L’EMILIA*
commedia
d i
FRANCESCO MARIO PAGANO
In cinque atti .
Postquam poeta sensit scripturam suam
Ab iniquis observari, et adversarios
Rapere in peiorem partem, quam acturi sumus,
Indicio de se ipso erit: vos eritis sudice.
Terentius in prologo Adelphorum .
…. Adeste equo animo ...
Ne simili utamur fortuna, ac ipsi usi sumus,
Cum per tumultum noster grex motus loco est.
Terentius in prologo Phormionis .
//2//
A T T O R I
CONTE ARGIRO Padre
ANSELMO Zio di
EMILIA
LISETTA
LEANDRO
CAVALIER ARTEMIO
EUGENIO Cameriere .
La scena è in una campagna vicina a Napoli e rappresenta una stanza, che sporge in un giardino con veduta di colline e mare in lontananza.
//3//
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA.
CONTE. LISETTA.
CONTE.
Olà, Lisetta. Ov’è la Signorina?
LISETTA.
Nella sua stanza.
CONTE.
Che mai fa?
LISETTA.
Lo spirto.
Si solleva leggendo un certo libro,
Che ha nome lo … lo spettator inglese.
CONTE
Povera figlia, che ‘l cervel disperde
Sui libri. Colpa. del fratel mio Anselmo,
Che nella testa tal mania le pose.
LISETTA .
Che mal vi fa, s’ella talor leggendo
Soletta cerca d’ ingannar il tempo?
Siam qui nella campagna, ove noiose,
E lunghe l’ore sono. E compagnia
Per modo alcun non v’ha.
CONTE.
Fraschetta, sciocca.
Debbon le donne aver in man il fuso,
E l’ago, e non già i libri, nè la penna. //4//
Ah questi libri, e queste compagnie
Han corrotti i costumi, e guasto il capo
Della presente gioventù perduta .
Oh viver saggio degli antichi nostri,
Quando la buona educazion fioriva!
Soli i congionti il piede nella casa
Poneano allora. In sulla sala, overo
Nella camera solo dello studio
Erano ammessi i forestieri. E donne
Non si vedean, che alle finestre, e in chiesa.
Tutto è cangiato adesso. Il mondo corre
Alla rovina a pasti di gigante.
Uomini, e donne vivono confusi:
Le conversazioni, ed i teatri,
Romanzi, versi, eretici scrittori
Al buon costume, all’onestà fan guerra.
LISETTA.
Per me non credo, che le donne antiche,
Perché teneale custodite, e chiuse
La fiera gelosia, perché allevate
Nell’ ignoranza, fossero migliori
Delle presenti. Il carcere, la forza
L’ippocrisia, non la virtù produce.
Le sciocche, e le balorde o corron dietro
Più facilmente agl’ impeti del senso,
O seirban meno la decenza , e ’l modo.
CONTE.
Viva la mia Signora dottorina.
Ecco il profitto de’ moderni libri,
Di quell’inglese spenditor, che dici,
Di quel tal marmottel, e di quell’empio. //5//
Dì Monsù di Volterro, e del Boccaccio.
Ma se volete leggere talora
Il dopo pranzo, a richiamar il sonno ,
Che non leggete i libri antichi e sodi,
Che studiar solea la nonna mia,
Le sette trombe, padre Casalicchio,
E somiglianti autori sani, e puri?
Anselmo, rovinato hai tu mia figlia.
LISETTA.
Vi dolete, Signor, a torto. A Voi
Toccata è in sorte un angioletta vera,
Ed apprezzar non la sapete affatto.
Da che la mia padrona, vostra moglie,
Vedovo vi lasciò, la saggia Emilia
La mancanza sentir non ve n’ha fatto.
Né gli affari di casa così bene,
Siccome adesso, andati son giammai,
A tutto bada, adempie ogni dovere.
Verso i maggiori di rispetto piena,
Dolce, ed umana colla gente bassa,
Piacevole con tutti, moderata,
Saggia, è un modello di virtù perfetta.
Quel tempo, che le donne all’ozio, e a vane
Frivoli cure danno, ella l’ impiega
L’ animo a coltivare, onde men bello
Non fia del corpo; e voi ve ne dolete?
CONTE.
Si vede ben , che sei la cameriera
D’ una saccente. Via, leviam le ciarle,
Che non la fineresti più. Deh dimmi,
Se a Leandro mai pensa più l’Emilia? //6//
LISETTA.
Se pensa più a Leandro! E’ sol Leandro
L’unico suo pensiero. E con ragione.
Corre il terz’anno, da che amor gli strinse
Ne’ lacci suoi. L’ardor crebbe cd tempo.
D’entrambi i cori la natura ha 'fatti
Per essere ligati insieme, e’l vostro
Consenso il nodo di natura strinse.
CONTE.
Non annoiarmi più. Dille, che venga
Subito qui: Che favellar le debbo
D’ affare molto interessante.
LISETTA.
Pronta
Ubbidito sarete.
Va, e torna.
Ma non debbo
Dirle, di che parlar voi le volete?
CONTE.
Eh presto va.
LISETTA facendo stesso
Ma se me lo domanda?
CONTE.
Ti dico, va. L’ascolterà da me.
LISETTA.
( Di curiosità mi muojo ) E’ cosa,
Che s’appartiene al suo …
CONTE.
Vanne in malora.
Impertinente, o ch'io ti … //7//
LISETTA.
Vado, vado.
( s’incammina, si arresta volgendosi addietro )
E’ corrucciato assai. Vadasi pure.
CONTE.
O che ragazza curiosa. Ferma.
Emilia vien da qui.
SCENA II
EMILIA, e detti.
EMILIA.
Vengo a baciarvi,
Signor Padre, la mano.
CONTE.
Emilia cara.
Buongiorno, siedi. Favellar ti debbo.
Parti, Lisetta.
LISETTA.
Io non ci posso stare?
CONTE.
No.
LISETTA.
Mi crede, Signor, io sia di quelle,
Che ridicono i fatti de’ padroni?
CONTE.
( Che sofferenza! ) Ho detto, che partissi.
LISETTA.
E non volete, che la stanza io netti? //8//
CONTE.
Ti netterò le spalle, se non parti.
LISETTA.
Vado, vado. Non son io curiosa
De’fatti vostri. (Signorina, poi
Mi farete saper tutto) men vado.
EMILIA.
Scusatela , Signor Padre. Per vero
E’ curiosa un poco, e assai vivace;
Ma costumata, e a suoi doveri attenta.
CONTE.
Non erano così le camariere
Al tempo antico. Nel servir fedeli,
Non curavan ciarlare,come questa,
E fare riverenze, e parlar tosco.
Ma lasciam ciò da parte. Ascolta, o figlia.
Il cielo offerta m’ha per te ventura,
Che cento padri han desiata in vano.
Il Duca Orini nobile, e straricco
Richiesta t’ ha per moglie: vantaggiose
Condizioni n’offre. Ed impegnata
Ho già con lui la mia parola, devi
Tra pochi giorni tu sposarlo.
EMILIA.
Il Duca
Sposar deggio … Leandro …
CONTE.
E’ ver non era
Un tempo avverso a darti per isposo
Leandro. Ma costui è un gentiluomo
Privato , è uficial, che cercar deve //9//
La sorte sua coll’ammazzare, ovvero
Facendosi ammazzare; dove il Duca
E’ di una illustre nobiltà. Ricchezze
Ha pari al nascer suo. Leandro poi
Partito è per la guerra dell’America,
e forse forse dal cannone inglese
egli è a quest’or incenerito.
EMILIA.
O Dio!
Io mi sento morire.
CONTE.
Piangi, Emilia.
Oimè! cangia colore, ola Lisetta.
SCENA III
LISETTA . ANSELMO, e detti
LISETTA
Son qui, son qui, non m’era allontanata
La Signorina è tramortita! Oh Cielo!
Deh che le avete fatto? E che mai detto?
CONTE
Corri per acqua, e per aceto, presto.
LISETTA
Sì sì, vado. (torna ) Ma che l’avete detto?
EMILIA
Oh Dio!
CONTE
Riviene. Emilia, su, coraggio. //10
Non è nulla. Sarà, Lisetta, meglio
Condurla nella stanza sua di letto.
Ivi con agio ristorar potrassi.
ANSELMO.
Cosa fu mai, fratello! Nipotina,
Che mai soffrite? Cara nipotina.
EMILIA.
Ahi. Nulla, Signor Zio.
LISETTA.
Venite dentro.
( Là tutto mi direte,) Signorina.
ANSELMO .
Si può saper, che cosa mai le avvenne?
CONTE.
Son quei vapori , che le lievi neste
Son soliti offuscare, e la ragione.
ANSELMO.
Ma voi, fratel, che mai le avete detto?
CONTE.
E che le ho detto mai, che mai le ho detto?
Le ho detto che tra giorni dee sposare
Il Duca Orini, e d’esser lieta in vece
Di si buona novella, in preda al duolo
S’ abbandonò, perché fitto nel core
Le sta Leandro.
ANSELMO.
Ed è possibil mai,
Che voi dovete ognora esser tormento
Di cotesta infelice fanciullina?
CONTE.
Io dovrei dunque, mio Signor saccente, //11//
I suoi capricci secondare, e deve
Prendere il padre dell’oprar la norma
Dalla passion de’ figli. Non è vero?
La stramba tua filosofia ciò detta?
ANSELMO.
Dalla ragion dovresti prender norma.
Voi non avete di Leandro, e Emilia
Approvato l'amore? Pria permesso
Avete, che nel seno lor sia nato
Quest’ innocente ardore, ed alimento
Voi sol porgeste alle lor fiamme, quando
Insiem gli feste conversar per anni.
Tutto ad un tratto ora, cangiando voglia
A vostra figlia trar dal cor volete
Si lunga passione, anzi volete
Strapparle il cor da mezzo il petto. O voi
Non mai sentiste dell’amor la forza,
O vi diletta della propria figlia
Carnefice crudele esser chiamato.
CONTE.
Al Signore Leandro mai promessa
Non ho mia figlia.
