Con l’Unificazione, sancita dai Plebisciti del 21 ottobre, i contrasti non erano pacificati. Anzi, dopo le sommosse legittimiste, sembrò che si ravvivassero simpatie borboniche, anche perché, di fatto, a partire dal 1861 i più colpiti sul piano dei danni alle persone e alle proprietà furono specialmente le famiglie liberali benestanti, che da subito avevano aderito alla rivoluzione unitaria ed erano stati premiati dal Governo Prodittatoriale con cariche di sindaco o di capitano della Guardia nazionale.
Già nel 1861 nel territorio di Marsicovetere si costituì una banda composta da Giuseppe Parisi Pezzullo, Giuseppe Varallo “Pazzo” e Berardino Galotta, mentre, nello stesso anno, la banda di Angelantanio Masini, detto “Cinoccolo”, Giuseppantonio Nigro detto “Masciorino”, Nicola Masini e Antonio Curcetti, di Paterno, sequestrò Giuseppe Cutinella.
L’anno dopo, Nicola ed Angelantonio Masini furono processati per aver assaltato Nicola Durante ed Ignazio Logiovine a scopo di estorsione; Angelantonio Masini, tra l’altro, risulta essere il capo della banda, favoreggiata da Francesco Nasca, Domenica Sangone, rea, tra l’altro, di incitamento alla prostituzione, Maria Rosa Marinelli, Nicola Nigro: la banda si rese colpevole anche di un sequestro, ai danni di Francesco Saverio Fratantuono, e di rapina a mano armata contro Michele Amato e Martino Conti.
Proprio Angelantonio Masini, nato nel 1837 a Marsicovetere, aveva disertato dall’esercito borbonico nei mesi della rivoluzione del 1860, costituendo una banda di circa novanta componenti. Tra essi numerose donne, quali Maria Rosa Marinelli, contadina, già dal 1862 amante del capobanda, o ancora la vivandiera Reginalda Rosa Cariello, ventiquattrenne contadina di Padula, rapita da un brigante del proprio paese e che vestiva come un uomo: la Cariello sarebbe stata assolta nel 1865 per mancanza di prove, quindi condannata in appello a 4 anni; Filomena Cianciarullo, rapita dal cugino di Masini, Nicola “Colicchione”, dal quale ebbe due figli, il secondo dei quali partorito in carcere, nel 1866 e condannata a 3 anni.
La banda si spinse fin nel Vallo di Diano ed ebbe numerosi scontri con la Guardia Nazionale. Nel 1862, ad esempio, il Masini sconfisse, proprio a Marsicovetere, la Guardia Nazionale di Anzi, comandata da Francesco Pomarici. La banda Masini imperversò, nel giro del triennio 1861-1864, anche nel territorio di Marsiconuovo e di Calvello, rendendosi colpevole di «grassazione, percosse, maltrattamenti con minaccie nella vita» ed arrivando addirittura ad assaltare le Regie Poste. Questo, anche con la connivenza di numerose famiglie - tra le quali i Votta di Marsiconuovo e la stessa cugina del capobanda, Caterina Giampietro, «imputata di manutengolismo» - e in raccordo, a partire dal 1864, con la banda del brigante Parise e, fino al 1864, con la banda Cianciarulo di Marsiconuovo, giungendo anche ad attentare alla vita del sindaco Alessandro Gianpietro.
Eppure, un episodio curioso testimonierebbe una pur primitiva “fede” della banda Masini alla Madonna di Viggiano, che nel 1863 inviò alla Chiesa madre viggianese un’offerta di 70 piastre, certamente dopo aver disperso un reparto di carabinieri e di guardie di Armento. Addirittura, in agro di Paterno, la banda Masini riuscì a disperdere, nell’agosto di quell’anno, un reparto dell’LXXX Reggimento Fanteria, per poi dirigersi su Marsiconuovo, dove, tra il 20 ed il 21 ottobre, fu massacrato, nel convento cappuccino, il padre guardiano:
Nè i briganti avevano riguardo a carattere religioso o ad innocente età, perchè le bande riunite di Masini, Scoppettiello e dei Corletani in compagnia di quella di Giuseppe Antonio Franco, che si aggiravano fra i circondari di Potenza e Lagongeo, ed in una parte della confinante provincia di Salerno [...] nel bosco di Pierfaone, verso Marsico, sequestrarono ed uccisero Padre Antonio di Tolve, Guardiano dei Cappuccini del monastero di Marsico.
Il territorio d’azione della banda Masini, comprese dapprima la val d’Agri tutta, per poi spingersi fino a Terra d’Otranto, passando per il Materano, il Lagonegrese ed il Vulture-Melfese, teatro di numerosi scontri con le forze italiane. Il Prefetto Veglio di Castelletto, nel 1864, descrisse al generale Lamarmora ed al generale Avenati lo scontro fra la banda e un drappello misto di componenti della guardia nazionale e di carabinieri in perlustrazione nel territorio di San Mauro. L’esito del conflitto, ad appannaggio del Masini, riportò ben sette uomini seviziati ed uccisi a sangue freddo dopo la cattura ad opera dello stesso.
