L’apporto
del Mezzogiorno d’Italia nel 1848 fu cruciale: l’associazionismo meridionale
era fortemente radicato nella vita sociale e amministrativa di molte realtà,
influenzando in maniera positiva lo sviluppo di idee portanti.
Quello che
accadde a partire dal mese di gennaio innescò un effetto trascinatore in tutto
il Regno. Il voltafaccia ferdinandeo del 15 maggio impattò contro una
popolazione già riunita in associazioni osteggianti idee costituzionali moderate
e radicali, in alcuni casi con tendenze radicali indipendentiste. Le proteste
non ebbero luogo solo a Napoli. La Calabria divenne il vero nucleo
insurrezionale, tanto da formare un governo provvisorio in giugno, mentre la
Basilicata, in questo periodo, si caratterizzò per la presenza di movimenti
associazionistici contraddistinti da un programma democratico di notevole
impatto. Basti pensare al fatto che il gallicchiese Giambattista Robertella,
giunto a Corleto nel mese di giugno del 1848, organizzava un gruppo armato con
l’intento di spostarsi su Potenza per fare causa comune con il governo
provvisorio e difendere l’imbocco sul Marmo. Il Robertella sfruttava propizie
argomentazioni per la sua causa: sosteneva che già in molti e in particolare da
Avigliano, con «diverse centinaia» di insorti, si fossero spostati nel
capoluogo.
Eppure,
Avigliano fu, di fatto, “frenata” dalla presenza di un “grande vecchio” dei
gloriosi anni napoleonici, quel Giulio Corbo che, dottore in utroque jure,
aveva partecipato come «commissario organizzatore» e costituito la locale
municipalità repubblicana. Ritornato in patria nel Decennio napoleonico, era
stato incluso tra i 304 eleggibili al Parlamento Nazionale Seggio dei
Possidenti e, successivamente, chiamato a far parte del Collegio Elettorale
della Basilicata. Presidente del Consiglio Provinciale di Basilicata, anche
dopo la restaurazione mantenne la carica di consigliere provinciale e fu
annoverato tra gli esponenti di spicco della massoneria locale, aderendo anche
alla Carboneria e partecipando alla rivoluzione del 1820-21. Dopo quella
esperienza, ripiegò nella gestione delle tenute dei Corbo, divenendo una delle
espressioni più convincenti di borghesia agraria innovativa della Basilicata,
al punto che, nel 1846, Corbo ospitò nella tenuta di Iscalunga, tra Avigliano e
Atella, il re Ferdinando II, che, in quella occasione conferì a Giulio il
titolo di cavaliere trasmissibile agli eredi.
Nel marzo
1848, sebbene avesse aderito al movimento liberale, assunse una posizione in netto
contrasto con il programma del Circolo Costituzionale Lucano. Regio commissario
organizzatore della Provincia di Basilicata nel 1848, fu inviato in vari centri
abitati del Melfese per indurre quelle popolazioni a rimanere fedeli al sovrano
e a non seguire le direttive democratiche che incitavano i contadini alla
occupazione delle terre. Con decreto del 13 maggio 1848, fu chiamato a far
parte della Camera dei Pari. Ovviamente, la pluralità di esperienza e la
qualità del vissuto del Corbo evidenziano un profilo complesso e variegato di
una personalità che attraversa tutto il periodo risorgimentale, eccezion fatta
per l’epilogo, con posizioni variamente modulate, collocate in contesti
variegati, carichi di significanze peculiari e non riconducibili a semplificazioni.
In altri termini, la parabola di vita di Giulio Corbo evidenzia la non
linearità dei processi di cultura e pratica politica dei ceti dirigenti locali,
a prima vista finanche contraddittori.
Sta di fatto che il grande sogno
costituzionale terminò in un modo che allo stesso Corbo (che sarebbe morto nel
1856) ricordava, forse, i tragici giorni di cinquant’anni prima: il numero degli imputati per reati politici in
Basilicata raggiunse quota 1116, con i processi conclusisi nel luglio del 1852.
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