ANSELMO.
Questi son sofismi,
Che adoperando l’interesse ognora
Corrompe il buon costume, e la morale.
Che importa come l’uom suoi sensi esprima,
Purché gli esprime altrui. Più antica, e certa
E’ la lingua de'fatti, che de’ motti.
Voi permettendo di Leandro, e Emilia
L’ amor, promesso di legarli avete //12
Col santo nodo d’imeneo. Qual altro
Oggetto puote aver l’amor di due
Giovani, che ben nati sono, e onesti?
Perché a cavilli avere ora ricorso?
Mostriamoci tra noi senza alcun velo.
Parliamo chiaro, o mio Signor Fratello.
CONTE .
Parliam, sì, chiaro; questa tua gran testa
Consiglia pur sacrificar la sorte
Della mia figlia a sì leggier riguardo?
Io lascio star, che di splendor novello
Tal parentado illustrerà mia casa.
Di trentamila scudi, e più d’entrata
Alla testa sarà la cara figlia.
Gareggerà colle primiere dame
Della Città. Trattanto tu la vuoi
Maritare con un ufizialetto,
Che quando voglia avrà la di mangiare,
La ciberà di gloria, e di sue gesta;
E quando chiederà pur qualche veste,
Le mostrerà l’onorata uniforme
Sua lacera, e bucata dalle palle.
E’ questo il tuo pensiero, o mio dottore
Di stravaganze, e di chimere strane.
ANSELMO.
Mi dispenso rispondere a cotesti
Complimenti, de’quali ognor mi colma
L’atribilare tuo feroce umore.
Ma ben ti dico, che l’onor, la gloria
Dalla virtù, dall’onestà sol nasce,
E da tal fonte nobiltà deriva, //13//
Nobili i figli son di quei, che furo
Colle virtù del patrio suol sostegno.
E come il sole, che tramanda i raggi,
E’ la medesma luce, al par colui,
Che adorno è di virtude, in se possiede,
Come nel fonte, nobiltà verace.
Ma l’util consigliar se mai ti aggrada,
Credi, ch’ Emilia tua sarà felice
In mezzo all’oro, e preziose gemme,
Mentre il suo cor privo sarà del caro
Oggetto delle sue soavi cure?
Mentre che indissolubil detestato
Nodo l’accoppierà per sempre ad uno,
Per cui non prova amore, non ha stima?
L’ odio, il disprezzo, ed un tormento eterno
Sempre è il destino di forzate nozze.
CONTE.
Bravo, bravo, signor fratello: vecchio
Al par di me, rassembri un scervellato
Ridicolo galante. E ciò t’accade
Per legger questi tuoi libri alla moda.
Ah! non prendean consiglio da costoro
Gli avi nostri, ma sol dagli Avvocati,
Che sono i savi veri del paese,
Ove da qualche frate saggio, e pio.
Ma fà quelche ti piace: non m’ importa.
Io per me affatto non intendo questi
Amorosi arzigogoli: so bene,
Che la felicità dipende solo
Dal buon mangiare, dall’aver danari,
Trottar colla carozza, esser stimato. //14//
ANSELMO.
Infelice quell’uom, che del suo core
Non mai dischiuse le gelate porte
A’ soavi d’ amor teneri sensi.
L’ espansion del cor ci rende umani,
E giusti, e generosi; e l’uom, che mai
Affetto non provò, simile a’ bruti
Dall’intereffe sol viene guidato.
CONTE.
Ma tu che mai vorresti, o mio fratello,
Con questa espansion dolce di core?
Che le ragazze prendesser marito
A genio loro?
ANSELMO.
Appunto.
CONTE.
O bravo! O bravo!
Di un corruttore de’ costumi sensi
Ben degni! Alle fanciulle di sposare
Ei si dovrà permettere un mendico,
Che colla figlia il padre insiem nudrire
Di poi dovrà? Sposare un uom plebeo?
ANSELMO.
Questo non già. Ben educata figlia
Non mai torrà per sposo un uom mendico,
Che non la possa sostentar secondo
Lo stato suo, nè giovinastro vile,
Che le farà vergogna. Alla ragione
Lasciandosi guidare, ed a’ consigli
Da’ genitori docile, del core
I voti accorderà colla decenza. //15//
I padri senza violentar de'figli
La volontà, dovran badar soltanto,
Che sia d’onesta condizion lo sposo;
E loro abbandonar la scelta intera
Di quell’oggetto, che formò natura
Per rendergli felici, e addita loro
Con soavi del core ardenti moti.
CONTE.
Hai detto? hai perorato? Emilia deve
Sposare il Conte. Parte.
ANSELMO.
Povera fanciulla,
Tu di un tiranno genitor sarai
La vittima infelice, e sventurata.
Fine dell’Atto primo. //16//
ATTO SECONDO
SCENA I.
EMILIA. LISETTA.
EMILIA.
Care, e liete campagne, un dì soggiorno
D’innocenti piaceri, ed or di affanno!
Ah voi non siete agli occhi miei più quelle,
Che foste un dì! Tutto cangiò. Non ride
Più il Cielo, il colle, il mare agli occhi miei.
LISETTA .
Allevia il tuo dolore, Emilia amata,
Fatti coraggio.
EMILIA.
E viverò mai priva
Del mio caro Leandro! o mio Leandro!
O caro nome! O nome a me fatale!
LISETTA.
In abbandono al disperato affanno
Non darti ancora. Per sposar vi ha tempo,
E ’l tuo buon zio la tua ragion sostiene.
EMILIA.
Ahi! L’ostinato cor del padre mio
Qual forza vincer può? Misera Emilia,
Hai perduto Leandro, e l’hai perduto
Per sempre: Sempre.
LISETTA.
Perderà Leandro //17//
Piuttosto voi: che il reo dolor tra poco
Il fior consumerà de’giorni vostri.
EMILIA.
E che dirà lo sventurato, oh Dio!
Al suo ritorno? Che dirà, di un altro
Quando mi trovi in braccio? Ah l’infelice,
Non reggerà per certo al fiero colpo!
Ei ne morrà di duolo, ed io con lui.
LISETTA.
Né vuoi dar luogo alla ragion per poco?
EMILIA.
Dov’è la mia ragione, ov’è? Leandro
Se la recò nel suo partire. Oh fiera
Crudel memoria! oh Ciel! Che non mi disse
Nel momento fatal, che ci divise,
E ci divise, oimè! per sempre. Ed io
Che non promisi a lui? Quai giuramenti
Non feci allora di una eterna fede?
Vane promesse! giuramenti vani!
Ei pallido, e tremante avea su gli occhi
Le lagrime gelate, e morte in viso.
Con fioca voce allor mi disse: Emilia,
Conservami quel core: Egli è pur mio,
E darlo altrui saria darmi la morte.
Non ebbi forza di formar parola.
Col pianto gli risposi. Ah mia Lisetta,
Tu ten rammenti ben. Presago il core
Avea Leandro, ch’ infedel Emilia
Stata sarebbe un dì.
LISETTA.
Qual mai ti puoi //18//
Tu colpa rinfacciare? A quale eccesso
D’affanno corri in preda? Nel giardino
Deh vieni meco a diportarti un poco.
Questo sereno Cielo, e le bellezze
Della campagna verdeggiante, e lieta
Dal peso del suo mal sgombrano il petto.
Deh passeggiamo un poco in quel viale,
Dì cui la sponda da roseti, e allori
cinta, e di gigli sparsa il piè n’invita.
Il rio col lento flebile suo corso,
E l’aura, ch’ondeggiar fa l’alte cime
Degli albori, col grato mormorio
Daran ristoro alle tue pene. Oh Dio!
Ma in vece di scemar, cresce l’affanno?
EMILIA.
Ahi! quante volte quelle piante amiche,
Colle lor ombre me col mio Leandro
Nel mezzo dì difesero dal sole!
Oh dolci gioie! oh dolci giorni, dove
N’andaste! Voi per me non tornerete.
LISETTA.
Torneran, torneranno con Leandro.
Ei già ti scrisse, che il tornar vicino
Era, e più presto forse che non credi.
EMILIA.
Vane lusinghe! già novella alcuna
Dopo di quella lettera non n’ebbi.
O più non pensa all’ infelice Emilia,
O qualche reo disastro... Ah tolga il Cielo
L’infausto augurio. Il core in sen mi dice
Ch’egli è pur sano. Ma ’l ritorno è tardo. //19//
Ed io lo perdo! misera che sono!
LISETTA.
Che maledetto sia quel dì, che venne
Questo duca a turbare il bel sereno
De’ tuoi contenti. Qui venir rimiro
Quell’impostor, quel cavalier d’industria,
Che fa chiamarsi il cavalier d’Artemio.
EMILIA.
Quant’odio questo libertin per moda,
Filosofo, uom di gusto, e d’importanza
Mercè quel gergo: che viaggiando ha solo.
Sciocche frivolità condotte a noi,
E non già i lumi delle colte genti.
E farsi grande vuol coll’abbassare
Il suo paese.
LISETTA.
Disgustarlo è male.
E’ confidente del padrone. In vero
Le sue massime son contrarie a quelle
Di vostro padre , e ha pure guadagnato
Il favor suo.
EMILIA.
Carattere non hanno
Questi protei morali, e sentimenti
Prendon giusta il bisogno. Eccolo appunto //20//
SCENA II.
Cavalier ARTEMIO, e detti.
CAVALIERE
Amabil signorina, permettere,
Che imprima un bacio tenero su questa
Bella mano.
EMILIA.
No, no. La priego meco,
Cavalier, non usar queste licenze.
CAVALIERE.
Oh rozzezza! O barbarie del paese!
Qui viver non si sa, lo giuro al Cielo.
Affatto viver non si sa. Le belle
Son molto in ver genè. Gli uomini sono
Di pregiudizi pieni, e sembran tutti
collegiali allato delle belle.
Mancanza in ver di genio, e del buon tuono.
Siam tre secoli almeno indietro all’altre
Nazioni culte. Tre secoli almeno.
LISETTA.
Tanto meglio. Più giovani siamo.
