Il giacobinismo, penetrato in Italia attraverso le logge massoniche, favorite e protette da alcuni governi, come da quello asburgico in Lombardia e da quello borbonico a Napoli e divenute poi importanti centri cospirativi, aveva poco in comune con il riformismo settecentesco: fautori dell’indipendenza italiana, quale condizione indispensabile per la creazione di strutture sociali radicalmente nuove, i giacobini, esortando alla rivoluzione, si allontanavano dai riformatori della vecchia generazione, inclini a respingere l’ondata di violenza oppure disposti anche a collaborare: non a caso, infatti, i centri del giacobinismo si trovavano soprattutto negli Stati dove erano fallite o erano rimaste bloccate e soffocate le riforme settecentesche.
La politica repressiva aveva finito, infatti, per favorire la trasformazione delle logge massoniche in club rivoluzionari: a Napoli, ad esempio, la propaganda rivoluzionaria era penetrata a poco a poco, oltre che fra la borghesia e il basso clero, anche fra la nobiltà .
La monarchia, intimorita dalle notizie dei tumulti francesi, aveva cercato di correre prontamente ai ripari emanando, il 3 novembre 1789, un editto che segnava l’inizio di una violenta repressione e che proibiva le riunioni della Massoneria e vietava l’istituzione di ogni altra società.
I primi nuclei giacobini napoletani, che si erano dapprima limitati ad un’opera di diffusione degli scritti rivoluzionari, avevano poi ricevuto una vigorosa spinta dalla presenza
del barone Armand Mackau, nominato nell’aprile 1792 rappresentante francese presso la corte borbonica: la dimora dell’ambasciatore francese divenne il ritrovo preferito dei giacobini napoletani e, nel dicembre 1792, bastò l’arrivo a Napoli di una flotta francese comandata dal Latouche-Tréville per eccitare e animare ancora di più i giacobini della città: in quell’occasione, infatti, l’ammiraglio francese era stato inviato a Napoli per ottenere chiarimenti dal governo di Ferdinando IV per un oltraggio subito dalla Francia a Costantinopoli e, durante la permanenza della squadra navale francese nel porto di Napoli, Antonio Jerocades, attivo fautore delle nuove idee, promosse congiuntamente a Carlo Lauberg la costituzione nell’agosto 1793 della “Società patriottica”.
Carlo Lauberg, seguace delle teorie chimiche di Lavoisier e autore di numerosi studi di meccanica, matematica e gnoseologia, nel 1792 aveva aperto un’Accademia di chimica con Annibale Giordano, con il quale fu accusato per la nota congiura del 1794 : proprio l’orientamento radicale di Lauberg, in contrasto con il moderatismo di Jerocades, determinò la breve vita della “Società patriottica”, dal cui scioglimento si formarono due club segreti nettamente distinti: il primo («Lomo», sigla del motto «Libertà o morte»), che riconosceva come capo Rocco Lentini, perseguiva l’obiettivo di un regime di maggiore libertà per il popolo napoletano; il secondo («Romo», sigla del motto «Repubblica o morte»), guidato da Andea Vitaliani e composto da estremisti, aveva come fine quello di abbattere la monarchia e di istituire una Repubblica democratica.
Era soprattutto Vitaliani a preparare il moto insurrezionale cercando di diffondere fra le masse popolari l’odio contro la tirannide: nella primavera del 1794, in seguito alla delazione di Donato Frongillo, venne scoperta una vera e propria cospirazione, seguita da una dura repressione, a seguito della quale molti congiurati riuscirono a fuggire, ma quelli che avevano attivamente partecipato alla cospirazione furono sottoposti a severa sorveglianza della polizia. Vennero eseguite alcune condanne a morte, riservate, dopo la fuga dei maggiori congiurati, a elementi minori, come Vincenzo Vitaliani, fratello di Andrea.
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