Nitti nacque a Melfi (Potenza), il 19 luglio 1868 da Vincenzo e da Filomena Coraggio. La famiglia aveva salde convinzioni antiborboniche e democratiche. Compiuti i primi studi nel paese natale, frequentò il ginnasio a Melfi e il liceo a Napoli, dove si trasferì nel 1883. Conseguì la laurea in giurisprudenza nel 1890 nell’Ateneo partenopeo, in cui entrò in contatto con docenti prestigiosi come Federico Persico (diritto amministrativo), Giorgio Arcoleo (diritto costituzionale) e Francesco Scaduto (diritto ecclesiastico). Grazie a queste amicizie influenti e a quelle del padre (soprattutto Giustino Fortunato ed Ettore Ciccotti) da studente universitario avviò un’intensa attività giornalistica nel Corriere di Napoli e come corrispondente della Gazzetta Piemontese, e dal 1892 trovò ampio spazio di collaborazione sul Mattino, il nuovo quotidiano fondato da Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao.
La precocità intellettuale di Nitti si manifestò nel primo libro, pubblicato da Roux a Torino nel 1888, L’emigrazione italiana e i suoi avversari, nel quale sostenne la necessità di una legislazione favorevole ai flussi migratori verso l’estero come via d’uscita dall’arretratezza e dalla miseria di milioni di contadini oppressi «dalla cattiveria e infingardaggine delle classi dirigenti». Schierato sulle posizioni del germanesimo economico, applicò lo stesso ‘metodo positivo’ nella monografia Il Socialismo cattolico (edita da Roux, 1891) che intendeva dar conto del grande successo delle ideologie socialiste tra le masse popolari europee, dall’anarchismo al marxismo fino alle varianti del cattolicesimo. Parallelamente all’attività pubblicistica, intraprese con successo la carriera accademica, con la nomina a professore pareggiato di economia e legislazione agraria presso la Scuola superiore d’agricoltura di Portici. Nello stesso tempo fu cooptato dal ministro Pietro Lacava nella Commissione per la modifica dei contratti agrari, dove insieme al socialista e storico del diritto Giuseppe Salvioli assunse posizioni progressiste per un intervento dello Stato in grado di ‘umanizzare’ i rapporti di lavoro nelle campagne e ridurre il peso della rendita fondiaria parassitaria.
Rilevante per Nitti fu, nel 1894, la fondazione della rivista La Riforma sociale, di cui assunse la direzione su incarico dell’editore e deputato giolittiano Luigi Roux. In chiara antitesi con Il Giornale degli economisti, che nelle mani di Antonio De Viti De Marco e Maffeo Pantaleoni diffondeva le teorie liberiste aggiornate dal marginalismo di Léon Walras, il periodico accolse studiosi di diversa estrazione ma accomunati dal metodo positivo dell’analisi sul campo e dal dialogo scientifico tra liberalismo progressista e socialismo riformatore. Gli anni di fine secolo segnarono tappe decisive nella carriera accademica e nella vita privata di Nitti: nel 1895 perse il concorso a ordinario di economia politica a Napoli a vantaggio di Pantaleoni, il che guastò i rapporti con Loria (presidente della commissione giudicatrice), ma tre anni dopo ebbe la cattedra di scienza delle finanze. Nel 1898 sposò Antonia Persico, figlia dell’illustre giurista cattolico Federico e della marchesa Barbara Cavalcanti; dal matrimonio nacquero cinque figli.
Nel 1900 il Reale Istituto di incoraggiamento di Napoli pubblicò Il bilancio dello Stato dal 1862 al 1896-97. Prime linee di un’inchiesta sulla ripartizione territoriale delle entrate e delle spese pubbliche in Italia, che Roux diede alle stampe in un’edizione divulgativa (Nord e Sud). La sua originale progettualità non fu destinata al limbo delle ipotesi teoriche, ma si tradusse con eccezionale rapidità nella legge del 31 luglio 1904 voluta dal governo Giolitti e affidata alla consulenza tecnica di Nitti.