Invecchierem più tardi. Tanto meglio.
EMILIA.
Per voi, Signor, rozzezza è la modestia
Coltura l’indecenza.
CAVALIERE.
O pregiudizi
Indegni in ver del secolo corrente!
O povera mia Napoli! Qui goffo, //21//
E grossolano è ’l gusto, il genio ignoto.
Ah point d’esprit. Point de societè.
E’ tutto male, ed è tre volte male.
LISETTA.
Fuor voi, che sete ben tre volte buono.
EMILIA.
Mi dia il permesso.
CAVALIERE.
Madmoiselle ma chere,
Perchè privarmi così presto della
Brillante luce, che spirando ognora
Da’ bei vostri occhi fa provare al core
Le dolci scosse elettriche.
EMILIA.
Signore,
Io non intendo questi oscuri gerghi,
E un domestico affar mi chiama dentro. Parte.
CAVALIERE.
Degna mi tu, bella Lisetta, almeno
Di un tenero tuo sguardo. Affè tu sei
Un stuzzicante bocconcin. Tel giuro.
LISETTA.
S’adatta a tutto il cavalier per vero.
Colla padrona amoreggiar non puote:
Alla sua camariera si rivolge,
E se con quella non riesce ancora,
La serva non disprezza.
CAVALIERE.
Bravo, bravo,
Lisetta. Ti ritrovo dello spirito.
Bravo. Su via, deh dammi la manina. //22//
Non far la ritrosetta. Via le smorfie.
LISETTA.
La mia mano non è per cavaliere.
CAVALIERE.
Eh sciocchezze! sciocchezze! Tutti nati
Noi siamo per goder insieme! Dame,
E cavalieri, e serve, e cameriere.
LISETTA.
O bella cosa affè. Questa sarebbe
Comunità platonica. Signore,
Le sono serva.
CAVALIERE.
Dove vai, Lisetta.
Ferma, ti dico. Andar mi fate in collera.
Oh mi ha piantato ancor costei! Ma viene
Il Conte.
SCENA III.
IL CONTE, e detto.
CAVALIERE
Amico mio del core, un bacio,
E un altro, e un altro.
CONTE.
Cavalier, mio caro,
Ti fai desiderare.
CAVALIERE.
Io più non posso.
Io mi dovrei moltiplicar per cento. //23//
Per lor bontà mi vogliono ognor tutti,
Chi a dijunè mi vuole, e chi mi aspetta
A supè, chi per prendere il cafè,
E chi meco vuol bere il tè. L’altr’ieri
Dalla Marchesa Piumacciuta fui
A viva forza trattenuto a pranzo.
La contessa del Grillo ier mi volle.
Sta man mi aspetta il principe s’Imbraca.
CONTE.
No, No. Stamane pranzerai con me.
CAVALIERE.
Perdona, o Conte. Sono atteso.
CONTE.
Manda
La scusa.
CAVALIERE.
Non sarà certo accettata.
CONTE.
Eh bene. Almeno ne verrai domani.
CAVALIERE.
Sì: Sì. Domani … Cappari … domani
Io non potrei. Oh resterò stamane.
Avrà pazienza il principe. Che vada
A suo piacere in collera.
CONTE.
Non Voglio,
Che l’amico per me voi perdiate.
Verrete a pranzo un dì, che più vi aggrada.
CAVALIERE.
Nò. Nò. Mi resto. L’ amistà del Conte
All’ altre io preferisco. //24//
CONTE.
Ma potete …
CAVALIERE.
Non più . Non più . Mi resterò.
CONTE.
Si resti.
Ho di bisogno, Cavalier, del vostro
Consiglio, e ancor dell’opera.
CAVALIERE.
Parlate.
Comandate la mia sensibilità.
Domanda di esser posta in movimento.
CONTE.
Sai che Emilia …
CAVALIERE.
Sposar non vuole il Duca,
Ch’è ricco Cavalier, uomo di genio,
Amico mio, serbar volendo fede,
[Ah ah cos'è cotesta fede?] al suo
Leandro , a quello ufizialetto. Tutto
Mi è noto, e tutto sò.
CONTE.
Colla ragione
L’autorità paterna invano oprai
Per scoter la fermezza del suo core.
Per ora non conviene usar la forza
Apertamente. Ma valermi io voglio
D’un innocente inganno. Ascolta; io penso
Di finger una lettera amorosa,
Che da Leandro ad una Signorina
In Napoli si scriva, e voglio poi, //25//
Come per caso farla capitare
In man d’Emilia, a cui sarà diretta,
CAVALIERE.
Come a lei sia la lettera diretta,
Scritta ad un altra?
CONTE.
A ciò pensar bisogna.
CAVALIERE.
Fingiamo, che Leandro abbia dirette
Di due lettere l’una a vostra figlia,
L’altra alla nuov’amante. Onde ella creda
Che nella direzion’ errò. Deh Conte,
Commetti al genio mio tutto l’affare.
CONTE.
In voi confido. Gelosia sul cuore
Può delle donne più, che la ragione.
CAVALIERE.
La famme toujours jalouse per gelosia.
Grand’organo d’ amor, opera tutto.
CONTE.
Odimi, Cavaliere. E di Leandro
Una lettera questa a me diretta,
In cui mi da notizia dell’arrivo
In America. Può essa per esempio
Valerti i suoi caratteri a ritrarre.
CAVALIERE.
Datela a me. Farò ben io già tutto
Per imitar scritture in ver talento
Maraviglioso, e pratica ancor tengo.
Quanti biglietti amatori io finsi!
E quante brighe nascere già feci! //26
E quanti intrighi a lieto fin condussi.
Eh ci vuol genio, e tutto far si puote.
CONTE.
E poi per farla capitar in mano …
CAVALIERE.
D’ Emilia? A me deh lasciane la cura.
Nel camerier Eugenio ella si fida.
Col danaro si fà già tutto. E’ questo
L’agente universal della natura.
Da Napoli si attende Eugenio, insieme
L’affare disporremo. Io sono al giorno
Di quanto fa mestieri. In ogni casa
Tosto che giungo, il tutto mi è palese.
Non v’ha secreto,che io non sappia appieno.
CONTE.
Ritirati or nella mia stanza, ed ivi
La lettera componisi …
CAVALIERE.
Risparmia
Le parole. Vedrai, che sappia fare
Un genio, ed un filosofo par mio. parte.
CONTE.
E’ questi una testina curiosa
Alla moda. Valer men debbo intanto
Per miei bisogni. Olà. Qui venga Emilia:
Dall’ una parte gelosia, dall’altra
L’autorità vò, che le dia l’assalto. //27//
SCENA IV.
EMILIA, LISETTA , e detto.
EMILIA.
Signor Padre, son qui. Cosa comanda?
CONTE.
Emilia, tu della dolcezza mia
Abusata soverchio omai ti sei.
Ricordati che son tuo padre, e voglio
Che m’ ubbidisci, o proverai sin dove
Giunga lo sdegno di un irato padre.
EMILIA.
Permetti omaì, Signor, che un’ infelice
Figlia del genitor versi nel seno
I sentimenti liberi del core ,
E con rispetto rassegnata attenda
L’ oracolo paterno. La natura
M’impone' a venerare i cari cenni
Di colui, che mi diè la vita. E questa
Soave legge la natura stessa
Nel fondo del mio cor scrisse, e scolpio,
Ma la natura stessa a tutti impone
Le leggi a rispettar della ragione,
E del dover, che sono ancor sue leggi.
Destinata ad aver sposo, e compagno,
Leandro solo meritò la stima,
E i voti del mio cor. I primi moti
Del mio nascente ardor non fur celati
Al nostro sguardo. Il semplice candore //28
Di quella prima età non sparse il velo
Di reo mister sugl’ innocenti affetti.
Sotto i vostri occhi nostra fiamma crebbe,
La vostra stessa man la benedisse.
Il sentimento dell’ amor nel mio
Seno si mescolò col dolce affetto,
E colla gratitudine sincera
Verso di un padre, che facea la vera
Felicità dell’ amorosa figlia:
E di que’ due un sentimento solo
Il più virtuoso, e tenero formossi.
Lungo costume, ed abito quel nodo
Vieppiù fermò, con cui strinse natura
A quella di Leandro l’alma mia.
I replicati giuramenti, e mille
Promesse a’ vicendevoli d’amore
Dolci nodi accoppiar quei del dovere,
Onde il mio core, e la mia sorte unita
Or è da tante, e sì forti catene
Al mio Leandro, che forza mortale
Discioglier non potrà l’amato nodo.
LISETTA.
Viva la padroncina. Curiosa
Sono d’ udir, che mai risponder possa
A sì belle ragioni.
CONTE.
Ecco gli effetti
De’libri, che ti ha posto in man quel matto
Di mio Fratello. Questi ti han ripieno
Il capo delle massime corrotte,
E perniziose. O saggi gli Avi nostri! //29
Non mai sofiriro, che imparasse alcuna
Fanciulla onesta a leggere, ed a scrivere.
Ecco il pensar del secolo perverso!
Una sol cosa tu imparar dovevi,
Che saggia figlia de’ubbidire al padre.
Null’ altro, nulla in ver. In due parole.
Io questa sera vò, che sposi il Duca,
E senza replicar a ciò ti appresta. parte.
EMILIA.
O comando fatale! Oh duro colpo,
Che tutte abbatte le mie forze, e i sensi
Opprime .
LISETTA.
Fatti cuor, non ti smarrire,
Pensiam piuttosto a rìtrovar riparo.
EMILIA.
E che potrei mai far, Lisetta mia?
Al risoluto comandar di un padre
Che posso opporre?
LISETTA.
Le preghiere, il pianto,
Ragioni, e le minaccie.
EMILIA.
Ah tu ben vedi,
Se hanno quest’armi su di lui potere.
Me disperata!
LISETTA.
Deh vediam per ora
Differire le nozze. Il tuo Leandro
Trà poco quì s’aspetta. Io spero assai
Nella venuta sua. //30 //
EMILIA.
Io spero solo
Nel duol, che apporti a mali miei la fine,
Troncando il filo de’miei tristi giorni.
