Il compito principale degli intendenti, rappresentanti civili e in qualche caso anche militari dello Stato nelle province, era di assicurare l’esecuzione delle leggi e dei provvedimenti del potere centrale e di informare costantemente il governo. La legge dell’8 agosto 1806, con la costituzione delle intendenze e il riordinamento dell’amministrazione provinciale e comunale, liquidava la Camera della Sommaria, le cui molteplici attribuzioni, in parte passavano agli intendenti e ai consigli di intendenza, in parte passavano ad organi di altri ministeri come le finanze e la giustizia.
L'intendente era subordinato al Ministro dell'Interno, esercitava l'amministrazione attiva e di tutela sui Comuni, era funzionario di polizia, disponeva della guardia provinciale e dell'esercito. Alla diretta dipendenza dell'intendente era il segretariato, a sua volta suddiviso in vari uffici che trattavano di affari interni, dell'amministrazione provinciale e dei lavori pubblici, dell'amministrazione comunale, di polizia generale, di guerra e marina, di finanze e contabilità, di giustizia e di affari ecclesiastici.
Nella nuova struttura organizzativa dell’amministrazione pubblica gli Intendenti furono posti a capo delle province del Regno, con compiti molto delicati, come il controllo della vita locale, dall’istruzione pubblica alla polizia, alla vigilanza sui Comuni. Essi dovevano avere cura di pubblicare le leggi e i decreti reali assicurandone l’adempimento; erano autorizzati a disporre, per l’esercizio delle proprie funzioni, della forza provinciale e, nel bisogno, di quella militare. Avevano, inoltre, il dovere di compiere ogni due anni la visita alle province «al fine di conoscere e proporre al Governo i mezzi di promuoverne la prosperità».
Tre furono i compiti essenziali, come detto, tra le molteplici funzioni attribuite alle Intendenze: la polizia e l’ordine pubblico, l’amministrazione civile e l’amministrazione finanziaria. «Lo sforzo di garantire dei rapporti efficienti fra il centro e la periferia […] conciliando l’autonomia e l’adeguata articolazione dell’amministrazione col più rigoroso centralismo è evidente, oltre che nel testo della legge» , nelle istruzioni che il ministro dell’Interno Miot emanò nell’ottobre del 1806. In tale testo si stabiliva, infatti, «un assetto amministrativo fortemente gerarchizzato e centralizzato […] Il ruolo di fare da cerniera fra centro e periferia affidato alle Intendenze era delicatissimo, e per nulla meccanico. Si trattava, infatti, di operare una mediazione adeguata fra il primo governo centrale del Regno a carattere borghese e le amministrazioni comunali».
Di seguito l'elenco degli intendenti di Basilicata dal 1806 al 1860:
1. Tommaso Susanna 1806
2. Vito Lauria 1807
3. Luigi Flach 1807-1812
4. Nicola Santangelo 1812-1816
5. Giuseppe Cito 1816-1817
6. Giuseppe Ceva Grimaldi 1818-1820
7. Francesco Saverio Petroni 1820-1821
8. Carlo Troya 1821
9. Donato Antonio De Marinis (facente funzioni)
10. Raffaele d'Aragona
duca di Cutrofiano 1822
11. Nicola duca di Presenzano 1823
12. Carlo Antonio De Nigris 1823-1827
13. Gregorio di Montaperti 1827
14. Gennaro Petitti 1828-1837
15. Giovanni Chiarini (f.f.)
16. Giuseppe Capece Zurlo (f.f.)
17. Edoardo Winspeare 1837-1842
18. Francesco Benzo
duca della Verdura 1842-1847
19. Salvatore La Rosa 1847-1848
20. Giacomo Coppola 1848
21. Giuseppe Capece Zurlo (f.f.)
22. Laudisio (Segr. Gen.)
23. Vincenzo Caracciolo 1848
24. Egidio Sarli (f.f.)
25. Andrea Lombardi 1848-1849
26. Ferrante De Gemmis (f.f.)
27. Luigi Aiossa 1849
28. Gaetano Colombo 1850-1852
29. Domenico Spagnuolo (f.f.)
30. Giuseppe Ciccarelli (f.f.)
31. Achille Rosica 1857-1859
32. Leonardo Morelli 1859-1860
33. Vincenzo Arnone (f.f.)
34. Cataldo Nitti 1860 (15-19 agosto)
L’Intendente, vera cerniera tra centro e periferia, era in grado di esercitare un controllo sulla vita amministrativa provinciale che nessuna magistratura del passato antico regime aveva mai effettuato. Rappresentante dello Stato, figura a più stretto contatto con le popolazioni, al centro di una fitta rete di poteri che annoverava non solo ufficiali, funzionari, burocrati, ma anche coloro ai quali il nuovo regime aveva dato gli strumenti per studiare la realtà, a lui si deve l’alta integrazione tra governo e ampie fasce della popolazione che, di fatto, entrarono nelle strutture del governo locale, rendendo inutili i continui ricorsi a Napoli da parte dei singoli comuni, favorendo il sorgere di un interesse e di uno spirito provinciale che richiamavano alla «più alta unità di un interesse nazionale».
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
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LANDI G., Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffré, 1974.
MASSAFRA A. (a cura di), Il Mezzogiorno preunitario. Economia, società e istituzioni, Bari, Dedalo, 1988.
PELLEGRINO B. (a cura di), Il Mezzogiorno d’Italia in età napoleonica, Galatina, Congedo, 2011.
SPAGNOLETTI A., Storia del Regno delle due Sicilie, Bologna, Il Mulino, 1997.
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