Quando, nel novembre 1904, Nitti entrò in Parlamento come deputato del collegio di Muro Lucano aveva 36 anni ed era un protagonista della vita politica italiana, diviso tra le attività di docente universitario, avvocato, pubblicista e membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Alla Camera si collocò nel gruppo radicale di opposizione, un ‘partito’ molto eterogeneo sul piano politico e ideologico, perché vi convivevano il protezionismo di Napoleone Colajanni e il liberismo di De Viti De Marco. Lo stesso Nitti, tuttavia, non era antigiolittiano per principio, anzi mostrò rispetto per Giolitti, con cui aveva collaborato fattivamente nella stesura della legge per Napoli.
Il ruolo di Nitti deputato meridionalista emerge soprattutto nella Commissione parlamentare d’inchiesta, istituita nel 1906, sulle condizioni dei contadini del Sud. Rispetto ai problemi legati all’industrializzazione di una grande città come Napoli, qui si trattava di studiare ‘il lato agricolo’ della questione meridionale e le connessioni profonde tra territorio e ambiente, tra montagna e pianura, tra interno e costa. Nitti fu nominato responsabile della Sottocommissione per la Basilicata e la Calabria con la consulenza tecnica di Eugenio Azimonti. Insieme al collega deputato e amico Antonio Cefaly nel triennio 1907-09 battè palmo a palmo campagne e paesi di quattro province (Potenza, Cosenza, Catanzaro, Reggio) interrogando personalmente migliaia di contadini, amministratori locali, funzionari statali ed esperti.
Nel marzo 1911 Nitti entrò come ministro di Agricoltura, industria e commercio nel ‘lungo ministero’ Giolitti. Ebbe così l’occasione di applicare i provvedimenti caldeggiati nell’Inchiesta. Prerequisito indispensabile restava però la riorganizzazione del dicastero, che era stato spogliato di competenze, privo di fondi adeguati e con una burocrazia insufficiente e impreparata. Dal più efficace assetto organizzativo della macchina amministrativa prese le mosse l’intensa produzione legislativa del 1912-13, che abbracciò la riforma dell’istruzione tecnico-professionale, l’ordinamento delle Borse di commercio, la creazione dell’Ispettorato del lavoro, il trasferimento del Corpo delle foreste dalle province allo Stato, il nuovo profilo giuridico delle cattedre ambulanti d’agricoltura, i provvedimenti contro la fillossera e le malattie arboree, il finanziamento dell’edilizia popolare. Buona parte dell’impegno ministeriale di Nitti si concentrò nella legge che fondò l’INA come ente pubblico nel settore assistenziale e delle pensioni operaie.
L’altro grande obiettivo dell’azione ministeriale di Nitti riguardò lo sviluppo del Mezzogiorno. Nel 1911 erano ripresi i lavori per la costruzione dell’impianto idroelettrico del Volturno, e nel 1914 si completarono la centrale e il serbatoio artificiale di Muro Lucano, collegio elettorale di Nitti, il primo impianto realizzato in applicazione della legge 21 marzo 1912 sui bacini montani: il ‘lago Nitti’ (così allora denominato) consentì il recupero di una zona appenninica fra le più povere ad opera della Società lucana per imprese idroelettriche, controllata dalla Società meridionale di elettricità (SME). In collaborazione col collega dei lavori pubblici, Ettore Sacchi, nel 1912 Nitti elaborò un disegno di legge allo scopo di agevolare la costruzione di laghi artificiali nelle regioni meridionali, che sarebbe diventato esecutivo soltanto nel primo dopoguerra. Pur di accelerare i tempi si fece allora promotore di un’altra legge speciale, approvata nel luglio 1913, per la costruzione di un sistema multiplo di invasi artificiali sul Tirso in Sardegna e sul Neto nell’altipiano silano.
Escluso dalla compagine ministeriale dopo la formazione del governo Salandra (5 novembre 1914), Nitti rimase appartato dalla scena politica allo scoppio della Grande Guerra. Inizialmente assunse un atteggiamento neutralista, ma ben presto la consapevolezza dell’impossibilità per l’Italia di restare isolata lo convinse a sostenere le ragioni dell’alleanza con le potenze dell’Intesa e con gli Stati Uniti, garanti degli approvvigionamenti di petrolio, grano e carbone.
Le dimissioni di Paolo Boselli in seguito alla sconfitta militare di Caporetto riportarono, nell’ottobre 1917, Nitti al governo nel delicato incarico di ministro del Tesoro nel gabinetto di unità nazionale presieduto da Vittorio Emanuele Orlando. Di fatto controllò da quella posizione-chiave tutti gli altri dicasteri e la complessa macchina dell’economia di guerra, diretta con piglio deciso e mano sicura per riorganizzare l’esercito, la finanza pubblica e la produzione bellica.
