Riprese aprile-luglio 1964; teatri di posa Roma, Incir De Paolis; esterni Orte, Montecavo, Tivoli, Canale Monterano, Potenza, Matera, Barile, Bari, Gioia del Colle, Massafra, Catanzaro, Crotone, Valle dell'Etna; durata 137 minuti.
Il film è una riproposizione molto fedele del Vangelo secondo Matteo. Si ripercorrono quindi le tappe della vita di Gesù Cristo: la nascita, Erode, il battesimo di Giovan Battista fino ad arrivare alla morte e alla resurrezione. Non vi sono variazioni nella storia, né cambiamenti anche testuali apportati dal regista alla versione di san Matteo.
Dice Pasolini del suo Vangelo: "Avrei potuto demistificare la reale situazione storica, i rapporti fra Pilato e Erode, avrei potuto demistificare la figura di Cristo mitizzata dal Romanticismo, dal cattolicesimo e dalla Controriforma, demistificare tutto, ma poi, come avrei potuto demistificare il problema della morte? Il problema che non posso demistificare è quel tanto di profondamente irrazionale, e quindi in qualche modo religioso, che è nel mistero del mondo. Quello non è demistificabile"..
L'idea pasoliniana del Vangelo, cioè, non partiva dalla volontà di mettere in discussione dogmatismi o miti, ma si riferiva anche e in primo luogo all'idea della morte, uno dei temi fondamentali dell'impegno intellettuale del Poeta: "È dunque assolutamente necessario morire, perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità"..
Non casualmente - come già nelle opere cinematografiche precedenti - Pasolini affida a un linguaggio sonoro raffinato tutte le vicende più significative narrate nel film. Per una sensibilità quale quella del Poeta, il ricorso alla bachiana Passione secondo Matteo è quasi d'obbligo. Ma, in particolare, alla morte di Gesù, egli associa la Musica funebre massonica, che è a sua volta una delle più alte creazioni di Mozart, che in essa ha anche espresso la propria immagine della morte: nessuna titanica lotta contro il destino ineluttabile. La morte non lo spaventa: Mozart la chiama perfino "cara amica"; nella musica stessa si percepisce il dolore per la separazione, a cui Mozart si dà, senza tuttavia lasciarsene sopraffare..
Vi è un solo momento della lunga sequenza della crocefissione e della morte in cui il racconto non è affidato al solo indivisibile binomio "immagini-musica": è quello in cui Cristo pronuncia queste ultime parole: "Voi udrete con le orecchie ma non intenderete e vedrete con gli occhi ma non comprenderete, poiché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile e hanno indurito le orecchie e hanno chiuso gli occhi per non vedere con gli occhi e non sentire con le orecchie"..
Per rimanere ancora un momento nell'ambito delle scelte musicali effettuate da Pasolini nel Vangelo: ho trovato straordinario l'accostamento delle ultime immagini del film (Maria - che è qui, non casualmente, la stessa madre di Pasolini - si reca con altri alla tomba del Figlio; il sepolcro si apre e Cristo non è più avvolto nel sudario: è risorto!) al Gloria di una messa cantata congolese. Nel canto, il testo è in latino e la musica ha tutti gli accenti, gli strumenti e i ritmi del folclore africano, quasi a sottolineare l'universalità di un profondo sentimento religioso..
Il Vangelo cui Pasolini si richiama è quello di Matteo, dal quale emerge una figura umana, più che divina, di Cristo che, anche se ha molti tratti di dolcezza e mitezza, reagisce con rabbia all'ipocrisia e alla falsità. È un Cristo sorretto da una forte volontà di redenzione per le vittime della istituzionalizzazione della religione operata dai farisei "sepolcri imbiancati", che l'hanno adottata con ipocrisia e iniquità quale strumento di repressione politica e sociale. .
È un Cristo che non è venuto a "portare la pace ma la spada", perché sia possibile accedere al regno di Dio con cuore puro "come quello dei bambini". .
È, anche, un Cristo rivoluzionario. Nel corso di un dibattito tenutosi negli ultimi mesi del 1964, Pasolini dichiarò: "[...] mi sembra un'idea un po' strana della Rivoluzione questa, per cui la Rivoluzione va fatta a suon di legnate, o dietro le barricate, o col mitra in mano: è un'idea almeno anti-storicistica. Nel particolare momento storico in cui Cristo operava, dire alla gente 'porgi al nemico l'altra guancia' era una cosa di un anticonformismo da far rabbrividire, uno scandalo insostenibile: e infatti l'hanno crocifisso. Non vedo come in questo senso Cristo non debba essere accepito come Rivoluzionario [...]"..