SCENA VI.
ANSELMO, e dette.
ANSELMO.
Ti cerco in ogni parte, o Nipotina.
EMILIA.
Ahi! Signor Zio.
ANSELMO
Non v’ha da perder tempo.
Tuo padre alla ragion gli orecchi ha chiusi.
Della natura, del dover , d’onore
Non ode più le voci. O tu per oggi
Devi sposare un’ abborrito oggetto,
E d’infelicità porrai tu il piede
Nel cammino fatale , e forse ancora
In quello della colpa, ch’ è l’ effetto
Di un imeneo forzato; e venir meco
Dovrai. Ti condurrò nel Monistero,
Ove è tua Zia. E in questa guisa solo
Dall’ impeto brutal del padre tuo
Io ti potrò salvare.
EMILIA Piangendo si gitta trà le
braccia del Zio.
O caro Zio. //31//
E perché il padre mio non siete voi?
ANSELMO.
Cara figlia, ti son padre d’amore,
Se non lo sono di natura. Presto
Risolviti a partir. Mentre tuo padre
Si è per poco da qui lontan portato.
Salvare ti potrò del monistero
Nell’asilo.
LISETTA.
Coraggio . Il Ciel ti addita
L’onesto scampo. Il cielo sol ti diede
Un Zio cotanto buono, ed' amoroso.
Andiamo, Emilia, andiamo.
EMILIA.
Io m’ abbandono
Nelle tue braccia, amato Zio.
ANSELMO.
Fa presto.
Vestiti, e prendi ciò, che ti bisogna.
EMILIA.
Eccomi io vengo.
LISETTA.
O gusto singolare.
Quando il padron verrà, non ne ritrova
Sarei pur curiosa di sapere,
Che dirà? Che farà? E come adempia
Alla parola sua col Duca Orini.
Fine del Atto Secondo. //31//
A T T O III.
S C E N A. I.
LISETTA, EUGENIO.
LISETTA.
Eugenio fatto t’ hai molto aspettare.
EUGENIO.
Ma vengo fin da Napoli.
LISETTA.
Hai trovata
Lettera di Leandro nella posta?
EUGENIO.
Una ve n’ era. Credo sia di lui.
LISETTA.
E di chi altro saria? Su presto, dalla.
EUGENIO.
La voglio io consegnar alla padrona.
LISETTA.
E dalla qui, sguaiato. La padrona,
Ed io siam pure una sol cosa. Presto.
EUGENIO.
So ben, che dell’ amor la confidente
Della Signora è la persona stessa.
Ma io non la darò senza il regalo.
LISETTA.
L’ avrai. Non dubitar, subito parti
Non diam sospetto.
EUGE-//32//
EUGENIO.
E viva. Esempio, e specchio
Delle prudenti cameriere! Addio..
S C E N A II.
ANSELMO, EMILIA, e detta.
ANSELMO.
Fa presto, cara Emilia. Il carrozzino
E’ pronto già: partiamo.
EMILIA.
Ed io son pronta.
Su prendi il cassettin delle mie gioje,
Lisetta.
ANSELMO.
Dallo qui. Facciamo presto.
Oh cielo! Il Cavalier ormai ritorna.
EMILIA.
Ritornerà ben’ anche ora mio padre.
ANSELMO.
Ecco svanito il mio disegno.
EMILIA.
Ascondi,
Lisetta, il cassettino. Ah sorte! E quando
Ti stancherai di tormentarmi il core?//33//
S C E N A III.
CAVALIERE, e detti.
CAVALIERE.
A Madmoisella, ed al Signor Anselmo
Di riverenze un umile tributo.
EMILIA.
Sua serva, Cavaliere.
ANSELMO.
E’ ritornato
Ben’anche mio fratello?
CAVALIERE.
E’ di già in casa.
ANSELMO.
Come sì presto?
CAVALIERE.
Abbiam per via saputo,
Che non v ‘era il fattore, e ritornati
Senz’ oltre andare ce ne siamo in casa.
Ci abbiamo fatta corta passeggiata,
O per dir meglio, une petite promenade,
Madamigella, abbigliata vi miro.
Sproposito, Vò dir bene montata.
Volete un po’ trottare?
LISETTA.
Che importuno!
ANSELMO.
Sì, volevam trottar col carrozzino
Un poco.//34//
CAVALIERE.
Anch’ io avrò di starla
Servendo.
EMILIA.
Cavalier, grazie.
CAVALIERE.
Madama,
La servitù mia ricusando, voi
M’ offendete: morbleu. Saremo in tre.
Deh con un Zio un tete a tete! Sproposito.
Sproposito in buon gusto.
EMILIA.
Ma non voglio,
Che s’ incomodi.
CAVALIERE.
Affè che non intendo,
Qual demerito aver possa con lei.
Non mi degnò mai di un flattant renard.
Alla fin fin un gentiluomo io sono
E permetta, che ‘l dica, un genio, un genio.
LISETTA ad Emilia.
(Deh mandatelo via. Vi ho da parlare.)
EMILIA
A dirvi il vero, o Cavalier, di testa
Mi sorprese un dolore; onde convienmi
Restar in casa.
ANSELMO.
Ben se non ti senti,
Differiamo la nostra uscita. Addio,
Cavaliere.//35//
CAVALIERE ad Emilia.
Comanda essere servita
Nella sua stanza?
EMILIA.
Cavalier, vi priego
Lasciatemi sola.
CAVALIERE, le fa un inchino.
Cospetton, costei
O non tien occhi a ravvivar il mio
Merito, o pure il Cavalier Artemio
Or più non è quel Cavalier Artemio,
Nato per fare disperar le belle. parte.
LISETTA.
Allegramente, Signorina. Un buono
Regalo preparate. Di Leandro
Una lettera.
EMILIA.
Il ver dici, Lisetta?
LISETTA.
Il nostro fido Eugenio or l’ ha recata
Dalla posta.
EMILIA.
Dà qui, cara Lisetta.
LISETTA.
Leggete presto. Su vediam, che dice?
EMILIA.
“Alla Signora Emilia Argiro”. Oh quali
Palpiti io sento! Ah! veggo pur gli amati
Caratteri del mio fedel Leandro
Dopo sì lungo tempo. “Amato bene”
Ah! caro foglio, lascia, che io ti baci,//36//
E bagni delle mie lagrime. “ Io sono,
In mezzo ai rischi, e marziali affanni,
Contento, e lieto; e la vittoria fida
Segue i miei passi: poicchè nel mio core,
E nel mio labro io porto ognor l’ amato
Tuo nome, che ?l valor m’ ispira, e rende
Dolci le cure, e dolce ogni periglio.”
O vita del mio cor, solo pensiero,
E cura del mio sen, quando la luce
De’ tuoi occhi rivedrò di nuovo!
“ A nome dell’amor io ti scongiuro
Di conservarmi quel primiero affetto,
E la giurata fede.” Ah sì , mio core,
E come mai potrei non conservare
La fede, e l’ amor mio , se questo è ‘l solo
Soffio di vita, che anima le membra?
Lisetta mia, mancar mi sento, oh Dio!
Per tenerezza.
LISETTA.
Ed io strugger mi sento
Della curiosità d’ udire il resto.
EMILIA.
“A nome dell’ amor io ti scongiuro
Di conservarmi quel primiero affetto,
E la giurata fede del teatro
Comincia a leggere con sospensione, e meraviglia, indi si turba a poco a poco.
Reale in quella fortunata notte
Alla partenza precedente.” E quando
Mai nel Teatro io fui in quella notte? rilegge.
Lisetta cara, ciò, che vuol mai dire?//37//
“Bell’ Agatina, o mio soave amore”
Oimè! Chi è quella tal bell’ Agatina:
Son’ io? Vaneggio? E ‘l mio Leandro scrive!
LISETTA.
Non so capirne nulla.
EMILIA.
Io ben l’ intendo.
Misera me! tradita io son, Lisetta.
“Bell’ Agatina, o mio soave amore,
Son fuor di me per l’ eccessiva gioja,
Che mi recò la lettera tua cara,
Ove mi ferivi, che consente il Zio
A nostre nozze.” Ah disleal Leandro.
Leandro disleal! possibil sia!
Leandro disleal! L’ uomo perfetto!
E stessa virtù! Possibil sia!
Chi mai cangiò quel sì fedele core?
Tanto incostante esser potè giammai?
O finse meco? E come a segno tale
Portar si può la finzione? Oh Dio!
Carattere mentire, affetti, e tanti
Amorosi trasporti! Ma si compia
Di tracannare il reo velen di morte.
LISETTA.
Che strano avvenimento! Io son di sasso.
EMILIA.
“Non vi nasca nell’ animo sospetto
D’ Emilia Argiro: che l’ infausto nodo
Io scioglierò. Nell’ ordinario stesso
A quella drizzerò lettera, in cui
I chiari sensi mei farò palesi.//38//
Riprenderò la fè, che il labro mio
A lei giurò, ma non giurò mio core:”
Cielo! che leggo! O non udita mai
Perfidia! o tradimento! “Intanto, o cara
Adorata Agatina, il cor mi serba
Fedele, e sappi, che più presto forse,
Che tu non pensi, ad abbracciarti (oh Dio!)
Verrò. La tromba omai la man sospende.
Tempo non ho di terminar”. Leandro.
Infausto foglio, oggetto agli occhi miei
Odioso più di morte! O reo veleno!
O veleno fatal della mia vita!
Gitta la carta, e si abbandona su del sofà.
LISETTA.
Sì presto abbandonarvi alla credenza
Voi non dovete. Siete già sicura,
Che senza dubbio di Leandro quello
Sia foglio?
EMILIA.
Che? Non ben conosco gli empj
Del traditor caratteri fatali?
Mira, Lisetta. Mira pur. Non sono
Dessi. Tu gli conosci così bene,
Com’ io? Perché più lusingarmi? Infido,
E questo premio all’ amor mio tu rendi?