Alla fine di giugno del 1919 Nitti fu incaricato dal re di formare un nuovo ministero. Come presidente del Consiglio Nitti si pose l’obiettivo prioritario di una rapida smobilitazione militare e del risanamento del bilancio statale gravato dagli enormi debiti di guerra, allo scopo di riconvertire il sistema produttivo a un’economia di pace.
Battuto nel maggio 1920 alla Camera per una questione procedurale, Nitti riuscì a ricostituire il ministero e assunse la decisione impopolare di abolire il prezzo politico del pane (da lui stesso introdotto) come misura indispensabile per contenere il disavanzo statale. Attaccato dalle opposizioni e abbandonato da gruppi consistenti della sua maggioranza, a giugno fu costretto a dimettersi, sostituito dall’anziano Giolitti, che non sarebbe stato capace di evitare il crollo dello Stato liberale. Le elezioni del 1921, caratterizzate dai ‘blocchi nazionali’ con l’inserimento dei fascisti, registrarono un duro scontro tra Giolitti e i candidati nittiani, che furono vittime di brogli e violenze con la collusione dei prefetti.
Isolato nella sua villa di Acquafredda a Maratea, Nitti stese quell’estate il saggio L’Europa senza pace (subito pubblicato dall’editore fiorentino Bemporad) col quale criticò aspramente i trattati di Parigi, secondo lui condizionati dall’aggressivo spirito di revanche della Francia e destinati a prolungare lo stato di guerra senza una radicale revisione delle loro inique clausole sulle riparazioni e sui confini. Le tesi esposte coincidevano largamente con quelle di John M. Keynes: non a caso, Le conseguenze economiche della pace era stato tradotto in Italia quell’anno con una prefazione del ‘fedelissimo’ Vincenzo Giuffrida. Sempre nel ritiro di Acquafredda vide la luce La decadenza dell’Europa (Firenze 1922), uno scritto ricco di lucide e amare considerazioni sull’anarchia delle relazioni fra gli Stati europei che richiamava la caduta dell’Impero romano. Nell’estate-autunno del 1923, a completamento della trilogia dedicata alla crisi post-pubblica, Nitti consegnò all’editore Gobetti di Torino La tragedia dell’Europa. Che farà l’America?, rivolto soprattutto ai lettori americani per spingere il governo degli Stati Uniti ad abbandonare la linea neoisolazionista e a intervenire contro l’espansionismo francese, che rischiava di provocare una seconda guerra mondiale. Questa iperattività pubblicistica gli valse ampi riconoscimenti internazionali e per tre anni (1922-24) una proposta di candidatura al premio Nobel per la pace, che non ebbe successo per l’aperta ostilità della Francia e dei numerosi nemici interni (dai giolittiani alla destra nazionalista e fascista).
Lontano per due anni dalla capitale e dai palazzi del potere, Nitti sottovalutò i nuovi partiti di massa e i caratteri totalitari del movimento fascista, cadendo nell’errore di Giolitti e avviando illusorie trattative con D’Annunzio e Mussolini per la formazione di un governo di ‘concentrazione nazionale’. Criticato dall’amico Giovanni Amendola per questa sua iniziale cedevolezza (comune del resto a tanta parte del mondo liberale), dopo la marcia su Roma Nitti comprese che il regime non avrebbe tollerato il protagonismo politico di un capo democratico e pacifista come lui. Quando nel novembre 1923 rientrò a Roma con la famiglia dovette assistere inerme alla devastazione della sua casa a opera di alcune centinaia di camicie nere su disposizioni di Cesare Rossi e dello stesso Mussolini. Nel giugno 1924 l’intero nucleo familiare si trasferì quindi a Zurigo. E dopo il discorso alla Camera di Mussolini del 3 gennaio 1925, che inaugurava la ‘dittatura a viso aperto’ del fascismo, Nitti indirizzò una lunga lettera a Vittorio Emanuele III per sottolineare le connivenze della Corona con un regime liberticida.
