Raffaele Riviello, nato a Potenza nel 1840, aveva partecipato all’insurrezione dell’agosto 1860, tuttavia rimanendo su posizioni moderate e “conciliatorie” e criticando «tutte quelle azioni e posizioni opportunistiche che spesso li [i patrioti] caratterizza e di cui è testimone». La sua posizione mediatoria e, in qualche modo, “populista” emerge lungo tutta la Cronaca Potentina, in cui il Riviello stigmatizza i diversi snodi della via lucana all’Unità che non coinvolgano direttamente il popolo e che, come nel caso del 1848, avessero fatto perno su interessi di parte dei gruppi dirigenti locali.
Tra le altre cose, quest’esigenza di cronachismo del Riviello si esplicita fin dalle prime battute della narrazione incentrata sull’insurrezione del 18 agosto, che il canonico potentino vide come un netto spartiacque nella storia politica del capoluogo e non solo:
Quella breve lotta, quel fatto di armi iniziò storicamente l'insurrezione Lucana; le diede il primo e maggiore impulso; fu episodio glorioso fra la liberà ed il dispotismo, fra la virtù di un popolo e la forza aggressiva di una milizia organizzata; fu infine la più bella pagina di storia che si aggiunse alle tradizioni patriottiche di Potenza, che in quel giorno si mostrò degna capitale della Basilicata, Provincia sempre magnanima e gloriosa.
Ed è proprio in questo passaggio nel quale l'autore mostra discordanze con il Racioppi, parlando addirittura, per la narrazione di quest’ultimo, di «mezze frasi e gli oscuri incisi», tra l’altro “accusandolo” di parlare di capi civili e militari quando ancora non era stato istituito il governo prodittatoriale, inoltre rimproverandogli di voler pretendere omaggi di «franca adesione da un popolo che si era battuto contro 400 gendarmi, ed aveva, a suon di fucilate e sangue dei suoi cittadini, già comprovato, innanzi alla storia, di volere l'Italia una, libera ed indipendente!».
Riviello, dunque, in nome di queste mezze verità, abbandonò il consueto usus cronachistico, evidenziando con molta chiarezza il motivo per il quale riportava, questa volta in extenso, gli atti ufficiali e la documentazione originale - dettagliatissima - riguardante quelle giornate: l’intento era di offrire una ricostruzione, appunto, nei dettagli «perché non si deve travisare la verità dei fatti, né scemarne l'importanza, o adombrarne la fisionomia politica». È una chiara critica, dunque, al modo di scrivere del Racioppi, una non velata contrarietà al suo modo di narrare i fatti.
Del resto, più volte, senza critica astiosa, ma comunque puntuale, il canonico potentino puntava il dito sulle “inesattezze” e sulle «mezze frasi e gli oscuri incisi del Racioppi intorno tale fatto», oltre che sulle «voci e le frasi di sospetto, raccolte, io credo, in buona fede dal Racioppi, ma messe qua e là con molta maestria».
Questa riscrittura del Riviello, certamente ad usum populi per l’insistenza su moduli memorialistici e rievocativi di notevole (ancorché facile) drammaticità, specie nell’attenta descrizione dei combattimenti della mattina del 18 agosto lungo i vicoli del centro cittadino, rispondeva, dunque, ad un intento ben preciso. Recuperando una pluralità di fonti, in primo luogo, il canonico intendeva evidenziare come l’insurrezione, certamente lucana, fosse comunque partita da Potenza, i cui abitanti non avevano atteso i drappelli insurrezionali “con le mani in mano”, come più memorialisti avevano evidenziato nei decenni successivi al 1860: in realtà, il Riviello mostrava come già nelle fonti coeve ai fatti si sottolineasse l’attivo concorso di popolo, dal «Corriere Lucano», giornale ufficiale della Prodittatura, ai resoconti del giornalista-patriota Giovanni La Cecilia, dai proclami circolanti nei giorni precedenti e seguenti il 18 agosto al prezioso resoconto del democratico Emilio Petruccelli, protagonista di prima fila delle operazioni preliminari all’insurrezione per conto di Nicola Mignogna.
Un simile dispiegamento di fonti, non inconsueto nella Cronaca rivielliana, ma attuato con metodo e rigore in questo capitolo centrale, aveva, altresì, lo scopo di evidenziare come l’attendismo dei gruppi dirigenti locali era stato tutt’altro che gesuitico, come l’aveva bollato il Racioppi ed anzi proveniva da personaggi
che soffrirono i flagelli borbonici, come Gennaro e Bonaventura Ricotti, Pietro Rosano, Nicola Alianelli, Raffaele de Pierro, Raffaele d’Aquino, Giovanni cantore, Giuseppe Mango; o combatterono per l’indipendenza italiana nel 1848, come Errico Cortese; o figurarono per diversi uffici nell’Insurrezione Lucana, come rilevasi dagli atti del Governo Provvisorio; ed infine si appartenevano a quella cittadinanza che [...] era tutta insorta a mano armata, ed aveva sostenuto il primo e grave pericolo della non facilissima intrapresa.
Un sostegno, dunque, ai moderati potentini ed al loro agire “ondivago” che nasceva, secondo il cronista, da constatazione delle oggettive difficoltà che il capoluogo, presidiato da ben quattrocento soldati, aveva nell’attuazione dell’appoggio ai drappelli insurrezionali provenienti dal resto della provincia. Comunque, quella del Riviello finì per diventare la narrazione “ufficiale” dell’insurrezione proprio per il tono retorico e trionfale, che ben corrispondeva al disegno dei nuovi parlamentari lucani e della loro rete clientelare attuata su basi moderate e di fatto conservatrici, volte ad estromettere (come in quei decenni era avvenuto) ogni componente di parte democratica.
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