Dunque a me scrisse ancora? E’l tradimento
Mi palesò? la sorte ha discoverto
Tutto l’ inganno. Errò nel nome. Intanto
La mia lettera capitata è in mano
Alla rival felice, a cui quel fiero
Mi ha reso oggetto di pietà, di scherno.//39//
LISETTA.
Ma chi mai sa?... Mille sospetti, e mille
Mi vanno per la mente.
EMILIA.
Che sospetti!
Che dubbj! Io son la più misera donna,
Che su la terra sia. Funesto foglio!
O monumento eterno del mio duolo,
E dell’ altrui perfidia! Io sempre meco
Ti avrò per tutta la mia breve vita,
Nel sen ti recherò, perché presente
Il tradimento orrendo ognor mi sia.
LISETTA.
Distogliti, Signora, dal pensiero
Molesto, che ti opprime. Oh poverina!
EMILIA.
Che non feci , crudel, spietato?
Per te viveva io solo. Sol felice
Era per me quel dì, che io consumava
In ubbidirti, ed in servirti. Quante
Pene, ed affanni tu mi costi! Un solo
Fatal momento or m’ apre gli occhi. Morte
Deh termina il dolor, che ‘l sen mi squarcia!
LISETTA.
Povera mia padrona. Uomini fieri!
Uomini scellerati, e senza fede!
Fine dell’ Atto Terzo.//40//
A T T O Q U A R T O
S C E N A P R I M A
EUGENIO. CAVALIERE.
EUGENIO.
Vi ho servito, Signore. Intanto voi
Non adempite alla promessa. Un ora
E più passata n’ è, che consegnai
La lettera a Lisetta: ma voi l’ oncie
Promesse non mi avete consegnate.
CAVALIERE.
Caro, non dubitare. Tu l’ avrai.
Da filosofo, e Cavalier tel giuro.
EUGENIO.
Da filosofo, e servidor ti giuro,
Ch’or or le voglio.
CAVALIERE.
Bravo. Tien del genio
Costui per la mia fè.
EUGENIO.
De’ bravi in vece,
E di patenti di saper, che dai,
Meglio faresti a darmi le sett’ oncie.
Ve l’ ha date il padrone?
CAVALIERE.
Il signor Conte
E’ cavalier, né sa mancar di fede.//41//
EUGENIO.
Io vò pure sapere, se ve l’ ha date?
CAVALIERE.
Il Conte attende sì, quando promette.
EUGENIO.
Si può sapere mai, se ve l’ ha date,
CAVALIERE.
Nò, nò. Ti priego. Me l’ ha date il Conte.
EUGENIO.
Perché voi dunque non l’ avete date
A me?
CAVALIERE.
L’ affare tu devi achever.
Pria devi assicurar Madamigella,
Che hai della posta preso tu quel plico.
EUGENIO.
Io l’ assicurerò. Ma dammi l’ once.
CAVALIERE.
Dopo.
EUGENIO.
No. Prima. O ne farò già nulla
CAVALIERE.
Ma foi costui tien più filosofia,
E più genio di me.
EUGENIO.
Sappi, che tutto
Rivelerò.
CAVALIERE.
S’ en est fait. Barbares Dieux!
Ah! taitre!//42//
EUGENIO.
In buono Italian tel dico.
Se non cavi il denaro, il tutto io svelo.
CAVALIERE.
Morbleu. No, caro Eugenio.
EUGENIO.
E’ tutto vano.
CAVALIERE.
Darle bisogna. Prendi. Son quattr’ once.
EUGENIO.
E l’ altre tre?
CAVALIERE.
Per la mezzaneria.
EUGENIO.
Deh! come i genj son mezzani ancora?
Non ve ne vergognate, o Cavaliere?
CAVALIERE.
Son essi lucri onesti. Viver deve,
Altrui chi a viver da.
EUGENIO.
Tutte le voglio,
O pur dirò….
CAVALIERE.
Mon cher ami, deh senti
Pietà di un genio!
EUGENIO.
O tutte, o la Signora
Saprà l‘ arcano.
CAVALIERE.
O Ciel! prendine un’ altra.
Sei pur contento? //
//43 EUGENIO.
No. Tutte le voglio.
CAVALIERE.
Ma se non l’ ho?
EUGENIO.
Che n’ hai dimmi tu fatte?
CAVALIERE.
(Agli di costui debbo avvilirmi.)
Depositario del mio cor fedele,
Dell’ indigenze mie secreto scrigno,
Nel volume del cor ricevi questi
Di stridulo dolore acuti tuoni.
I sei ducati a spignorare ho dati
Questo mio flacco. Deh crudel volevi,
Che andassi ignudo?
EUGENIO.
I genj ignudi pinti
Sono. Ma voi non avevate or ora
Quell’ altro flacco indosso?
CAVALIERE.
Adunque vuoi
Tutta sapere la dolente istoria
Da me cruelle destinèe. Pagar doveva
Il galessier, che più volte condotto
Da Napoli mi ha qui. Quel manigoldo
En home vilaine m’ importunò poc’ anzi
Per essere pagato. Io non avea
Un sol quatrino in borza. Rare volte
Tengono i genj la lor borsa piena.
EUGENIO.
Anzi non mai per più leggier volare.//
//44 CAVALIERE.
Il manigoldo, l’ assassin per gola
Mi prese, e quindi levò il flacco, e quasi
Ignudo mi lasciò: mandommi il Conte
A tempo le sett’ once, e questo flacco
Io corsi a spignorare.
EUGENIO.
Ecco di un genio
Un fatto filosofico da vero.
Io ne sento pietà. Signor dell’ once
Deh! non si parli più. Siate tranquillo.
CAVALIERE.
Ah! tu mi dai la vita. Coll’ Emilia
Adempi adesso al tuo dovere. Or viene. parse
EUGENIO.
Io mento è vero, ma per bene io mento.
S C E N A II.
LISETTA, EMILIA, e detto.
LISETTA.
Ecco qui Eugenio.
EMILIA.
Ah! voglia pur il Cielo,
Che io possa dubitar de’ mali miei,
E ne’ suoi detti ritrovar almeno
Qualche ragion da lusingar la mente.
Eugenio caro, tu ben sai, se Emilia
Ti volle bene, e ti distinse ognora//
//45 Tra gli altri di sua corte. Ebbe fiducia
In te soltanto, e la sua mano avara
Verso di te non fu, scovrimi il vero:
Non m’ ingannar, se la mia pace hai cara,
Quel foglio (oh Dio! Che mai dirà?) quel foglio
Eugenio mio…
EUGENIO.
Non so, perché vi turbi
Quel foglio, Signorina. Il mio dovere
Non so perché di rammentar vi piace.
Vi dico sol, che Eugenio vostro è fido.
EMILIA.
Dimmi, quel foglio donde hai preso mai?
EUGENIO.
Donde m’ avete comandato: Dalla
Posta.
EMILIA.
Mi dici il vero?
EUGENIO.
Il ver vi dico.
Né so perché di dubitar vi aggrada.
EMILIA.
Oh Dio!
LISETTA.
Coraggio. Emilia mia, coraggio.
EMILIA.
Ecco troncato ancor quel debil filo,
A cui s’ attenne la speranza mia.
Mio cor piombato sei nel tetro abisso
Dell’ orrore agli occhi miei. Funesto oggetto.//
//46 Che lacerato il core m’ hai, deh parti!
Parti da qui.
EUGENIO.
Non ho fallito in cosa,
Che sappia, né comprendo, onde deriva
Questo furore. Vi ubbidisco, e parto.
EMILIA.
Lisetta mia, pietà! Dammi soccorso.
LISETTA.
Che far io posso? Spargerei la vita.
Per voi. Ma alcun rimedio io non ritrovo,
Se non di cancellar del traditore
L’ immagine dall’ alma. Non è degno
Un barbaro infedel del vostro amore.
Scordatevi per sempre del suo nome.
EMILIA.
Come scordar l’ amato traditore?
Come dal seno cancellar (oh Dio!)
L’ impression profonda ivi segnata
Da sì gran tempo con pennel di fiamma?
Sol era il viver mio l’ amar l’ infido.
Dell’ esistenza mia tutti i momenti
Eran ligati alla fatale idea
Dell’ oggetto del mio tradito amore.
LISETTA.
Ah! mi si spezza il cor in mille parti.
EMILIA.
Di perfidia, e d’ inganno esempio raro.
Maledetto quel dì che ti conobbi,
O rea cagion d’ ogni sventura mia.
Mi scorderò di te. L’ odio, il disprezzo//
//47 Succederà all’ immenso amor, che ti ebbi,
Al culto anche dirò. Sì, l’ adorai.
E nel più vile, e nel più reo mortale
Le qualità m’ immaginai di un nume.
S C E N A III.
CONTE, e dette,
CONTE.
Emilia ancora tu ostinata sei?
E sei ribelle ancor di un padre ai cenni?
Di un padre, che il tuo bene, altro non chiede.
EMILIA.
(Ah! non si aspetti pur, che sia compito
Il tradimento. Si dimostri almeno,
Che non si curi il traditore). O Padre
Più non resisto al tuo comando. Accetto…
Lo sposo… Che mi dà la man paterna.
CONTE.
Nelle mie braccia vieni, amata Emilia.
In questi sentimenti or la mia figlia
Io riconosco.
EMILIA.
Oh Dio! Padre; mi lascia!
Basta così. Quel che bramasti, ottieni.
Deh lasciami partire! (Eccomi in tutto,
E per sempre divisa da Leandro.
Per sempre…//
//48 LISETTA.
A quale amaro passo spinta
L’ ha gelosia, e un disperato affanno.
S C E N A IV.
CAVALIERE, e detto.
CONTE.
Già, Cavalier, la gelosia prodotto
Ha l’ effetto. Il consenso ha dato Emilia,
E ‘l Duca Orini sposerà.
CAVALIERE.
Del Conte
Il genio viva in inventare, e viva
Il gusto ancor del Cavaliere Artemio
In eseguire. Il vostro raro genio,
E ‘l gusto mio nella ragion composta
Della diretta son de’ nostri lumi,
E dell’ inversa poi della radice
Cubica d’ alta nazional rozzezza,
Che tutto avvolge nell’ ampio suo vortice.