Furono parole destinate a restare inascoltate. Il fascismo trionfante anzi lo licenziò dall’Università. Ormai convinto dell’impossibilità di un prossimo rientro in Italia, nel gennaio 1926 Nitti si rifugiò a Parigi. Nel ventennale esilio a Parigi le vicende private s’intrecciarono strettamente con quelle pubbliche. Problemi di lavoro e di salute avevano scandito la vita dei suoi figli: Giuseppe si trasferì a Buenos Aires per esercitare l’avvocatura ma tornò deluso, nel 1934, per fare il corrispondente di testate argentine; Luigia, apprezzata studiosa di lingue indiane e attivista antifascista, senza il consenso paterno sposò nel 1937 un operaio repubblicano già confinato a Lipari e due anni dopo morì per embolia post partum; Vincenzo, dopo aver lasciato Giustizia e Libertà, diventò nel 1932 amministratore delegato di una società francese che coltivava miniere d’oro in Iugoslavia e Bulgaria, ma lì s’ammalò gravemente e morì nel 1941; Federico, ricercatore medico all’Istituto Pasteur, contro la volontà di Nitti sposò nel 1938 Giuliana Cianca (figlia del direttore del Mondo, esule anch’egli in Francia) e fu il terzo figlio a premorire al padre, nel 1947; Filomena, infine, sposò un giornalista ebreo d’origine polacca e lo seguì a Mosca nel 1935, ma il matrimonio presto finì e al suo rientro a Parigi divorziò. L’amatissima moglie, Antonia, ammalatasi gravemente, sarebbe morta a Roma nel 1948.
Dolori e tragedie familiari segnarono fortemente Nitti, ma non ne intaccarono la robusta fibra. Quando Hitler, nel settembre 1939, invase la Polonia scatenando la seconda guerra mondiale, Nitti mise da parte l’antifascismo pur di concorrere alla salvezza della Patria e scrisse a Mussolini un’argomentata relazione in cui gli consigliava di abbandonare la Germania che aveva tradito il Patto di Monaco e di schierarsi a fianco di Francia e Inghilterra. Con la caduta del fascismo, pensando di offrire la propria disponibilità per la restaurazione della democrazia scrisse al re e al generale Pietro Badoglio, ma il 30 agosto 1943 i nazisti lo prelevarono nella casa parigina per internarlo, insieme con gli ex presidenti francesi Édouard Daladier e Paul Reynaud, in una località tirolese da dove fu liberato dalle truppe francesi solo il 2 maggio 1945. La drammatica esperienza della deportazione fu raccontata nel Diario di prigionia (pubblicato postumo, Bari 1967), mentre gli scritti di quel periodo comparvero nel col titolo Meditazioni dall’esilio (Napoli 1947).
Al rientro nell’Italia liberata si trovò però lontano dagli ideali della Resistenza e dalla nuova dimensione dei partiti di massa. Il suo discorso al teatro S. Carlo di Napoli, nell’ottobre 1945, si risolse in un aspro attacco al movimento partigiano, al Comitato di liberazione nazionale, ai sei partiti che lo componevano, al governo Parri. Rientrato in servizio come ordinario di Scienza delle finanze su proposta del ministro e suo allievo Vincenzo Arangio Ruiz, a 77 anni si schierò nel Partito liberale sulle posizione di Benedetto Croce, Vittorio Emanuele Orlando e Luigi Einaudi e fu eletto, nel giugno 1946, all’Assemblea costituente, restando però escluso (con vivo disappunto) dalla Commissione dei 75 che predispose il testo della Costituzione repubblicana. Grazie ai buoni rapporti con Pietro Nenni e Palmiro Togliatti, il capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola pensò di affidargli l’incarico per la formazione del governo nel gennaio 1947, in seguito alla crisi provocata dalla scissione socialdemocratica di Giuseppe Saragat. De Gasperi riuscì nella circostanza a ricostituire la maggioranza, ma dovette gettare la spugna nel mese di maggio al rientro dal viaggio negli Stati Uniti, quando si ruppe il rapporto con i partiti di sinistra. Nitti ottenne formalmente l’incarico da De Nicola, ma l’ostilità della Democrazia cristiana e dei partiti minori fece fallire il tentativo, aprendo la strada al governo centrista De Gasperi - Einaudi.
