La breve stagione del Decennio francese segna, per Napoli, la cruciale transizione dall'antico regime tipografico alla più avanzata condizione del lavoro editoriale nel quadro delle generali trasformazioni operate dai Napoleonidi. Il tema editoriale mostra, infatti, ulteriormente l’attenzione dei Napoleonidi ai linguaggi ed alle forme comunicative con l’istituzione di una vera e propria industria editoriale di Stato, tendente alla specializzazione grazie alla divisione di compiti tra privati appaltatori e Stamperia Reale e mirante in primis ad allargare il pubblico, formando quell’opinione pubblica mancata nell’esperimento repubblicano del 1799 a Napoli.
Proprio l’esempio della vera e propria rinascita della Stamperia Reale, rilanciata da Giuseppe Bonaparte premettendovi a capo Francesco Daniele, consente di mostrare il rilancio di un organismo editoriale fondamentale per l’immagine dei sovrani presso un più vasto pubblico.
Nato, nel 1740, presso la piccola frazione di San Clemente di Caserta, Daniele si trasferì a Napoli per intraprendere gli studi universitari. Singolari furono i suoi interessi per la filosofia, l’oratoria e la giurisprudenza, ma ancora più importanti furono le sue frequentazioni con noti intellettuali del tempo, come Antonio Genovesi, Antonio Cirillo e Matteo Egizio. I suoi interessi letterati iniziarono dopo aver curato, nel 1762, un’edizione delle opere di Antonio Telesio, zio del più famoso Bernardino. Il successo ottenuto gli procurò non pochi consensi intellettuali, tanto da essere incaricato, poco dopo, come responsabile della pubblicazione di alcuni componimenti poetici di Marco Mondo, padre di Domenico, pittore di corte dei Borbone. Dopo una breve esperienza come avvocato, fece ritorno presso la casa natale per occuparsi di alcune proprietà familiari. Questa nuova responsabilità gli diede, però, la possibilità di portare avanti i suoi studi classici, acquisendo specifici documenti e oggetti antichi provenienti dal territorio casertano. Contestualmente, diede vita a una ricca biblioteca. Verso la fine del secolo produsse una serie di libri, di cui alcuni dedicati alla trattazione critica della storia della città di Caserta. La fortuna ottenuta da tali lavori gli venne altresì riconosciuta dal marchese Domenico Caracciolo, che lo riconvocò a Napoli per fargli assumere l’incarico di Regio Istoriografo.
Successivamente entrò a far parte dell’Accademia della Crusca, ma soprattutto divenne censore della Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere. Ancora, gli venne conferito l’onere di sistemare la prestigiosa raccolta di volumi della Biblioteca Farnese e venne, inoltre, associato all’Accademia Ercolanense, sodalizio con cui doveva realizzare dei volumi dedicati alle scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei. Con lo scoppio della rivoluzione del 1799, fece ritorno a San Clemente, dove si impegnò nello studio delle monete in uso nell’antica Capua.
Durante l’epoca napoleonica, gli vennero restituite tutte le cariche precedenti e, in particolare, venne nominato segretario perpetuo della Nuova Accademia di Storia e di Antichità, ma anche, come detto, direttore della Stamperia Reale. La sua fama giunse pure all’estero, tanto da essere associato alla Royal Society di Londra e, qualche tempo dopo, all’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo.
Un progetto, dunque, di attivo e sostanziale coinvolgimento di intelligencja e risorse socio-imprenditoriali nella costruzione del consenso e di classi altamente professionalizzate, che ebbe ripercussioni anche nei territori napoleonici settentrionali.
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