venerdì 29 marzo 2013

Paesi lucani. 1. Muro Lucano: struttura urbana


La città di Muro, situata su uno sperone roccioso a 654 metri sul livello del mare nell'alto bacino del fiume Sele, si presentava, in età moderna, con tutte le caratteristiche proprie di molti centri della Basilicata. Nel corso del tempo la popolazione si era stabilita sulle alture per evitare le valli malariche: «A ridosso di un monticello roccioso sorge Muro, che si eleva come ultimo baluardo di quel contrafforte che s’incunea tra le prime diramazioni dell’Appennino occidentale lucano». 
L’origine della città di Muro non è definibile con precisione. L’ipotesi più accreditata vuole che Muro sia sorta in una località detta Raja San Basile, dove sono stati rinvenuti reperti che testimoniano l'esistenza di un antico insediamento risalente, all'incirca, al IV secolo a.C.. Dovrebbe trattarsi dell'antica Numistro o Numistrone, che distava dall’attuale centro abitato circa sei chilometri, distanza comprensibile se si tiene conto degli spostamenti della popolazione locale.
Quando, nell'879 d.C., la città di Numistro fu distrutta, a seguito delle incursioni dei Saraceni, gli abitanti della zona si dispersero nella vallata circostante creando diversi casali, i cui toponimi, quasi tutti corrispondenti a nomi di santi, sono chiaramente di matrice cristiano-medioevale: San Giuliano, Santa Barbara, San Luca, San Marciano, San Paolo, San Biagio, San Pietro a Piagaro, San Quirico. Tra questi casali uno dei più importanti, noto come Capitignano o Capodigiano, aveva una diversa etimologia deducibile dal suffisso –ano, derivante secondo il Racioppi, da Capitinianum, il che indicherebbe una proprietà appartenuta alla famiglia dei Capitinius
Tali casali divennero presto facile obiettivo di predoni che saccheggiavano, ormai sempre più frequentemente, le abitazioni dei muresi, i quali decisero, così, di riunirsi in un unico sito che fosse più difficilmente accessibile, scegliendo il punto più alto del territorio, a ridosso di una collina e, per renderlo ancora più sicuro, costruendo un muro di cinta e chiudendo le due estremità dell'unica strada esistente con due porte chiamate - secondo alcuni - Porta Janna e La Porta, secondo altri Porta di Giano e Porta del Chianello. 
A tale insediamento venne più tardi dato il nome di Pianello e, successivamente, l'abitato cominciò ad estendersi anche oltre la muraglia. Il nome del paese, che in origine risultava essere semplicemente Muro, deriverebbe proprio dalla muraglia costruita, per motivi di difesa, intorno al Pianello di cui ancora esistono tracce in contrada Castello. Le prime case costruite a ridosso del muro di cinta, a partire dalla Porta Janna e «furono l’origine della nuova città».
Sarebbero state chiamate “del muro” o “sul muro”, per distinguerle dalle altre situate nel Pianello. Alla nuova città sarebbe stato dato il nome di Muro a cui, dopo l’Unità d’Italia, con decreto reale del 24 aprile 1863, fu aggiunto Lucano, distinguendolo, così, da Muro Leccese. 
La città presentava un perimetro irregolare, in quanto le case formavano un vasto aggregato senza ordine e simmetria, adattandosi alle caratteristiche del suolo verso la valle.
«La situazione della città è molto curiosa. Ella vedesi tutta edificata dalle radici all’alto di un monte, onde ciascun edificio non viene a togliere all’altro aria veruna. Per lo più avanti di ciascuna casa sonovi de piccoli giardinetti, che chiamano orti […]. Le strade però sono erte, e straripevoli con de’ gradoni, e quindi il camminarle riesce molto pericoloso specialmente in tempo di pioggia. Quel che mi sdegnò al quanto fu di vederle sempre piene d’immondezze e di sterco porcino, menandoci in gran numero quegli animali per le strade istesse».
Una notevole rappresentazione di Muro, realizzata nell’opera del Pacichelli, mostra, oltre alle emergenze edilizie che ne connotano l’assetto urbano, anche i disastrosi effetti di un terremoto, certamente quello dell’8 settembre 1694. In cima all’agglomerato urbano era situato il Castello, una struttura appartenente a fortificazioni che partivano da Castelgrande fino a Bella.
Probabilmente, venne realizzato tra l’VIII e IX secolo: il Castello era divenuto la dimora di sovrani e baroni che si recavano spesso qui per le battute di caccia, dal momento che il luogo era circondato da fitti boschi ed era ricco di selvaggina.
«Su queste alture la strada, che si batte, scende costa costa e si sviluppa tanto ardita e comoda insieme, da parere un passaggio alpino della Svizzera. Passata la piccola necropoli di Muro Lucano a quasi 500 metri già si vede il verone circolare ad archetti in pietra, inghirlandati di pampini, che sovrasta all’ampia e rotonda torre del castello medievale, costrutta assai regolarmente a grossi lastroni di pietra, anneriti dal tempo […] la costruzione occupa un terzo della collina […] ed è messa a cavaliere della città».
 La struttura del Castello venne compromessa più volte a causa dei terremoti che tormentavano spesso il territorio murese, come quello, già citato del 1694, che aveva provocato il crollo del piano superiore; il resto della struttura venne, invece, recuperata grazie all’intervento della famiglia Orsini. Il Castello rappresentò un centro di potere e di controllo da cui dipendeva la stessa geografia feudale, che si configurava come un insieme di grosse unità territoriali nelle quali il locale feudatario esercitava estesi poteri pubblici. Durante la dominazione dei conti Orsini, il castello non solo fu scelto come dimora per i loro soggiorni, ma anche come sede per le decisioni che riguardavano il feudo e gli accordi da intraprendere con l’Università, oltre agli incontri con il Governatore, che aveva il compito di rappresentare il Conte nei pubblici parlamenti dell’Università. Le prime costruzioni si svilupparono proprio dal versante settentrionale del Castello, polo di attrazione e difesa per i cittadini.
Adiacente al Castello, era sorta la sede vescovile. La vicinanza delle due principali istituzioni testimonia l’intreccio tra chiesa e feudo che venne ad espandersi e a consolidarsi proprio durante l’età moderna; spesso le attività che si svolgevano nel Castello e quelle che si svolgevano nella sede vescovile, non erano distinte, dal momento che spesso il conte e il vescovo scendevano ad accordi o finivano anche con lo scontrarsi su questioni di interesse feudale, visto che anche i vescovi e altre podestà ecclesiastiche avevano sul territorio una vasta proprietà. 
 In basso rispetto al Castello e all’Episcopio, quasi nel cuore del piccolo agglomerato che si stava man mano accrescendo, si trovava la Porta di S. Marco, attraverso la quale si accedeva all’omonima piazzetta nella quale si teneva il parlamento cittadino. 
Morfologicamente, la città si divise in due aree: quella delle principali sedi dei locali di potere e un’area abitata in cui i cittadini costruirono abitazioni “a scaglioni”, fino a valle, presso il torrente dell’«Acquaviva», che finiva la sua corsa nel fiume Rescio, sul quale era l’omonimo ponte che collegava alla città, e altri due piccoli fiumi noti come la «Malta» e il «Platano».

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