Rieletto in Parlamento, votò nel 1949 contro l’adesione dell’Italia al Patto atlantico considerato un’alleanza militare pericolosa per la pace, pur restando favorevole agli aiuti americani del Piano Marshall. Rimase politicamente attivo fino all’ultimo, e nel 1952 capeggiò con successo il ‘listone’ di sinistra per le elezioni amministrative di Roma.
Ebbe ancora il tempo di correggere le bozze della sua ultima fatica, Meditazioni e ricordi (Milano 1953), quando un’influenza degenerata in broncopolmonite lo portò alla morte a Roma il 20 febbraio 1953.
La precocità intellettuale di Nitti si manifestò nel primo libro, pubblicato da Roux a Torino nel 1888, L’emigrazione italiana e i suoi avversari, nel quale sostenne la necessità di una legislazione favorevole ai flussi migratori verso l’estero come via d’uscita dall’arretratezza e dalla miseria di milioni di contadini oppressi «dalla cattiveria e infingardaggine delle classi dirigenti». Schierato sulle posizioni del germanesimo economico, applicò lo stesso ‘metodo positivo’ nella monografia Il Socialismo cattolico (edita da Roux, 1891) che intendeva dar conto del grande successo delle ideologie socialiste tra le masse popolari europee, dall’anarchismo al marxismo fino alle varianti del cattolicesimo. Parallelamente all’attività pubblicistica, intraprese con successo la carriera accademica, con la nomina a professore pareggiato di economia e legislazione agraria presso la Scuola superiore d’agricoltura di Portici. Nello stesso tempo fu cooptato dal ministro Pietro Lacava nella Commissione per la modifica dei contratti agrari, dove insieme al socialista e storico del diritto Giuseppe Salvioli assunse posizioni progressiste per un intervento dello Stato in grado di ‘umanizzare’ i rapporti di lavoro nelle campagne e ridurre il peso della rendita fondiaria parassitaria.
Rilevante per Nitti fu, nel 1894, la fondazione della rivista La Riforma sociale, di cui assunse la direzione su incarico dell’editore e deputato giolittiano Luigi Roux. In chiara antitesi con Il Giornale degli economisti, che nelle mani di Antonio De Viti De Marco e Maffeo Pantaleoni diffondeva le teorie liberiste aggiornate dal marginalismo di Léon Walras, il periodico accolse studiosi di diversa estrazione ma accomunati dal metodo positivo dell’analisi sul campo e dal dialogo scientifico tra liberalismo progressista e socialismo riformatore. Gli anni di fine secolo segnarono tappe decisive nella carriera accademica e nella vita privata di Nitti: nel 1895 perse il concorso a ordinario di economia politica a Napoli a vantaggio di Pantaleoni, il che guastò i rapporti con Loria (presidente della commissione giudicatrice), ma tre anni dopo ebbe la cattedra di scienza delle finanze. Nel 1898 sposò Antonia Persico, figlia dell’illustre giurista cattolico Federico e della marchesa Barbara Cavalcanti; dal matrimonio nacquero cinque figli.
Nel 1900 il Reale Istituto di incoraggiamento di Napoli pubblicò Il bilancio dello Stato dal 1862 al 1896-97. Prime linee di un’inchiesta sulla ripartizione territoriale delle entrate e delle spese pubbliche in Italia, che Roux diede alle stampe in un’edizione divulgativa (Nord e Sud). La sua originale progettualità non fu destinata al limbo delle ipotesi teoriche, ma si tradusse con eccezionale rapidità nella legge del 31 luglio 1904 voluta dal governo Giolitti e affidata alla consulenza tecnica di Nitti.
Quando, nel novembre 1904, Nitti entrò in Parlamento come deputato del collegio di Muro Lucano aveva 36 anni ed era un protagonista della vita politica italiana, diviso tra le attività di docente universitario, avvocato, pubblicista e membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Alla Camera si collocò nel gruppo radicale di opposizione, un ‘partito’ molto eterogeneo sul piano politico e ideologico, perché vi convivevano il protezionismo di Napoleone Colajanni e il liberismo di De Viti De Marco. Lo stesso Nitti, tuttavia, non era antigiolittiano per principio, anzi mostrò rispetto per Giolitti, con cui aveva collaborato fattivamente nella stesura della legge per Napoli.