CONTE.
Lascia una volta quello tuo gergone,
O Cavalier. Mandiamo pel Notajo,
E non s’ indugi più, che l’ uomo accorto
Al tempo non dà tempo.
CAVALIERE.
Egli bisogna
Saisir il punto labile felice//
//49 Di presentanea occasion fugace.
Filosofia, e genio.
CONTE.
Cavaliere,
Parlami in lingua umana, e non de’ genj,
Che cogli spirti non ho conversato.
Sia pur tua cura preparar il tutto
Per le nozze. A chiamar manda il Notajo.
Va dallo Sposo….
CAVALIERE.
E’ tutto fatto. Lascia
A me finir l’ incominciata trama.
S C E N A V.
LISETTA, e detto.
LISETTA.
Invano io cerco del Signor Anselmo.
Il Cavaliere! Che molesto incontro!
CAVALIERE.
Oh! Qui Lisetta. Un tete a tete faremo.
Deh! fidami, se tieni tu di core
Qualch’ interesse: Dì: nella campagna
Che fai Lisetta? A che tu ammazzi il tempo?
LISETTA.
A colpi di pistola, e di pugnale.
CAVALIERE.
Toujours badine. Stai sempre sullo scherzo.//
//50 LISETTA.
E voi vi vergognate di parlare
Italiano, usate sempre un gergo,
O ‘l vostro stile infranciosato.
CAVALIERE.
Amica,
Col viaggiare metamorfosato
Tutto mi sono in genio oltremontano.
Col mio vocabolario, e le maniere
Etrangeres io divenni un genio, un genio,
E filosofo ancora. Sai Lisetta,
Le buone nuove. Nozze, pranzi, e balli,
Genio, e filosofia.
LISETTA.
(Maledetto genio,
Che venne ad involàr la nostra pace!)
CAVALIERE.
Vogliamo sacrificare un Ecatombe
Al piacere. Vò dar quindi il buon tuono
A quella casa. Le bon ton, bon ton,
Che manca al nostro barbaro paese,
Senza filosofia, privo di genio.
Il Notajo or verranne.
LISETTA.
E ancor lo sposo?
CAVALIERE.
Lo sposo è un poco incomodato in letto.
Ei sette sol della semmana
Sta poco bene. Ma del resto è un fresco
Settagenario giovinetto. Il suo
Proccurator sarò.//
//51 LISETTA.
Povera Emilia!
E come, o Cielo, così saggia figlia
Deve incontar così malvagia sorte?
CAVALIERE.
Peggio sia per te.. non vuoi
Essere decrassè. Sempre sarai
Napolitana goffa, babbuina,
Priva di genio, e di filosofia.
Tu sai, che gran negozio fa l’ Emilia?
Casa straricca, commodo marito.
Amanti ella n’ avrà, quanti ne vuole.
LISETTA.
Signor mio Cavalier, molto sbagliate.
Emilia non è già l’ una di quelle
Civette attorniate di merlotti,
Che non amando alcun, voglion destare
In questo, e in quello amorose fiamme,
E de sospiri, e dei tormenti altrui
Formano i fatti loro, i lor trofei.
Non è di quelle tali ippocritine,
Che fingon la virtù, la tenerezza,
E corron sempre a nuovo amore in braccio.//
//52 Ell’ è la donna veramente rara.
Sensibil, virtuosa, che non ama,
Che l’ uom, che firma. E i suoi legami mai
Né per capriccio, o leggerezza scioglie.
CAVALIERE.
Viva Lisetta. Oh! Bello si è vedere
Discorrer di moral la cameriera,
Sensibilità, costanza nominare
Nel mille, ed ottocento; oh bella cosa!
Ah! ah! rider mi fai,
LISETTA.
Non rida pure.
Signore, io vi so dir, le cameriere
Hanno talora quel buon senso, il quale
Ai genj, come voi, manca mai sempre.
E se della virtù ridon gli Artemj,
Non son per buona sorte tutti Artemj.
CAVALIERE.
Deh non andar in collera, carina.
Via su, ti placa. In guerra colle donne
Io non vivo giammai. Fo sempre pace.
LISETTA.
Sò ben, che siete mediator di pace.
CAVALIERE.
Furbetta, mi vuoi mordere. Furbetta.
Non importa. Di ciò io non mi offendo.
La mia filosofia è dolce, umana:
Godiamo, e altrui facciam goder ancora.
Genio, e filosofia, cara Lisetta.
LISETTA.
Questa filosofia, e questo genio//
//53 La mente, il cor, la lingua hanno corrotta.
Ma ecco quell’ infelice, che ne viene.
S C E N A VI.
EMILIA. e detta.
EMILIA.
Dunque son io già sul fatal istante,
Che un uomo sposi, che non è Leandro?
Che feci mai?Deh qual funesta voce
Dal labro mio fuggì! Deh qual consenso
Il geloso furor strappò dal labro!
E non potea Leandro ritornare.
Pentito a piedi miei? Semplice scherzo,
O fuoco passeggiero esser potea
Il nuovo amore. E se mai finto il foglio,
Se Leandro fedele. (Oimè! Che tutta
Mi raccapriccio in sol pensarlo) torni,
E di un altr’ uomo mi ritrovi sposa…
Deh qual pensiero! Oh qual orrore! Devo
Sperare, o pur temer, che sia fedele
Leandro? Qual divien lo stato mio!
E qual si scovre agli occhi miei vicini
Esistenza funesta, e dolorosa!
LISETTA.
Frenar non posso il pianto. Emilia cara…
Ah che non m’ ode!
EMILIA.
No, non può di un padre//
//54 Giunger a tal autorità d’ imporre
Leggi, che rendon infelici i figli.
Questo comando lor diede natura
Per bene solo della propria prole.
All’ ingiusto comando si resista
Con coraggio. Ragion mi assiste, e guida…
Ma non ho dato il mio consenso? Or come
Riprender la parola? O Emilia, Emilia.
Altro non resta, che dispor tuo core
Ad essere infelice, mentre hai vita.
LISETTA.
Ecco il Notajo. Col padrone or viene.
EMILIA.
Oh qual momento! Che avvenir! Io tremo!
S C E N A VII.
CONTE. CAVALIERE. NOTAJO. e dette
CONTE.
Prendi via su, Notajo, la parola
Dalla mia figlia Emilia, e dal Signore
Cavaliere, del Conte Orini a nome,
Di cui procura tiene. Adagio poi
Secondo il nuovo rito fa le scritte.
Volete voi per sposo, Emilia, il Duca
Orini? Non rispondi? Che vuol dire
Questo Silenzio? Non Me l’ hai promesso?
EMILIA.
Ahi! Si… l’ accetto. (e poi piange)//
//55 CONTE.
Cavalier, volete
Del Duca Orini a nome la mia figlia,
Emilia Argiro legittima sposa.
CAVALIERE.
D’ erotico trasporto io pien l’ accetto.
CONTE.
Andiam nella mia stanza a far le scritte.
Seguimi, Cavaliere.
CAVALIERE.
Eccomi pronto.
EMILIA.
A che ridotta m’ hai, Leandro infido!
S C E N A VIII.
LEANDRO, e dette.
LISETTA.
Ti conforti il pensier, che più Leandro,
Degno non è d’ amore. Egli primiero
Alla fede mancò… Chi viene! Oh Dio!
E’ desso, aver m’ inganno? Oimè!
EMILIA.
Chi viene?
LISETTA.
Leandro.
EMILIA.
Oh Ciel! Leandro. O cor sostienti?//
//56 LEANDRO.
O cara Emilia, ed adorata amante,
Campato appena dalla man di morte,
Attraversando l’ oceano immenso,
Ritorno alfine a riveder la luce
De’ tuoi begli occhi, e di te degno forse
Reco a tuoi piedi que’ begnati allori
Del sangue mio. Alfin vengo a raccorre
Il premio atteso del mio lungo amore,
Del versato sudor unico oggetto.
Tu taci (oh Dio) qual freddo gelo è questo?
Non sei l’ Emilia tu? Non son Leandro
Io? Che? vaneggio?
EMILIA.
Non son io quella,
A cui tu credi favellare. Quella
Agatina non son, cui nel teatro
Giurasti fede, e ‘l più sincero amore?
Quella non sono….
LEANDRO.
Oh Dio! Che ascolto? E Quale
Agatina tu dici! E che promesse!
O bella Emilia, o tu dell’ anima mia
Tenero, e solo sentimento, e vita,
Deh! quale inganno il tuo bel cor seduce?
EMILIA.
Perfido mentitor, anima vile,
il vero osi negare agli occhi miei,
Agli occhi miei col reo pugnal trafitti
Degli empj tuoi caratteri, che miro
In ogni oggetto ognor presenti. O morte//
//57 Del pianto mio tu la sorgente chiudi!
LEANDRO.
Son io? Di quai caratteri favelli?
EMILIA.
Mirali pure, ed osa ancor negare.
LEANDRO. Legge.
Questo mio foglio! E questi miei caratteri!
E chi l’ infame fu, che ardì cotanto
Che ordì l’ inganno, e ‘l tradimento orrendo!
Ah! parla pur; che nell’ istante io volo
A immergergli nel sen questo mio ferro.
Dimmi chi l’ empio fu. Tacer non devi.
EMILIA.
Oh Dio! Che ascolto! Tuo non è quel foglio?
LEANDRO.
Fosti capace tu crederlo vero?
Del tuo fedel Leandro un sol momento
Potesti dubitare? Ingrata donna!
Noto non ti era di Leandro il core?
LISETTA.
Che tumulto di affanni or io proveggo!
EMILIA.
Ma i caratteri tuoi?
LEANDRO Gli finse un’ empio.
EMILIA.
E la distinta istoria dell’ amore…
LEANDRO.
Favola tutta ad ingannare ordita.
EMILIA.
E mi assicuri pur di ciò, Leandro?//
//58 LEANDRO.
Ah! Ch’ io te ne assicuri? Ingrata Emilia,
E non te n’ assicura il cor tuo stesso?
