Cultura e pratica politica non furono le cifre del solo Risorgimento propriamente detto. Gli eventi del novembre 1861 lo dimostrano chiaramente.
Uomini e progetti continuarono ad andare avanti con costanza anche negli anni difficili immediatamente posteriori all’Unità; anni nei quali bisognò riconfigurarsi, non senza dolorose rinunce e non senza disinvolte ricollocazioni politiche e nei quali fenomeni eversivi trovarono in campo, pronti alla difesa di quanto raggiunto, gli uomini della rivoluzione per l’Unità. Oggi l’ampia ed articolata documentazione disponibile negli archivi, pubblici e privati, permette di ricostruire e leggere in modo nuovo fenomeni poco o superficialmente indagati come, appunto, le forme del legittimismo e dell’«antirivoluzione», a partire dai giorni del Plebiscito del 1861. Forme, queste, che sarebbero sfociate in quella vera e propria guerra civile rappresentata dal brigantaggio, che nel territorio di Basilicata ebbe forme endemiche e notevolmente cruente. Basti pensare che, tra il 1860 e il 1863, i briganti fucilati, feriti o arrestati furono ben 6219, colpevoli, di 1154 reati.
E, in questa “guerra di popolo”, gli uomini della rivoluzione del 1860 ebbero un ruolo notevole di trait d’union tra la gloriosa epopea dell’unificazione e la difficile, in questi primi anni drammatica, costruzione dello Stato unitario.
Del resto, erano uomini portatori di una cultura politica affinatasi dopo la rivoluzione del 1848, memore di errori e peculiarità di quell’associazionismo politico che si era radicato, in modi e forme sempre più compiute ed organizzate, durante tale fondamentale snodo. All’inizio del 1860, da Napoli si era progettato che «otto o dieci giorni pria del tempo in cui il Generale avrà determinato, e fatto conoscere, che una poderosa spedizione di armati entrerà nel continente, le Calabrie, le due Province di Teramo, e d’Aquila insorgeranno (…). A questa insurrezione terrà dietro l’insorgere della Basilicata», indicando, tra l’altro, in Albini, De Bonis, Petruccelli e La Capra gli uomini chiave per l’organizzazione dell’insurrezione «d’appoggio».
Infatti, la Basilicata era stata divisa in 12 «sottocentri», in una rete capillare, organizzata in maniera quasi geometrica, comprendente 11 comuni per sottocentro in quelli più ampi e strategicamente rilevanti (Rotonda, Senise, Tramutola, Corleto, Miglionico, Tricarico, Potenza, Avigliano), con soli 7/8 centri per Genzano e Castelsaraceno.
Non era un caso che la “maglia” di cerniera tra il Potentino ed il territorio bradanico fosse affidata al sacerdote Nicola Martinelli Mancusi, che fin dal 1857 aveva stretto rapporti con i circoli liberali napoletani. Ruolo fondamentale del Mancusi nel mantenere la presa su un’area ritenuta fondamentale nel collegamento tra il capoluogo e il nord della provincia.
In tale direzione, infatti, il Mancusi era stato incaricato di mantenere i rapporti tra alcuni altri sottocentri insurrezionali e di organizzare i comitati comunali. Risulta documentata, fin dai primissimi giorni successivi alla costituzione della rete insurrezionale, una sua missione di organizzazione dei subcomitati comunali da completarsi entro il 30 luglio. Infatti, il Mancusi, in una missiva indirizzata al Senise, riferiva dei suoi spostamenti nell’area del sottocentro di sua competenza: sembrerebbe che alcuni centri gravitanti su Potenza, tra i quali Acerenza e Pietragalla, vere porte verso la Puglia, dovessero essere di fatto inclusi nel sottocentro di Avigliano.
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