Il ruolo di Nitti deputato meridionalista emerge soprattutto nella Commissione parlamentare d’inchiesta, istituita nel 1906, sulle condizioni dei contadini del Sud. Rispetto ai problemi legati all’industrializzazione di una grande città come Napoli, qui si trattava di studiare ‘il lato agricolo’ della questione meridionale e le connessioni profonde tra territorio e ambiente, tra montagna e pianura, tra interno e costa. Nitti fu nominato responsabile della Sottocommissione per la Basilicata e la Calabria con la consulenza tecnica di Eugenio Azimonti. Insieme al collega deputato e amico Antonio Cefaly nel triennio 1907-09 battè palmo a palmo campagne e paesi di quattro province (Potenza, Cosenza, Catanzaro, Reggio) interrogando personalmente migliaia di contadini, amministratori locali, funzionari statali ed esperti.
Nel marzo 1911 Nitti entrò come ministro di Agricoltura, industria e commercio nel ‘lungo ministero’ Giolitti. Ebbe così l’occasione di applicare i provvedimenti caldeggiati nell’Inchiesta. Prerequisito indispensabile restava però la riorganizzazione del dicastero, che era stato spogliato di competenze, privo di fondi adeguati e con una burocrazia insufficiente e impreparata. Dal più efficace assetto organizzativo della macchina amministrativa prese le mosse l’intensa produzione legislativa del 1912-13, che abbracciò la riforma dell’istruzione tecnico-professionale, l’ordinamento delle Borse di commercio, la creazione dell’Ispettorato del lavoro, il trasferimento del Corpo delle foreste dalle province allo Stato, il nuovo profilo giuridico delle cattedre ambulanti d’agricoltura, i provvedimenti contro la fillossera e le malattie arboree, il finanziamento dell’edilizia popolare. Buona parte dell’impegno ministeriale di Nitti si concentrò nella legge che fondò l’INA come ente pubblico nel settore assistenziale e delle pensioni operaie.
L’altro grande obiettivo dell’azione ministeriale di Nitti riguardò lo sviluppo del Mezzogiorno. Nel 1911 erano ripresi i lavori per la costruzione dell’impianto idroelettrico del Volturno, e nel 1914 si completarono la centrale e il serbatoio artificiale di Muro Lucano, collegio elettorale di Nitti, il primo impianto realizzato in applicazione della legge 21 marzo 1912 sui bacini montani: il ‘lago Nitti’ (così allora denominato) consentì il recupero di una zona appenninica fra le più povere ad opera della Società lucana per imprese idroelettriche, controllata dalla Società meridionale di elettricità (SME). In collaborazione col collega dei lavori pubblici, Ettore Sacchi, nel 1912 Nitti elaborò un disegno di legge allo scopo di agevolare la costruzione di laghi artificiali nelle regioni meridionali, che sarebbe diventato esecutivo soltanto nel primo dopoguerra. Pur di accelerare i tempi si fece allora promotore di un’altra legge speciale, approvata nel luglio 1913, per la costruzione di un sistema multiplo di invasi artificiali sul Tirso in Sardegna e sul Neto nell’altipiano silano.
Escluso dalla compagine ministeriale dopo la formazione del governo Salandra (5 novembre 1914), Nitti rimase appartato dalla scena politica allo scoppio della Grande Guerra. Inizialmente assunse un atteggiamento neutralista, ma ben presto la consapevolezza dell’impossibilità per l’Italia di restare isolata lo convinse a sostenere le ragioni dell’alleanza con le potenze dell’Intesa e con gli Stati Uniti, garanti degli approvvigionamenti di petrolio, grano e carbone.
Le dimissioni di Paolo Boselli in seguito alla sconfitta militare di Caporetto riportarono, nell’ottobre 1917, Nitti al governo nel delicato incarico di ministro del Tesoro nel gabinetto di unità nazionale presieduto da Vittorio Emanuele Orlando. Di fatto controllò da quella posizione-chiave tutti gli altri dicasteri e la complessa macchina dell’economia di guerra, diretta con piglio deciso e mano sicura per riorganizzare l’esercito, la finanza pubblica e la produzione bellica.
Alla fine di giugno del 1919 Nitti fu incaricato dal re di formare un nuovo ministero. Come presidente del Consiglio Nitti si pose l’obiettivo prioritario di una rapida smobilitazione militare e del risanamento del bilancio statale gravato dagli enormi debiti di guerra, allo scopo di riconvertire il sistema produttivo a un’economia di pace.