In effetti, per quel momento storico (e, per alcuni versi, anche per il momento storico nel quale Pasolini stesso si collocava) non sono da considerarsi rivoluzionarie predicazioni nelle quali si dichiara: "fate agli altri quanto gli altri volete che facciano a voi", "non accumulate tesori su questa terra", "nessuno può servire due padroni: Dio e il denaro"?.
Quando fu presentato, nel 1964, il film fu ampiamente apprezzato (e premiato) dalla critica cattolica, quanto duramente contestato dalla sinistra. A coloro che lo avversavano Pasolini rispose: "[...] io ho potuto fare il Vangelo così come l'ho fatto proprio perché non sono cattolico, nel senso restrittivo e condizionante della parola: non ho cioè verso il Vangelo né le inibizioni di un cattolico praticante (inibizioni come scrupolo, come terrore della mancanza di rispetto), né le inibizioni di un cattolico inconscio (che teme il cattolicesimo come una ricaduta nella condizione conformistica e borghese da lui superata attraverso il marxismo)".
Pasolini lesse il Vangelo, per sua stessa ammissione, per la prima volta nel 1942, e la seconda ad Assisi nel 1962. In quest'ultima occasione Pasolini ebbe l'idea di un film sul Vangelo. La scelta di San Matteo non è casuale; Pasolini ritiene la versione dell'apostolo Matteo quella che più d'ogni altra risalta l'umanità del Cristo, il suo essere uomo tra gli uomini. Pasolini non è un cattolico, "non sono nemmeno cresimato" dirà rispondendo alle critiche provenienti da ambienti marxisti, per ribadire il suo ateismo, e proprio questo suo distacco, questa mancanza di "resistenze interne" lo convincerà a terminare questo ambizioso e rischioso progetto. Pasolini era stato condannato, un anno prima a quattro mesi di reclusione per vilipendio alla religione dello Stato, per l'episodio La ricotta del film RoGoPaG. Dirà Alfredo Bini, produttore del film:
"Banche, ministero, distributori mi dicevano che ero matto a voler fare un film commerciale tratto dal Vangelo, e per di più diretto da Pasolini, appena condannato a quattro mesi per vilipendio alla religione. Ora tutti dicono che sei religioso. Strano. Quando hai fatto La ricotta e Il Vangelo non se n'era accorto nessuno. Nemmeno quando organizzai la proiezione del film per i padri conciliari: avevamo avuto il permesso per avere l'Auditorium di via della Conciliazione, ma la mattina alle 10 tutti quei cardinali, bianchi, gialli, neri, con i loro berrettini e i mantelli rossi si accalcavano davanti alla porta sbarrata su cui c'era scritto "lavori in corso". Una bella idea dettata dalla paura notturna. Ma la proiezione l'abbiamo fatta lo stesso. Mille cardinali portati con trenta taxi che facevano la spola tra S. Pietro e piazza Cavour, al cinema Ariston. Venti minuti esatti di applausi hanno fatto, quando è apparsa la dedica a Giovanni XXIII. A Parigi, la proiezione dentro la cattedrale di Notre Dame, andata ancora meglio: niente lavori improvvisi." (1)
Il film vince il gran prix 1964 dell'Office Catholique international du cinema. Pasolini collabora, per la stesura della sceneggiatura, con la Pro Civitate Christiana. E' un'occasione, questa, per saldare dei rapporti di reciproca stima con gli ambienti cattolici meno conservatori e più aperti al dialogo. La critica di sinistra risponde freddamente all'uscita del Vangelo: "l'Unità" si esprime in questi termini:
"...il nostro cineasta ha soltanto composto il più bel film su Cristo che sia stato fatto finora, e probabilmente il più sincero che egli potesse concepire. Di entrambe le cose gli va dato obiettivamente, ma non entusiasticamente atto".
Pasolini risponde alle critiche, spesso preconcette, esaltando la comune avversione del cattolicesimo e del comunismo verso il materialismo borghese, unico vero nemico di Cristo. Pasolini intravede, paradossalmente, nell'ateismo di un comunista una certa religiosità in quanto "si possono sempre ritrovare quei momenti di idealismo, di disperazione, di violenza psicologica, di volontà conoscitiva, di fede - che sono elementi, sia pur disgregati, di religione" (2)
La critica del tempo non sembra comunque cogliere il senso del film e, come spesso accade, coglie l'occasione per polemizzare su e contro Pasolini:
"Il Tempo": "Il regista ha sottolineato alcuni episodi della vita di Gesù che sembrano contenere semi più rivoluzionari...".
"Il Corriere della Sera": "Combattuto tra ideologia e sentimento Pasolini ha tentato di recuperare al suo laicismo i caratteri della religiosità, ma poiché l'operazione ha un accento volontaristico, gli è sfuggito quel carattere precipuo che è il senso del mistero".