Come conseguenza di questo episodio cruento vi fu l’aggiornamento della taglia del Masini, che passò dalle 9.000 alle 12.000 lire, consegnando alla storia il Masini come il terzo brigante più pericoloso di Basilicata, preceduto solo da Carmine Crocco - taglia di 20.000 lire - e Giuseppe Nicola Summa, detto «Ninco Nanco» - taglia di 15.000 lire. Probabilmente questo fu l’apice della parabola criminale del Masini, considerato un pericolo pubblico e che poteva contare su di una numerosa ed agguerrita banda a cavallo ed i favori di molteplici manutengoli, sparsi nel territorio lucano e non. Difatti, l’azione della banda, grazie all’aiuto di compiacenti famiglie, si spinse sino al tenimento di Sala Consilina, dove la famiglia Acciari accolse nel proprio palazzo Rosa Maria Marinelli e Filomena Cianciarulo, quest’ultima in stato di gravidanza, trattate con tutti gli onori del caso; la stessa famiglia regalò al Masini un cannocchiale di estremo valore, ordinato ad un rivenditore specializzato di Napoli.
L’escalation della banda Masini ebbe, infatti, un durissimo colpo quando, il 22 maggio 1864, Masini fu colto di sorpresa nei piani dell’Avellana, subendo perdite rilevanti ad opera dei bersaglieri: decimata la banda, Angelantonio Masini fu ucciso nella sera del 20 dicembre 1864 nel territorio di Padula, nella masseria del manutengolo Gerardo Ferrara, in un'imboscata tesa dalla Guardia Nazionale del posto, comandata da Filomeno Padula, e da un reggimento di fanteria del regio esercito, guidato dal capitano Francesco Fera. Con il Masini era la Marinelli, che, riuscì a fuggire saltando sui tetti delle case vicine. La Marinelli vagò di notte sfuggendo ai briganti che aveva sempre seguito, sino a raggiungere Padula, dove il sacerdote, Don Luigi Parente, incaricò Nunziato Laino di Paterno, a ricevere la fuggitiva. La mattina seguente, si sarebbe costituita.
Maria Rosa Marinelli era nata a Marsicovetere nel 1853, figlia di Angelo e Domenica Langone. La famiglia non versava in condizioni agiate e dunque sin da piccola la Marinelli lavorò come filatrice e bracciante agricola. Il padre, inoltre, fu accusato di essere un manutengolo. La relazione fra lei ed il Masini fu considerata da alcuni come un rapporto di sottomissione della Marinelli nei confronti del capobrigante, altri invece sottolineano la volontà della stessa a seguire il bell’Angelo Antonio, così come emerge dalla testimonianza dello zio materno Stefano Langone, nella quale durante il processo che si tenne nei confronti della madre Domenica Langone e dello zio Francesco Nasca, accusati di aver favorito la prostituzione della giovane proprio con il capo banda Masini, emerge una figura consapevole e decisa a voler seguire ed intraprendere il brigantaggio. A dar forma e sostanza a questa tesi è il secondo ed ultimo processo al quale partecipò la Marinelli, questa volta da imputata, al termine della sua vita da brigantessa, accusata di complicità nello stupro di Augustalia Aliano, grassazioni, sequestri di persona, assassinio del frate Antonio da Tolve e ruberie varie.
Con la morte del capobrigante, la sua banda venne decimata e i suoi giustizieri vennero decorati ed onorati. Filomeno Padula ricevette un premio di 2.857 lire mentre Francesco Fera ricevette un'onorificenza dell'ordine militare di Savoia e fu elogiato dal ministro della guerra Agostino Petitti di Roreto. La sua banda, priva di guida, si costituì nel giro di pochi giorni.
Dopo la morte del Masini, il processo che ne seguì scagionò la Marinelli, che, difesa dal sottotenente Antonio Polistina, ricevette l’assoluzione nel 1865. A salvarla, comunque, da morte certa per i crimini commessi fu la sua decisione di rinnegare tutto ciò che era sempre stata, fuggendo da quelli che, sino alla morte del Masini, erano stati i suoi compagni e trovando rifugio nel clero. Sino alla fine la figura di Maria Marinelli risulta dunque essere controversa, rivestendo comunque un ruolo di primo piano nella vicenda del brigantaggio legata a Marsicovetere ed alla banda Masini, sicuramente alla luce del rapporto tra questa ed il capobrigante.
Nicola Masini, detto Corchione o Chirchirru, numero due della banda e parente e complice del capobanda, cercò inutilmente di ricostituire la banda ed operò qualche sortita criminosa fino alla piana di Santaloia, nel territorio di Tito, ma, fallito il tentativo, si costituì il 12 gennaio del 1865 e, processato il 24 aprile, fu condannato a vent’anni di lavori forzati.
FONTI:
ARCHIVIO DI STATO DI POTENZA, Atti e Processi di Valore Storico, vol. 232, fasc. 7; vol. 233, fasc. 1, vol. 307, fasc. 24; vol. 308, fascc. 4-5, 7-8¸ vol. 350, fascc. 5-6; vol. 371, fasc. 3; vol. 392, fascc. 18, 19, 21-25; vol. 365, fasc. 8.
M. Restivo, Ritratti di brigantesse. Il dramma della disperazione, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1997.
F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Milano, Feltrinelli, 1964.