Battuto nel maggio 1920 alla Camera per una questione procedurale, Nitti riuscì a ricostituire il ministero e assunse la decisione impopolare di abolire il prezzo politico del pane (da lui stesso introdotto) come misura indispensabile per contenere il disavanzo statale. Attaccato dalle opposizioni e abbandonato da gruppi consistenti della sua maggioranza, a giugno fu costretto a dimettersi, sostituito dall’anziano Giolitti, che non sarebbe stato capace di evitare il crollo dello Stato liberale. Le elezioni del 1921, caratterizzate dai ‘blocchi nazionali’ con l’inserimento dei fascisti, registrarono un duro scontro tra Giolitti e i candidati nittiani, che furono vittime di brogli e violenze con la collusione dei prefetti.
Isolato nella sua villa di Acquafredda a Maratea, Nitti stese quell’estate il saggio L’Europa senza pace (subito pubblicato dall’editore fiorentino Bemporad) col quale criticò aspramente i trattati di Parigi, secondo lui condizionati dall’aggressivo spirito di revanche della Francia e destinati a prolungare lo stato di guerra senza una radicale revisione delle loro inique clausole sulle riparazioni e sui confini. Le tesi esposte coincidevano largamente con quelle di John M. Keynes: non a caso, Le conseguenze economiche della pace era stato tradotto in Italia quell’anno con una prefazione del ‘fedelissimo’ Vincenzo Giuffrida. Sempre nel ritiro di Acquafredda vide la luce La decadenza dell’Europa (Firenze 1922), uno scritto ricco di lucide e amare considerazioni sull’anarchia delle relazioni fra gli Stati europei che richiamava la caduta dell’Impero romano. Nell’estate-autunno del 1923, a completamento della trilogia dedicata alla crisi post-pubblica, Nitti consegnò all’editore Gobetti di Torino La tragedia dell’Europa. Che farà l’America?, rivolto soprattutto ai lettori americani per spingere il governo degli Stati Uniti ad abbandonare la linea neoisolazionista e a intervenire contro l’espansionismo francese, che rischiava di provocare una seconda guerra mondiale. Questa iperattività pubblicistica gli valse ampi riconoscimenti internazionali e per tre anni (1922-24) una proposta di candidatura al premio Nobel per la pace, che non ebbe successo per l’aperta ostilità della Francia e dei numerosi nemici interni (dai giolittiani alla destra nazionalista e fascista).
Lontano per due anni dalla capitale e dai palazzi del potere, Nitti sottovalutò i nuovi partiti di massa e i caratteri totalitari del movimento fascista, cadendo nell’errore di Giolitti e avviando illusorie trattative con D’Annunzio e Mussolini per la formazione di un governo di ‘concentrazione nazionale’. Criticato dall’amico Giovanni Amendola per questa sua iniziale cedevolezza (comune del resto a tanta parte del mondo liberale), dopo la marcia su Roma Nitti comprese che il regime non avrebbe tollerato il protagonismo politico di un capo democratico e pacifista come lui. Quando nel novembre 1923 rientrò a Roma con la famiglia dovette assistere inerme alla devastazione della sua casa a opera di alcune centinaia di camicie nere su disposizioni di Cesare Rossi e dello stesso Mussolini. Nel giugno 1924 l’intero nucleo familiare si trasferì quindi a Zurigo. E dopo il discorso alla Camera di Mussolini del 3 gennaio 1925, che inaugurava la ‘dittatura a viso aperto’ del fascismo, Nitti indirizzò una lunga lettera a Vittorio Emanuele III per sottolineare le connivenze della Corona con un regime liberticida.