Non mi dicesti pur già tante volte,
I moti del tu cor provo nel mio.
Ah! dov’è mai quest’ Agatina? E quando
Con altra donna nel teatro io fui?
Io posso senza te provar diletto?
Bisogna, Emilia, assicurarti ancora?
Il giuro a quei bei lumi, ove il destino,
Del viver mio stà scritto. Emilia cara!
(Emilia prorompe in pianto)
Che vuol mai dir l’ impetuoso pianto,
Che bagna il tuo bel viso? Quei sospiri
Minaccian d’ affogarti. Ah! troppo, o cara,
Incredula tu sei. Deh! credi pure
Alle lagrime mie, tenera amante,
Ma corrisposta appien da questo core!
EMILIA.
Ah! chiaro or veggio il tutto. Dell’ inganno
Il padre mio fu la sorgente occulta.
(A Leandro)
Aprimi il seno. Al viver mio da fine.
LEANDRO.
Oh Dio! Che mai sarà?
EMILIA.
Misera Emilia!
Infelice Leandro! Non curare,
Sventurato amor mio, saper l’ arcano.
Fuggi da me. Ritorna al campo. Quivi//
//59 La gloria attende il tuo valor. Ti scorda
Di un infelice, e sventurata donna.
LEANDRO.
Deh! parla alfine: che l’affanno rio
A piedi tuoi qui mi farà spirare.
Immagino il peggiore. Emilia parla.
EMILIA.
Vuoi tu dunque saper l’ arcano funesto?
Il tradimento è già compito: Io sono
Omai di un’ altro sposa.
LEANDRO.
Oh Dio! che sento!
Di un’ altro Emilia sposa? E’ sia pur vero?
E chi scioglie la fede a me giurata?
EMILIA.
L’ inganno.
LEANDRO.
E chi l’ ordì?
EMILIA.
Svelar non posso.
LEANDRO.
Ah sì t’ intendo, scellerata donna,
Tu m’ hai tradito, lusingato m’ hai.
Di un vile amor già ti sei data in preda,
In van cerchi un pretesto, ingannatrice,
Per colorire il tradimento. A vile
Amante di un sol dì quella mercede,
Per tant’ anni da me con tante pene
Meritata, concedi. Abbiati pure:
Sarà punito anch’ ei d’ averti amato.
Tra poco un’ altro renderà l’ istessa//
//60 Vicenda a lui. Conosceratti allora
Ognuno, e di virtù quel finto velo
Ti sarà tolto, e diverrai l’ oggetto
Il più sprezzato.
EMILIA. Posatamente
Si, Leandro, questi
Oltraggi io merito. Il torto, che tu soffri,
È tal, che questa è ben lieve vendetta.
Ma innocente son io. Pur dee la pena
Sopra di me cadere. È toppo sacro
Il delinquente a me. Sappi, che ‘l mio
Delitto è sol d’aver presto creduto,
Ed alla gelosia dato ricetto.
Ma d’altro rea non sono. Una mia pari
Non s’avvilisce a discolpar se stessa.
LISETTA.
Potessi almen parlare, e dirgli tutto.
LEANDRO.
Ah forsennato! Che mai dissi! L’empio
Furor che m’ ispiro! Ben io conosco
D’Emilia la virtù ne’ detti suoi.
Vita dell’ alma mia[1], perdona al cieco
Trasporto infame.
EMILIA.
Ascolta pur, ben mio…
Ah che mai dissi! Voce tal delitto
Or’è sul labro mio.
//62 LEANDRO.
Cadrò à tuoi piedi,
Se non m’ accerti, che tu m’ami ancora.
EMILIA.
Io son di un altro sposa, e’l cor mio deve
Per forza un’ altro amare.(O Dio! Che pena!)
LEANDRO.
Ma chi mai puote comandar per forza
Al cuor d’amare?
EMILIA.
Austera, e dura legge
Del dovere?
LEANDRO.
Ma chi dettò tal legge,
Che la natura, e la ragion sovverte?
EMILIA.
L’opinion degli uomini tiranna,
I lor costumi… Il genitor qui viene.
Parti: non voglio, che t’incontri in lui.
LEANDRO.
Gli vò parlare.
EMILIA.
Per l’amor tel chiedo.
Appresso gli potrai meglio parlare.
Or non è tempo.
LEANDRO.
Tornerò. Quest’alma
è troppo avvezza ad ubbidir tuoi cenni.
EMILIA.
Ah! troppo temo il suo primier trasporto.
//63 SCENA IV.
CONTE, CAVALIERE , e dette.
CONTE.
Più lieta, o figlia, di vederti io bramo.
EMILIA.
Più lieta mi vedrai, quando vicine
Saranno l’ore estreme. Ah padre! a quale
Estremo passo tu condotta m’hai? Parte.
LISETTA.
Non vò lasciata sola in tal momento.
CAVALIERE.
Non prendete di ciò verun pensiero.
Si cangerà, si cangerà. Le donne
Dal pianto al riso passano ben presto.
CONTE.
Conviene, che la segua. Io vo disporla
Alle nozze. Doman debbonsi fare
In ogni conto: Ma però serbati
Sian tutti i convenevoli. Al presente
Sposa il Signore, come il contadino,
Senza solennità. Tutto ha guastato
Questa scioltezza, e maledetta moda. Parte
CAVALIERE.
Oh magnifiche nozze saran queste!
Ma’l più spettacoloso egli è mirare,
Che dentro il letto in tuon flebile, e fioco
L’infermo sposo impalmerà la sposa.
Fine dell’ Atto Quarto.
//64 ATTO V.
SCENA I.
EUGENIO . CAVALIERE.
CAVALIERE.
Oh bravo Eugenio! Il tutelare nume
Tu sei di questa casa : E nozze , e feste
Al tuo gran genio in eseguir dobbiamo.
Sott’altro Cielo merti esser tu nato,
E in altro rango d’essere arrangato.
Però voglio io farti uomo d’importanza.
Dal rango de’domestici ti voglio
Levare.
EUGENIO.
Forse i numeri del lotto
Voi mi volete dar per arricchirmi?
CAVALIERE.
Oibò!
EUGENIO.
Trovata qualche ereda avete
Per moglie?
CAVALIERE.
Oibò.
EUGENIO.
Mi volete Avvocato
Primario far, procurando biglietti,
E gran protezioni. Questi i modi/
//65 Son d’arricchire nel paese nostro.
CAVALIERE.
Oibò. Ti voglio far uomo di spirito,
Gran filosofo, e genio.
EUGENIO.
Deh che genio!
E filosofo! In questa età ti sembra,
Che apprender possa la filosofia?
CAVALIERE.
Eh! Ci vuol molto poco, se i maestri
Sono gli Artemj. Ascolta ti vò fare
In prima un buon filosofo morale,
Politico, economico sublime.
Non ci vuol nulla, nulla in ver secondo
Il facile mio metodo. T’ impara
Or questo breve mio vocabolario:
Umiltà, sensibilità, buon gusto,
Popolazion, rapporti sentimento.
EUGENIO.
Di vostra lezion non ho bisogno
Per cose tai. Sensibilità tengo io,
Perché sento la fame, e sento sete,
E vie più allor, che ho digiunato assai.
Ho gusto fino per li maccheroni
Conditi bene. La popolazione
Molto mi stà nel cor, e ci riesco,
CAVALIERE.
Bravo! Il à de l’esprit. Fatto tu sei
Per la plesanteria. E della bella
Letteratura è questa il fior più bello.
Or in fisica, e storia naturale
//66 Ti voglio render sommo. Impara bene
Moto, materia, meccaniche leggi,
Flogisto, acidi sali, ed alcalini,
E le dirette, e le ragioni inverse,
EUGENIO.
Per le ragion dirette, e per le storte
Bisogna andare in Tribunale: l’ altre
Voci arabiche son, né le poss’ io
Pronunziare.
CAVALIERE.
Eh! Via le buffonate.
Torniamo alla morale. Tu sé fatto
Per la morale più. Sappi ch’è tutto
Interesse concentrico, ed eccentrico.
EUGENIO.
Io lo so bene. E per cotal cagione
S’ eccentricò da me la doppia mia,
Che si concentricò nella tua borsa .
Queste tue ciance mi daran da pranso?
CAVALIERE.
Si bene. Fatto un uom di spirito, un genio
Da tutti i gran Signori chiesto a pranso
Sarai tu sempre. Da che genio io sono
Non mai fumo sporcò la casa mia.
Non mai vivanda m’ imbrattò la mensa.
Io per sei mesi i giorni ho destinati
A ciascun degli amici. Ecco la nota.
( caccia di sacca una lunga nota )
EUGENIO.
Più di tre fogli uniti insieme sono.
//67 CAVALIERE.
Or basta questo dì la lezione.
Le flambeau d’ imeneo, le feste, i pransi
Quest’ oggi son le mie forze centrali. Parte .
EUGENIO.
Oh che stoltezza di guastar la lingua
Per segnalarsi! Andar viaggiando adunque
Si deve, e gire sì lontan per poi
Il ridicol portar nelle miniere,
E nella lingua! O che pazzia sollenne!
SCENA II.
EMILIA, LISETTA , e detto.
EMILIA.
Eugenio va dalla Contessa Ercini,
E dille, che la priego di mandarmi
Quei libri, che l’ altr’jer io le prestai.
EUGENIO.
Ubbidita sarete sull’ istante.
EMILIA.
O debil mia virtù dove tu sei!
Invano, o mia ragion, ti chiamo, invano
In mio soccorso, Oimè! Questa ragione
Sterile, e vana, che mai può, se’ l core
Da mali oppresso la miseria sente.
LISETTA.
Foste ubbidita sull’ istante. Feci
Chiamar Leandro. Il vostro caro Zio.
//68// Seppe l’ arrivo suo. Spero per certo,
Che non sia lento a porgervi soccorso.
EMILIA.
Ahi!
LISETTA.
Spero molto nel Signor Anselmo.
EMILIA.
Convien parlargli risoluta. E questa
L’ estrema volta sia, che io gli favelli.
