Che debb’io far? E qual consiglio mai
Nel dubbio stato mi dia pront’aita?
Dhe! Chi la via m’addita,
Che dritto scorge, e mena
Alle belle contrade d’Elicona,
Ove non mai l’infermo piè drizzai?
Né la bella d’alloro alma corona
Unqua velò mie tempia.
Or mi manca la lena:
Deh! Come al bel desir da me s’adempia?
Per aspro calle, e per sentier più duro
Io spinsi il giovanil ardito fianco,
E non mai lasso, o stanco
Con voglie pronte, e snelle
Conoscer volli l’universo astratto
Da quel, ch’appare suo sembiante oscuro.
E dalle sante Dee fui allor distratto,
E dall’eteree forme,
Che ispirano le stelle,
A chi del Pierio lauro all’ombra dorme.
Aver muta la lingua meglio fora
Tra sì leggiadri cigni, e sì soavi
Ch’han del bel dir le chiavi.
Ma sento nuovo ardire,
Ed un nobil desio il sen m’infiamma,
E l’onorata voglia mi rincora,
Non per cantar dell’amorosa fiamma.
Del funebre cipresso
Corona vuommi ordire,
E questa alle mie chiome prima intesso.
Il Buon Pastor quaggiù sceso dal Cielo,
Qual gentil lume al cieco Mondo apparve,
E tosto poi disparve.
Poco si fe’vedere,
E sparve in sul bel fior degli anni suoi,
Scinto dal frale, e dal caduco velo,
E qui dogliosi, e tristi lasciò noi,
Accesi del desio
Delle virtudi vere,
Ond’era pura immagine di Dio.
Degno non era il secolo perverso,
E gli anni rei, che nel mal far son presti,
Nel dubbio stato mi dia pront’aita?
Dhe! Chi la via m’addita,
Che dritto scorge, e mena
Alle belle contrade d’Elicona,
Ove non mai l’infermo piè drizzai?
Né la bella d’alloro alma corona
Unqua velò mie tempia.
Or mi manca la lena:
Deh! Come al bel desir da me s’adempia?
Per aspro calle, e per sentier più duro
Io spinsi il giovanil ardito fianco,
E non mai lasso, o stanco
Con voglie pronte, e snelle
Conoscer volli l’universo astratto
Da quel, ch’appare suo sembiante oscuro.
E dalle sante Dee fui allor distratto,
E dall’eteree forme,
Che ispirano le stelle,
A chi del Pierio lauro all’ombra dorme.
Aver muta la lingua meglio fora
Tra sì leggiadri cigni, e sì soavi
Ch’han del bel dir le chiavi.
Ma sento nuovo ardire,
Ed un nobil desio il sen m’infiamma,
E l’onorata voglia mi rincora,
Non per cantar dell’amorosa fiamma.
Del funebre cipresso
Corona vuommi ordire,
E questa alle mie chiome prima intesso.
Il Buon Pastor quaggiù sceso dal Cielo,
Qual gentil lume al cieco Mondo apparve,
E tosto poi disparve.
Poco si fe’vedere,
E sparve in sul bel fior degli anni suoi,
Scinto dal frale, e dal caduco velo,
E qui dogliosi, e tristi lasciò noi,
Accesi del desio
Delle virtudi vere,
Ond’era pura immagine di Dio.
Degno non era il secolo perverso,
E gli anni rei, che nel mal far son presti,
Che seco fosse Questi,
Che tardi, o presto venne,
Ed immaturo, e non venuto a tempo,
Perché suo lume sì benigno, e terso
Non si macchiasse, andossene per tempo.
Morte non già ne ’l tolse,
Ma ’l bel desir le penne
Si pose, e al Cielo il volo dritto volse.
Il Gregge afflitto, sconsigliato, e solo,
E vedova la Chiesa gli anni cari
In tristi pianti amari,
Van desiando in vano;
E quelli, ch’ebber la sua conoscenza
Non ponno averne mesti alcun consuolo.
Ov’è la bella sua degna presenza?
Ove i belli costumi?
Ov’il parlar umano?
Ove i benigni, dolci, e gravi lumi?
O del Sebeto mio Cigni sublimi,
Date principio al lamentevol canto,
E sian le rime pianto.
E tu Spirto gentile,
D’eterno nome, e d’immortal memoria,
Sacro ingegno, che sin dagli anni primi,
Degno ti festi di Poema, e Storia:
Gherardo nostro onore,
Tu col purgato stile
Espirimer puoi l’acerbo, e rio dolore.
Canzon fra gli aspri studi
Sei nata, e rauca stridi:
Pon fine a’grami, e dolorosi gridi.
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