Nel 1820 in Europa si creò un binomio che sarebbe sfociato nella Rivoluzione del 1848 e si sarebbe protratto a lungo in Italia fino all’Unità, ossia quello tra Atteggiamento conservatore delle monarchie restaurate/Tendenze liberali tra il popolo.
Ancora una volta, come in età napoleonica, l'iniziativa partì dalla Spagna dove, il 1º gennaio 1820, alcuni reparti concentrati nel porto di Cadice (non fu un caso) in attesa di essere imbarcati per l'America Latina, dov'erano stati stanziati per reprimere delle rivolte, si ammutinarono. In pochi giorni la rivolta si estese in altri reparti, rendendo vani i tentativi di repressione e costringendo il re a richiamare in vigore la costituzione liberale del 1812.
La vittoria facile dei liberali spagnoli infiammò gli animi e nel luglio ebbe inizio il moto rivoluzionario di Napoli. Anche a Napoli, l'iniziativa spettò ai militari, i soli che, come suggerisce Vidotto, erano «in grado di minacciare seriamente la stabilità di troni e governi».
Dopo un tentativo rivoltoso scoperto nel maggio a Salerno, il 1º luglio a Nola, un gruppo di soldati, guidati da due ufficiali, Morelli e Silvati, si ammutinò e unendosi ai rivoltosi Salernitani chiesero che nel regno venisse applicata la Costituzione di Spagna del 1812. La rivolta dilagò in provincia cogliendo anche l'assenso di altri reparti, come quello comandato dal generale Guglielmo Pepe che si mise a capo della rivolta. Nel contempo anche in Sicilia dilagò il moto, sponsorizzato e fomentato dai fidi dei Borboni, gli Inglesi, che assunse tratti separatisti, come sempre, del resto, nella parte insulare del Regno.
La mancanza di coesione, quindi, del popolo rivoltoso, data la molteplicità di interessi e l'intervento austriaco, furono le cause del fallimento del moto che, dopo i richiami fatti dal Metternich al re “pusillanime e spergiuro” (definito così da questo momento da parte del popolo per aver ritirato la parola data oltre che la costituzione), si concluse con la sconfitta degli eserciti rivoluzionari nella battaglia di Rieti - Antrodoco e le condanne a morte dei sostenitori del moto, con notevoli strascichi anche in Basilicata.
Nella nostra provincia, infatti, già il 28 agosto 1818 si era tenuta una Assemblea Carbonara Lucana a Potenza, presieduta da Egidio Marcogiuseppe. Due anni dopo, nel giugno 1820, sempre a Potenza, si era tenuta un'ulteriore assemblea della rete di «Vendite» carbonare presenti nella provincia, sfociata, il 6 luglio 1820, nella pubblicazione, da parte del Senato della Regione della Lucania Orientale, di una Dichiarazione in nome di Dio e sotto gli auspici della Nazione Napoletana, con la promessa di diminuzione delle imposte fondiarie ed esortazione a giurare fedeltà al sovrano ed alla Costituzione.
Quattro giorni dopo, Egidio Marcogiuseppe fece pubblicare il «Giornale patriottico della Lucania Orientale», edito fino al 13 marzo 1821.
Il 10 agosto, una ulteriore assemblea del Popolo Carbonaro della Lucania Orientale, con dichiarazione pubblica indirizzata al Duca di Calabria e Vicario Generale del Regno di Napoli, il futuro Francesco I, faceva entrare ufficialmente la Basilicata nelle elezioni per il Parlamento Nazionale delle Due Sicilie, tenutesi il 3 settembre, con l'elezione di Domenico Cassino di Moliterno, Carlo Corbo di Avigliano, Innocenzo De Cesare di Craco, Gaetano Marotta di Trecchina, Paolo Melchiorre di Lauria, Francesco Petruccelli di Moliterno, Diodato Sansone di Bella, Diodato Sponsa di Avigliano.
Con il precipitare degli eventi a Napoli, il 28 gennaio 1821, dopo la Convocazione del Parlamento Nazionale delle Due Sicilie e la dichiarazione di guerra all’Austria che aveva deciso l’occupazione del Mezzogiorno d’Italia, le truppe dei Legionari lucani, al comando di Diodato Sponsa, mossero verso il Lazio per congiungersi all’Armata del generale Guglielmo Pepe.
Dopo Antrodoco, il 21 aprile 1821 si ebbero ancora tentativi insurrezionali, come quelli dei capitani Giuseppe Venita e Domenico Corrado a Tito e Vignola (Pignola).
L'esercito austriaco entrato a Napoli si spinse fino in Basilicata: il 30 agosto, a Potenza, Laurenzana e Calvello, furono istituite quattro corti marziali, una delle quali presieduta dal maresciallo Philip Roth. Esse, tra il 13 marzo e il 10 aprile 1822, decretarono l'esecuzione, dopo processo sommario, dei protagonisti lucani dei moti insurrezionali, tra i quali Domenico Corrado, Giuseppe Venita e Carlo Mazziotta.
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