Ah povero Leandro!
LISETTA.
Eccolo arriva.
SCENA III
LEANDRO, e dette.
LEANDRO.
Questi momenti, che da te diviso
Io fui, partirmi, o bella Emilia, il core
Sentito ho in sen…
EMILIA.
T’ arresta. Odi Leandro.
A te d’ Emilia tutto il cor palese
Già fu, leggevi in quello ogni suo moto
Sai ben, che amore, e la virtù l’ impero
Se ne divise. Tu sol dell’ amore
Fosti l’ oggetto. La virtù mia fiamma
Approvò allora, or (reo destin!) condanna.
Di donna, che virtù perdè, l’ amante/
//69// Esser potrai? E che amaresti in lei?
Un nero inganno al nostro amor ordito
Creder mi fece il mio Leandro infido.
La cieca gelosia l’ empio furore
Nell’ alma m’ ispirò. ( Misero quegli,
Che a questa furia dà nel sen ricetto.)
Il paterno comando avvalorato
Dal freddo gelo mi strappò l’ assenso.
Del Duca Orini sono io già la sposa.
Il mio dover m’ impon di soffocare
Il dolce assetto, ond’ io vivea. L’ estrema
Volta è pur questa, che’ l dover mio soffre,
Che io possa favellarti, e rimirare
Quel volto, che forma ogni mio bene.
Rispetta il dover mio. Parti, Leandro.
Prendi l’ estremo addio. Il Ciel felice
Ti renda pure. Me la pena aspetta
Di breve sì, ma tormentosa vita.
LEANDRO.
Poiché fiero dover t’ impon finire
Il nostro amore, a me finir la vita
Impone ancora. Senza amar l’ Emilia
Il viver mi sarai peso mortale.
Torno nel campo ad incontrar la morte,
Che mi fuggì finor, che fui felice,
Per serbarmi al dolor, e a tanto affanno.
Addio per sempre.
EMILIA.
Fermati Leandro.
LEANDRO.
Che vuoi da me?
//70// EMILIA.
Che serbi i giorni tuoi.
LEANDRO.
E a chi li serberò, se a te non sono
Più cari, Emilia?
EMILIA .
O dispietato Cielo.
SCENA IV
CONTE, CAVALIERE, e detti.
CONTE.
E’ qui Leandro. Ritornò ? Noioso
Contrattempo.
CAVALIERE.
Tornò. Ma tardi un poco.
CONTE.
Oh! Ben venuto, o mio Signor Leandro.
LEANDRO.
Adunque , o Conte, ritornando io trovo
Da un tradimento a me tolta la sposa?
CONTE.
Non fu giammai l’ Emilia a te promessa .
LEANDRO.
Ella m’ avea la sua parola data,
E l’ approvaste voi col fatto, o Conte.
CONTE.
Ingannato, Leandro , tu ti sei.
//71// LEANDRO.
Ingannata l’ Emilia fu dall’ empia
Ordita falsità…
CONTE.
M’ incresce il dirvi,
Che in queste circostanze mi farete
Grazia a non più restar in casa mia.
CAVALIERE.
E bravo Signor Conte!
EMILIA.
Ahi quale eccesso!
LEANDRO.
E’ questo il premio d’un amor si lungo?
Dell’ amistà, che, vi serbai , Signore?
E queste son le dolci mie speranze?
Di mia sorte il rigor giunse a tal segno?
Ingannato, tradito, ed oltraggiato
Perd’ ogni bene, e nulla più mi resta.
Ma s’ esser degno io misero, ben’ anche
Altri si lo sarà. Tremi l’ indegno,
Che l’ empia trema ordì, che del mio nome,
E caratteri osò di far abuso.
E voi, Signore, dell’ oltraggio fatto,
e dell’ ascoso traditor voi conto
Si mi darete.
CAVALIERE.
Fuggono i cimenti
I genj. Conte, a prender vo la spada.
CONTE.
Mi vorreste insultare in casa mia?
//72// LEANDRO.
In casa vostra offeso voi m’avete.
EMILIA.
Ah ! frenati, Leandro. Ecco il mio petto,
Trapassalo col ferro. Hai tu ragione,
Ma sopra di me ti vendica, Signore.
Son’ io l’ infausta, e rea cagion di tanti
Disturbi. Su punitemi, uccidetemi
Padre, Leandro.
LEANDRO.
Ah! No; cadrà la pena
Sopra di me. Farò solo vendetta
Del mio funesto, ed infelice errore.
EMILIA.
D’ avermi troppo amata. È questo il solo
Errore tuo, Leandro sfortunato.
LISETTA.
Tornasse almeno or il Signor Anselmo.
In mal punto n’ uscì quegli di casa.
LEANDRO.
Signor Conte domando a voi perdono
Del mio trasporto. Più cagion, vi auguro,
Non avrete da me di alcun disturbo:
Più non udrete di Leandro il nome.
Ah! Se ne perda ancor la ricordanza
In questa casa, ove il disturbo io posi.
Emilia cara… Ah! Soffri per l’ estrema
Volta tal nome, da Leandro prendi
L’ estremo addio.
EMILIA.
Deh fermati Leandro!
//73// Dove tu corri disperato, e folle?
Oimè! Partì. Spirar mi sento. Oh Dio!
CONTE.
(E pur trovo pietà de’ casi loro.
Ma non conviene, né potrei ritrarmi.)
SCENA V
ANSELMO, e detti.
ANSELMO.
Signor fratello, non sapendo il Duca
Orini dell’ Emilia con Leandro
L’ amor, e i lor legami antichi, a voi
Per sua sposa la chiese. Or venne al giorno
Di tutto il fatto, e fa sapervi, ch’ esso
Essendo un galantuom, non vuol cagione
Esser della miseria di due fidi
Amanti, che felici foran senza
Ch’ avesse ei disturbato il lor piacere.
Onde l’ Emilia, e voi d’ ogni promessa
Discioglie, e in libertà piena vi lascia.
LISETTA.
Oh generoso !
CONTE.
E forse questa, Anselmo
Del vostro filosofico gran capo
La bella invenzione.
ANSELMO.
Mio fratello,
//74// Non è degno di te questo sospetto
Chiarir te ne potrai.
EMILIA.
La sorte mia
Quale sarà?
ANSELMO.
Fratello, alfin ti piega.
Ti ammoliscan le lagrime, i sospiri
Di un infelice figlia.
LISETTA.
Non risponde.
CONTE.
Non credete, fratello, che io mi sia
Ostinato, o crudele. Giacchè il Duca
Sciolse la mia parola. Sia Leandro
D’ Emilia sposo. Facciasi chiamare.
EMILIA.
Oh padre! Oh Zio! Leandro mio! Che gioja!
LISETTA.
Olà di sala. A ritrovar andate
Il Signor Leandro. Olà, correte
Portatelo ora qui. Siate pur lieta,
O Signorina mia. La tetra nube
Si dileguò. Ritorna il Ciel sereno.
EMILIA.
Chi sa dove n’ andò quell’ infelice?
Oh quanti amari palpiti prov ’io!
//75// SCENA VI.
CAVALIERE e detti.
CAVALIERE . Guarda prima da per tutto.
O Conte, eccomi qui con la mia sposa.
Dov’ è Leandro? Ov’ è quell’ insolente?
Mi batterò del Signor Conte in vece.
LISETTA.
Oh! ritornato siete veramente
A tempo, o Cavaliere. Vi farete
In vece di un duello un minuetto.
CAVALIERE.
Come? Perché ?
LISETTA.
Mentre, che siate andato
Cercando voi la sposa, ed indugiando
Con molta saviezza, in pace, e calma
Tutto tornò. Conchiuse ancor le nozze
Si son d’ Emilia e del Signor Leandro.
CAVALIERE.
Me ne consolo : ho fatto il mio dovere.
LISETTA.
Ecco ritorna Eugenio.
//76// SCENA VII
EUGENIO , e detti.
EMILIA.
Ritrovato
Si è Leandro?
EUGENIO.
Il Camarier mi ha detto,
Ch’ egli è partito. Né si sa per dove .
EMILIA.
Misera me! Chi sa dove lo guida
Il suo furore. Oimè ! ben mio, ti perdo
Ora che l’ cielo a me t’ aveva concesso.
ANSELMO.
Non affannarti, Emilia. In ogni parte
Si cerchi, Eugenio.
CAVALIERE.
Cercheronn’ anch’io.
Leandro è ’l mio più caro amico. Io l’ amo.
CONTE.
Si cavaliere va. Cercalo presto.
//77// SCENA ULTIMA .
CAVALIERE, EUGENIO, LEANDRO,
e detti.
LISETTA.
Ritorna Eugenio, e parmi che sia lieto.
EUGENIO.
Allegramente, o signorina. Ortenzio
Trovò, che verso Napoli n’ andava
Il Signor Leandro in fretta. Or viene
EMILIA.
Ah mio Leandro! Vieni, o mio Leandro.
LEANDRO.
E che si vuol dal misero Leandro.
ANSELMO.
Più tale voi non siete. Mio fratello
Sposa vi dona Emilia.
LEANDRO.
E sia pur vero?
CONTE.
È vero. Il Duca cede ogni ragione.
Su datevi la mano.
LEANDRO.
Emilia
EMILIA .
Caro.
LEANDRO.
Ah! sei tu mia.
//78// EMILIA.
Tua sono.
CAVALIERE.
Olà fermate.
Senza di me sarian coteste nozze
Senza filosofia, prive di genio.
LISETTA.
A tempo è pur la tua filosofia.
E ‘l genio. Andati ancor non siamo a mensa .
CAVALIERE.
Leandro, Emilia perdonate al genio…
EMILIA.
Io te perdono, con espresso patto
Di non parlar più di filosofia,
Di genio, e gusto, e non usar gergoni.
LEANDRO.
Io non rammento in questo giorno offese.
Emilia sol riempie l’ alma mia.
EMILIA.
Padre, Leandro, Zio! Soavi nomi!
Se producon le lagrime tal gioja
Lagrime care, e fortunato pianto.
F I N E .
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