Petruccelli della Gattina è noto come giornalista e scrittore politico, ma la sua attività fu anche scandita da romanzi che all'epoca fecero un certo scalpore.
Nel 1845, attingendo alla grande enciclopedia medievale, pubblicò a Napoli il suo primo romanzo, di ispirazione gotica, Malina. Storia napoletana del secolo quattordicesimo, cui seguì nel 1847 a Parigi Ildebrando. Cronache del secolo undicesimo, che, con la sua radicale critica al potere temporale dei papi, fu ristampato dall’editore milanese Daelli nel 1864 con il titolo Il re dei re. Convoglio diretto nell’XI secolo. Francesco Torraca lo definì «uno dei più strani che abbia mai letti».
La sua opera letteraria più nota, Memorie di Giuda (Milano 1870), fu prima pubblicata a Parigi nel 1867 con il titolo Les mémoires de Judas, e tradotta da lui stesso in italiano. In questo particolare romanzo storico la materia dei Vangeli fu ripresa inserendo una quantità di personaggi d'invenzione e presentando un Cristo del tutto umano; alla narrazione erano mescolati frequenti riferimenti al presente, nella decisa prevalenza della dimensione politica del racconto. Memore dei suoi studi giovanili presso Rosini, Petruccelli spacciò il testo per il volgarizzamento di un codice apocrifo del Nuovo Testamento ritrovato tra i papiri di Ercolano da parte del giovane Fabrizio. Un simile ‘Giuda rivoluzionario’ scatenò inevitabilmente le ire del mondo clericale.
Ancora, degli anni Settanta sono Il re prega (Milano 1874), Il sorbetto della regina (1875) e I suicidi di Parigi (Milano 1876); Giorgione (1879), che, con il successivo Imperia (188I pinzoccheri. Scene della rivoluzione francese, I-II, Bologna 1892.
0), segna il ritorno al romanzo storico della giovinezza. Postumo apparve il romanzo
Su di lui come romanziere pesa, forse, ancora la stroncatura che nel 1937 ne diede, impietosamente, Benedetto Croce:
"Quale delusione nello sfogliare i volumi di giornalisti che ebbero un tempo gran numero di lettori am-miranti e che parvero fontane zampillanti di vivacissimi spiriti ; quale sproporzione tra la pomposa risonanza del loro nome e l’effettiva povertà delle loro parole stampate ! Chi può ora sostenere la lettura dei romanzi dovuti alla penna del focoso giornalista-epigrammista che fu Ferdinando Petruccelli della Gattina: Il re prega, Il sorbetto della regina e altrettali, che vorrebbero dare quadri della Napoli borbonica e danno un cumulo di cose enormi, di delitti tenebrosi, di stranezze, di scempiaggini, senza disegno e senza stile, con una disinvoltura e un brio di maniera, meccanici e falsi? Le Memorie di Giuda del medesimo autore, scritte più abilmente, offrono l’ordinario ciarpame di lussuosità, lussuria, voluttà e crudeltà, che è d’obbligo nei romanzi sull’età imperiale, e par che contino sullo sbalordimento dei lettori nel leggere che Gesù aveva una sorella di nome Ida, la quale era stata venduta ai piaceri di Ponzio Pilato ed era fidanzata a Giuda, e aveva anche uno zio chiamato Barabba, e che egli fu bensì crocifisso ma tolto ancor vivo dalla croce e risanato e segretamente condotto a Roma, dove morì tre anni dopo di consunzione, assistito da Giuda e da Pilato; e simili stravaganze. Il pezzo forte del romanzo è la scena del furore di Claudia, moglie di Pilato, che fa gettare Ida nella vasca delle murene:
Appena il corpo di Ida cadde nel bacino, quelle centinaia di serpenti, come in un sol gruppo, si scagliarono sopra di lui. Ida si rialzò, e tentò di stare in piedi. L’acqua la copriva sino al. petto. Cominciò a strappare colle sue mani le murene che, come enormi sanguisughe, le si attaccarono con la bocca tutta aperta, formando un disco armato di succhiatoi, e la morsero...
Ida ricadeva e spariva sotto l’acqua per un istante: poi si rilevava. Il suo collo e le sue guance erano stati invasi e morsicati. Si sarebbe detta una testa di Medusa. Le mani le braccia erano avvinghiate da quegli orribili mostri. Era divenuta una sola piaga: l’acqua arrossava. In quel punto una murena le saltò alle labbra. Ida piegò. Altre le si ap-presero agli occhi. Gettò un grido: fece uno sforzo supremo per sbarazzarsi da quelle morse viventi, da quei ferii divoratori, e riuscì a sbrattarne per un istante ancora il suo bel viso, orribilmente lacerato, poi vacillò e si abbiosciò ..." (da B. CROCE, Aggiunte alla “Letteratura della nuova Italia”, in «La Critica», n. 35 (1937), pp. 291-292).
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