I municipi del cessato governo, le stesse autorità amministrative e giudiziarie non esitarono un istante per riconoscere il nuovo governo, ed offrire ad esso la propria ed efficace cooperazione. Docili i popoli, docilissime le autorità parve che la rivoluzione tanto temuta e calunniata da’ retrivi fosse servita a ristabilire la pace pubblica, ed a riconsolidare la interna tranquillità, e l’ordine delle più ci-vili nazioni. E se la nostra Città vedesi irta di barricate per tutelarsi da inattese aggressioni di regi predoni, nella nostra Città spira quella calma, e quella sicurezza che derivano dalla forza del diritto, dalla giustizia dell’operato, e dalla grandezza dell’impresa.
Operosi, attivi, solerti provvengono i nuovi impiegati, commisti con molti de-gli antichi a quanto richiede l’urgenza del momento, ma con somma modestia, e silenziosamente. Non vessazioni di sospettosa polizia, non ricerche minuziose, ed incomode; il cittadino di Potenza o del regno intiero non deve dar conto tra noi dei suoi atti ai Magistrati se non quando gli atti si verificassero opposti alle leggi, o attentatori al supremo diritto della ricostituzione nazionale.
I governi deboli, ed usurpatori dei diritti del popolo temono di tutto, paventa-no fino delle ombre, delle parole, del sospiro, dei sogni medesimi; un governo forte come il nostro perché istituito dalla volontà generale, ed appoggiato dalla concorde cooperazione dei cittadini di tutte le classi non teme non paventa di alcuno, e corre spedito per la via tracciatagli dall’opinione pubblica, cioè riconoscere GARIBALDI come supremo Duce, e Dittatore della grande impresa nazionale, preparare ogni mezzo per coadiuvare la riuscita, allargare la rivoluzione nelle vicine provincie e posare le basi le più solide della futura ricostruzione nazionale.
Tali furono e sono i prodromi, e la storia della nostra rivoluzione, che passando ammirata, ed incontaminata fra i posteri ci farà ricordare dei medesimi portenti avvenuti nel 1820.
FONTE: «Corriere Lucano. Giornale Ufiziale dell'Insurrezione», n. 5 (1 settembre 1860), p. 19.
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