Furono parole destinate a restare inascoltate. Il fascismo trionfante anzi lo licenziò dall’Università. Ormai convinto dell’impossibilità di un prossimo rientro in Italia, nel gennaio 1926 Nitti si rifugiò a Parigi. Nel ventennale esilio a Parigi le vicende private s’intrecciarono strettamente con quelle pubbliche. Problemi di lavoro e di salute avevano scandito la vita dei suoi figli: Giuseppe si trasferì a Buenos Aires per esercitare l’avvocatura ma tornò deluso, nel 1934, per fare il corrispondente di testate argentine; Luigia, apprezzata studiosa di lingue indiane e attivista antifascista, senza il consenso paterno sposò nel 1937 un operaio repubblicano già confinato a Lipari e due anni dopo morì per embolia post partum; Vincenzo, dopo aver lasciato Giustizia e Libertà, diventò nel 1932 amministratore delegato di una società francese che coltivava miniere d’oro in Iugoslavia e Bulgaria, ma lì s’ammalò gravemente e morì nel 1941; Federico, ricercatore medico all’Istituto Pasteur, contro la volontà di Nitti sposò nel 1938 Giuliana Cianca (figlia del direttore del Mondo, esule anch’egli in Francia) e fu il terzo figlio a premorire al padre, nel 1947; Filomena, infine, sposò un giornalista ebreo d’origine polacca e lo seguì a Mosca nel 1935, ma il matrimonio presto finì e al suo rientro a Parigi divorziò. L’amatissima moglie, Antonia, ammalatasi gravemente, sarebbe morta a Roma nel 1948.
Dolori e tragedie familiari segnarono fortemente Nitti, ma non ne intaccarono la robusta fibra. Quando Hitler, nel settembre 1939, invase la Polonia scatenando la seconda guerra mondiale, Nitti mise da parte l’antifascismo pur di concorrere alla salvezza della Patria e scrisse a Mussolini un’argomentata relazione in cui gli consigliava di abbandonare la Germania che aveva tradito il Patto di Monaco e di schierarsi a fianco di Francia e Inghilterra. Con la caduta del fascismo, pensando di offrire la propria disponibilità per la restaurazione della democrazia scrisse al re e al generale Pietro Badoglio, ma il 30 agosto 1943 i nazisti lo prelevarono nella casa parigina per internarlo, insieme con gli ex presidenti francesi Édouard Daladier e Paul Reynaud, in una località tirolese da dove fu liberato dalle truppe francesi solo il 2 maggio 1945. La drammatica esperienza della deportazione fu raccontata nel Diario di prigionia (pubblicato postumo, Bari 1967), mentre gli scritti di quel periodo comparvero nel col titolo Meditazioni dall’esilio (Napoli 1947).
Al rientro nell’Italia liberata si trovò però lontano dagli ideali della Resistenza e dalla nuova dimensione dei partiti di massa. Il suo discorso al teatro S. Carlo di Napoli, nell’ottobre 1945, si risolse in un aspro attacco al movimento partigiano, al Comitato di liberazione nazionale, ai sei partiti che lo componevano, al governo Parri. Rientrato in servizio come ordinario di Scienza delle finanze su proposta del ministro e suo allievo Vincenzo Arangio Ruiz, a 77 anni si schierò nel Partito liberale sulle posizione di Benedetto Croce, Vittorio Emanuele Orlando e Luigi Einaudi e fu eletto, nel giugno 1946, all’Assemblea costituente, restando però escluso (con vivo disappunto) dalla Commissione dei 75 che predispose il testo della Costituzione repubblicana. Grazie ai buoni rapporti con Pietro Nenni e Palmiro Togliatti, il capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola pensò di affidargli l’incarico per la formazione del governo nel gennaio 1947, in seguito alla crisi provocata dalla scissione socialdemocratica di Giuseppe Saragat. De Gasperi riuscì nella circostanza a ricostituire la maggioranza, ma dovette gettare la spugna nel mese di maggio al rientro dal viaggio negli Stati Uniti, quando si ruppe il rapporto con i partiti di sinistra. Nitti ottenne formalmente l’incarico da De Nicola, ma l’ostilità della Democrazia cristiana e dei partiti minori fece fallire il tentativo, aprendo la strada al governo centrista De Gasperi - Einaudi.
Rieletto in Parlamento, votò nel 1949 contro l’adesione dell’Italia al Patto atlantico considerato un’alleanza militare pericolosa per la pace, pur restando favorevole agli aiuti americani del Piano Marshall. Rimase politicamente attivo fino all’ultimo, e nel 1952 capeggiò con successo il ‘listone’ di sinistra per le elezioni amministrative di Roma.
Ebbe ancora il tempo di correggere le bozze della sua ultima fatica, Meditazioni e ricordi (Milano 1953), quando un’influenza degenerata in broncopolmonite lo portò alla morte a Roma il 20 febbraio 1953.
FONTE: Voce di G. BARONE, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2013, vol. 78 (con tagli).
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