinando, Principe del Sacro Romano Impero, tenente colonello di fanteria e Governatore di Milazzo nel 1723. 
Lo stemma araldico della famiglia era costituito da un’arma d’oro, due lupi passanti l’uno sull’altro, posti in fascia e la bordatura rossa, caricata di otto conchiglie e otto S maiuscole d’oro, alternate.
I Cardenas, in Basilicata, possedettero il feudo di Pisticci per oltre due secoli, dal 1593 a tutto il 1806 .
Precisamente, la presa di possesso della Terra di Pisticci venne registrata il 10 luglio 1593, con atto del notaio Camillo Positano di Bari. Quale primo atto vennero avviati gli interventi di ristrutturazione e ampliamento del castello, che divenne “castello degli Acerra”, dal momento che i De Càrdenas erano feudatari anche di Acerra e di Laino. Il castello, opportunamente fortificato, continuò a svolgere le funzioni di dimora della famiglia, dei governatori, di agenti e ospiti. Fu sede di uffici amministrativi e giudiziari e, nei piani inferiori, fu dotato di ambienti per il corpo di guardia. Solo per un breve periodo il feudo di Pisticci fu trasferito a Camillo De Curtis, proveniente da un’antica famiglia di origini longobarde, nel 1594, per poi essere nuovamente riacquistato, nel 1595, da don Bernardino De Càrdenas.
Patrizio napoletano, don Bernardino aveva sposato Fulvia Caracciolo, figlia di don Ferrante I duca di Airola, preferendo sempre la vita tranquilla di Pisticci al lusso e agli intrighi della capitale. Dopo la sua morte, avvenuta  il 14 gennaio 1625 a Pisticci, dove si era definitivamente stabilito, il feudo passò al figlio Giovanni, che ereditò il titolo paterno di Signore di Pisticci. Entrambi furono tumulati nella chiesa del Convento francescano di santa Maria delle Grazie (come si rileva ancora oggi dalle lapidi dei due sepolcri all’interno della stessa chiesa) .


FONTE: G. RECUPERO, Esame, e rischiaramento di altri dritti della corona sulle provincie del regno di Napoli, Napoli, Presso Gioacchino Milo, 1793, p. 96. 

La Basilicata contemporanea. 48. Giustino Fortunato e la ferrovia Rionero-Potenza

 Nella inaugurazione del tronco di ferrovia da Rionero a Potenza (21 settembre 1897)  Mi è grato, onorevoli Ministri de’ lavori pubblici, de...