Il 18 giugno del 1496, Gilberto Borbone, conte di Montpensier, viceré francese dopo la partenza di Carlo VIII da Napoli, giunse nella Valle di Vitalba e decise, nei giorni successivi, di fermarsi ad Atella, nell’attesa di rinforzi da Gaeta.
Atella cresceva a vista d’occhio e i suoi abitanti prosperavano tra agricoltura e pastorizia, coltivando cereali, allevando bestiame, tagliando legna nei boschi di Lagopesole ed era inoltre meta, in particolare nelle due fiere dell’11 giugno e dell’8 settembre, di numerosi mercanti dell’intero circondario e venditori ambulanti che scendevano persino da Bari. L’oratore Francesco Casati da Napoli scriveva in proposito a Ludovico il Moro, il 24 giugno 1496, che … la terra e de meglio de
octocento fochi, et meglio de Venosa, et de ogni altra terra de Basilicata.
Il 20 giugno, da Ripacandida, il Montpensier scese con la sua armata ad Atella, minacciando di assaltarla e distruggerla qualora questa si fosse rifiutata di aprirgli le porte. Inoltre, il viceré francese promise che se fosse stato accolto, i suoi soldati non avrebbero arrecato alcun danno agli atellani e avrebbero rispettato le persone ed i beni. Così l’università, all’epoca infeudata al duca di Melfi Troiano II Caracciolo, passato dal partito filoangioino all’aperto sostegno alla corona aragonese, cedette alle richieste dei francesi e li accolse tra le proprie mura, però questi non mantennero le promesse e la posero
a saccho secondo il lhoro consueto. Hieri, i francesi, entrati ad Atella e promettendo salvo le persone et le robbe, non avendo rispecto alcuno ad alcuna promissione et ad la fede data, sono entrati dentro e messala al sacco. Noi siamo giunti hogi e non abbiamo potuto impedire la resa ed il sacco della città:
così scrive il 21 giugno da Melfi Francesco Gonzaga alla moglie Isabella d’Este. Il Gonzaga, a capo dell’armata veneta alleata degli aragonesi, comunicò inoltre alla moglie che il 22 giugno, i suoi stradiotti sul monte Vulture avevano preso ben 6 bovi de l’artigliaria francese e che si attendeva Consalvo di Cordova, il quale era a capo dell’armata spagnola, inviata da Ferdinando il Cattolico su richiesta di Ferrandino, proveniente dalla Calabria, sarebbe giunto nella valle di Vitalba con circa duemila uomini.
Il 23 giugno, il marchese di Mantova si accampò sotto le mura di Atella ed iniziò a bombardare la città assediata. Il giorno seguente arrivò Consalvo di Cordova e vi fu uno scontro tra i francesi usciti da Atella e i suoi stradiotti: i francesi ebbero nove morti e sei armati caddero prigionieri. Venosa provvedeva ad inviare viveri ai cinquemila francesi chiusi ad Atella, ma questi non arrivarono, bloccati dai napoletani; i mercenari francesi reclamavano la paga e molti di questi abbandonavano
la città assediata e si consegnavano ai napoletani. Nella città affamata, mancava il pane e per liberarsi di bocche inutili, scrive il 26 giugno, l’oratore veneto presso il re di Napoli, Paolo Capello, al suo governo, questa matina per tempo li nimici hanno spento fuori de la Terra tutti femine, puti e parte de l’homini.
Il 26 giugno, Francesco d’Aligre de Percy, ambasciatore del Montpensier, si presentò al campo aragonese per trattare la tregua: Ferrandino era disposto ad accettare la resa senza condizioni, secondo quanto riferiva il cronista veneto Marin Sanudo nei suoi Diari. Consalvo di Cordova, assunto il comando delle operazioni, organizzò l’assedio in modo che Atella rimanesse isolata dagli altri centri francesi e non vi giungessero più viveri e ordinò di rompere li molini alla Cità che furono poi occupati e distrutti, per costringere il Montpensier a cedere senza condizioni. Gli stradiotti compirono anche razzie di animali, spingendosi nelle campagne pugliesi controllate dai francesi, i quali usciti armati il 1° luglio dall’università assediata, furono respinti con gravi perdite.
Vennero successivamente inviati contro Ripacandida presidiata dai francesi, dei soldati che si accamparono sulla fiumara che scorreva ai piedi del colle.
Gli aragonesi, dopo aver preso una chiesa nelle vicinanze di Atella, sotto il comando di Antonio de Fabio si scontrarono presso Venosa contro trecento armati, i quali furono però dispersi dai veneti, il 16 di luglio. I successi degli aragonesi resero ancor più tragica la situazione: la guarnigione francese era costretta a cibarsi ormai di grano cotto e carne di giumento, mentre i cavalli si nutrivano solo dei pampini delle vigne. Il 19 luglio, il de Percy ritornò ad Atella per trattare la resa e assistette al gaudio degli aragonesi che accolsero gli stratioti rientrati nel campo con i cavalli e con i prigionieri francesi presi alla fiumara. Le trattative proseguirono e poiché il conte di Montpensier aveva preso in sposa Chiara, sorella di Francesco Gonzaga, l’intervento di quest’ultimo servì proprio a mitigare le richieste di Ferrandino. Il sovrano concesse difatti la tregua fino al 20 di agosto, giorno in cui i francesi dovevano abbandonare Atella e si impegnava, qualora non arrivassero gli aiuti promessi da Carlo VIII al Montpensier, di scortare l’esercito francese fino a Castellammare, dove questo si sarebbe imbarcato per la Francia. In aggiunta, promise di fornire al Montpensier il danaro necessario per pagare i suoi mercenari. Alla tregua non aderirono i francesi che mantenevano ancora Venosa; il Montpensier, invece, fu costretto a lasciare Atella ancor prima della data stabilita.
Ferrandino, dunque, il 31 luglio concesse un prestito di 10.000 ducati, accettando di assumere al suo servizio 50 homini d’arme et zercha 600 sguizari che rimarranno ad Atella e si fece garante di un prestito di 16.000 ducati concesso al Montpensier da banchieri fiorentini.
Il giorno stesso ebbe inizio l’esodo dei francesi che abbandonarono ad Atella le loro bombarde et tute lhoro robe. I francesi, all’alba del 3 agosto, scortati dagli stratioti del Gonzaga e da soldati spagnoli, partirono alla volta di Castellamare, ma le navi che dovevano riportarli in Francia non giunsero e pertanto i prigionieri vennero trasferiti a Portici e qui il 5 di ottobre morì il Montpensier (probabilmente di malaria) che aspettava l’autorizzazione per recarsi a Mantova come ospite della famiglia di sua moglie. L’assedio, pur verificandosi nel momento più alto dello sviluppo di quest’università, lo interruppe traumaticamente: i lutti, gli stenti, le epidemie, la fame ed il conseguente stravolgimento delle attività economiche che esso comportò, avviarono un processo di progressiva decadenza per Atella.
Riferimenti bibliografici
M. SARACENO, T. PEDIO, Atella 1496, Rionero, Tarsia, 1996.
C. CONTE, M. SARACENO, Territorio uomini e merci ad Atella tra medioevo ed età moderna, Venosa, Appia2, 1996.
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