lunedì 15 luglio 2013

Risorgimento lucano. 10. Avigliano per l'Unità d'Italia: il 1848

L’apporto del Mezzogiorno d’Italia nel 1848 fu cruciale: l’associazionismo meridionale era fortemente radicato nella vita sociale e amministrativa di molte realtà, influenzando in maniera positiva lo sviluppo di idee portanti.
Quello che accadde a partire dal mese di gennaio innescò un effetto trascinatore in tutto il Regno. Il voltafaccia ferdinandeo del 15 maggio impattò contro una popolazione già riunita in associazioni osteggianti idee costituzionali moderate e radicali, in alcuni casi con tendenze radicali indipendentiste. Le proteste non ebbero luogo solo a Napoli. La Calabria divenne il vero nucleo insurrezionale, tanto da formare un governo provvisorio in giugno, mentre la Basilicata, in questo periodo, si caratterizzò per la presenza di movimenti associazionistici contraddistinti da un programma democratico di notevole impatto. Basti pensare al fatto che il gallicchiese Giambattista Robertella, giunto a Corleto nel mese di giugno del 1848, organizzava un gruppo armato con l’intento di spostarsi su Potenza per fare causa comune con il governo provvisorio e difendere l’imbocco sul Marmo. Il Robertella sfruttava propizie argomentazioni per la sua causa: sosteneva che già in molti e in particolare da Avigliano, con «diverse centinaia» di insorti, si fossero spostati nel capoluogo.
Eppure, Avigliano fu, di fatto, “frenata” dalla presenza di un “grande vecchio” dei gloriosi anni napoleonici, quel Giulio Corbo che, dottore in utroque jure, aveva partecipato come «commissario organizzatore» e costituito la locale municipalità repubblicana. Ritornato in patria nel Decennio napoleonico, era stato incluso tra i 304 eleggibili al Parlamento Nazionale Seggio dei Possidenti e, successivamente, chiamato a far parte del Collegio Elettorale della Basilicata. Presidente del Consiglio Provinciale di Basilicata, anche dopo la restaurazione mantenne la carica di consigliere provinciale e fu annoverato tra gli esponenti di spicco della massoneria locale, aderendo anche alla Carboneria e partecipando alla rivoluzione del 1820-21. Dopo quella esperienza, ripiegò nella gestione delle tenute dei Corbo, divenendo una delle espressioni più convincenti di borghesia agraria innovativa della Basilicata, al punto che, nel 1846, Corbo ospitò nella tenuta di Iscalunga, tra Avigliano e Atella, il re Ferdinando II, che, in quella occasione conferì a Giulio il titolo di cavaliere trasmissibile agli eredi.
Nel marzo 1848, sebbene avesse aderito al movimento liberale, assunse una posizione in netto contrasto con il programma del Circolo Costituzionale Lucano. Regio commissario organizzatore della Provincia di Basilicata nel 1848, fu inviato in vari centri abitati del Melfese per indurre quelle popolazioni a rimanere fedeli al sovrano e a non seguire le direttive democratiche che incitavano i contadini alla occupazione delle terre. Con decreto del 13 maggio 1848, fu chiamato a far parte della Camera dei Pari. Ovviamente, la pluralità di esperienza e la qualità del vissuto del Corbo evidenziano un profilo complesso e variegato di una personalità che attraversa tutto il periodo risorgimentale, eccezion fatta per l’epilogo, con posizioni variamente modulate, collocate in contesti variegati, carichi di significanze peculiari e non riconducibili a semplificazioni. In altri termini, la parabola di vita di Giulio Corbo evidenzia la non linearità dei processi di cultura e pratica politica dei ceti dirigenti locali, a prima vista finanche contraddittori.
Sta di fatto che il grande sogno costituzionale terminò in un modo che allo stesso Corbo (che sarebbe morto nel 1856) ricordava, forse, i tragici giorni di cinquant’anni prima: il numero degli imputati per reati politici in Basilicata raggiunse quota 1116, con i processi conclusisi nel luglio del 1852.

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