"La Notte": "Un ottimo film, più cattolico che marxista".
"L'osservatore romano": "Fedele al racconto non all'ispirazione del Vangelo".
Il film non è una ricostruzione storica fedele, ma una traspozione cinematografica della visione di Matteo, ossia del modo in cui ha inteso la vita di Cristo, non attraverso una disamina storicistica o storica, ma solo mitica. Non vi è nel film una ricostruzione storica, ma, come lo stesso Pasolini definisce:
"... una specie di ricostruzioni per analogie. Cioè ho sostituito il paesaggio con un paesaggio analogo, le regge dei potenti con regge e ambienti analoghi, le facce del tempo con delle facce analoghe; insomma è presieduto alla mia operazione questo tema dell'analogia che sostituisce la ricostruzione". (3)
Non è quindi, un film storico come le colossali produzioni americane erano solite fare. Il film non vuole essere una ricerca illustrativa ma vuole dare il senso della poesia che c'è nel Vangelo:
"La mia idea è questa: seguire punto per punto il Vangelo secondo Matteo, senza farne una sceneggiatura o riduzione. Tradurlo fedelmente in immagini, seguendone senza una omissione o un'aggiunta il racconto. Anche i dialoghi dovrebbero essere rigorosamente quelli di San Matteo, senza nemmeno una frase di spiegazione o di raccordo: perché nessuna immagine o nessuna parola inserita potrà mai essere all'altezza poetica del testo. E' quest'altezza poetica che così ansiosamente mi ispira. Ed è un'opera di poesia che io voglio fare. Non un'opera religiosa nel senso corrente del termine, né un'opera in qualche modo ideologica. In parole molto semplici e povere: io non credo che Cristo sia figlio di Dio, perché non sono credente, almeno nella coscienza. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l'umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell'umanità. Per questo dico 'poesia': strumento irrazionale per esprimere questo mio sentimento irrazionale per Cristo". (4)
Pasolini, da non cattolico, e seguendo fedelmente il racconto di Matteo è riuscito a raccontare il Vangelo proprio grazie al suo distacco; per la mancanza di inibizioni di un cattolico praticante, e di "cattolico inconscio", cioè colui che, grazie al marxismo, ha superato la sua "condizione conformistica" di cattolico, ma è intimorito dal potervi ricadere. Pasolini, quindi, si sente libero da qualsiasi schematismo, ed è questa la ragione che lo porta a raccontare la vita del Cristo.
Il Vangelo è anche il risultato di una crisi personale di Pasolini e, più in generale, di una crisi della cultura italiana. Dice Pasolini:
"... Tutto il razionalismo ideologico elaborato negli anni cinquanta, non solo in me ma in tutta la letteratura, è in crisi, le avanguardie, il silenzio di molti scrittori, le incertezze ideologiche di scrittori come Cassola o Bassani, c'è aria di crisi dappertutto e evidentemente c'era anche in me. In me ha assunto questa specie di regressione a certi temi religiosi che erano stati costanti, però, in tutta la mia produzione. Non mi sembra ci si debba meravigliare davanti al Vangelo quando leggendo tutto quello che ho prodotto una tendenza al Vangelo era sempre implicata, fin dalla mia prima poesia del '42. [...] Quindi un tema lontanissimo nella mia vita che ho ripreso, e l'ho ripreso in un momento di regressione irrazionalistica in cui quello che avevo fatto fino a quel punto non m'accontentava, mi sembrava in crisi e mi sono attaccato a questo fatto concreto di fare il Vangelo". (5)
Il film è girato in Lucania (un paesaggio "analogo" alla Palestina in cui visse Cristo) con un cast di attori rigorosamente non professionisti. La parte di Gesù Cristo e' affidata a Enrique Irazoqui, che si trova per caso sul set del film il giorno prima dell'inzio delle riprese. La voce di Cristo è di Enrico Maria Salerno. Nel cast del film sono presenti, tra gli altri: Enzo Siciliano, nella parte di Simone e Natalia Ginzuburg nella parte di Maria di Betania. Come detto sopra, Pasolini si è riferito rigorosamente alla versione di Matteo, ma in alcuni punti del film è possibile intravedere alcuni riferimenti all'attualità: i soldati di Erode vestiti da fascisti e i soldati romani vesti da celerini. Sono comunque dei piccoli riferimenti che, in una visione unitaria del film, non distolgono lo spettatore dal racconto della vita del Cristo. Le musiche sono di Bach, Mozart, Prokofiev e Webern. Le musiche origanali di Luis E. Bacalov.
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