lunedì 18 marzo 2013

La Basilicata moderna. 2. Gli arbëreshë e la Basilicata


Gli arbëreshë si stanziarono nel Mezzogiorno Italia tra il XV e il XVIII secolo. Prima della conquista da parte dell'Impero ottomano, com’è noto, tutti gli albanesi venivano chiamati Arbëreshë. Ma, a seguito dell'invasione turca, mentre gli albanesi che giunsero in Italia continuarono ad indicare se stessi col termine di Arbëreshë, quelli d'Albania assunsero il nome di Shqiptarëve (si confronti la parola albanese Shqip, presente nel nome locale del paese e della lingua).

Gli arbëreshë, distribuiti in origine in Epiro e nei monti del Pindo, erano stanziati nell’odierna Grecia. Tra l'XI e il XIV secolo tribù arbëreshë si spostarono in piccoli gruppi verso il sud della Grecia (Corinto, Peloponneso e Attica) dove fondarono alcune colonie. Intanto, la loro abilità in campo militare li aveva fatti diventare i mercenari preferiti dei Serbi, dei Franchi, degli Aragonesi e dei Bizantini.
La prima migrazione risalirebbe agli anni 1399-1409, quando la Calabria, prima dell'avvento di Alfonso d'Aragona, era già sconvolta da rivolte intraprese da feudatari contro il governo angioino e gli albanesi fornirono i loro servizi militari per l'una o l'altra fazione in lotta. La seconda migrazione risale agli anni 1416-1442, quando Alfonso d'Aragona ricorse ai servizi di Demetrio Reres, nobile condottiero albanese, che portò con se un folto seguito di uomini. La ricompensa per i suoi servigi consistette nella donazione, nel 1448, di alcuni territori in Calabria e ai suoi figli in Sicilia.
La terza migrazione risale agli anni 1461-1470, quando Giorgio Castriota Skanderberg (principe di Krujia), inviò un corpo di spedizione in aiuto a Ferrante I d'Aragona che, nella lotta contro Giovanni d'Angiò, sgominò nel 1461 le truppe angioine. Per servizi resi, fu concesso  ai soldati ed alle loro famiglie di stanziarsi in ulteriori territori anche in Puglia.
La quarta migrazione risale agli anni 1470-1478. In questo periodo si intensificarono i rapporti tra regno di Napoli ed i nobili albanesi con il matrimonio tra Irene Castriota (nipote di Skanderbeg) e il principe Pietro Antonio Sanseverino di Bisignano in Calabria nel 1470, e la caduta di Krujia nel 1478 sotto il dominio turco.
La quinta migrazione risale agli anni 1533-1534, quando i turchi conquistarono la fortezza di Corone, città mista greca e albanese della Morea. Questa fu l'ultima migrazione massiccia dall'Albania verso l'Italia. La sesta migrazione risale all'anno 1664, quando la popolazione di Maida della Morea, dopo una ribellione ferocemente domata dai turchi, migrerà verso Barile, già popolata da albanesi che vi si erano stabiliti precedentemente.
L'invasione della Grecia da parte dei Turchi Ottomani nel XV secolo costrinse molti arbëreshë ad emigrare nelle isole sotto il controllo di Venezia e in Italia meridionale. Infatti, nel 1448, re Alfonso V il Magnanimo (1396-1458) chiese aiuto al suo alleato, il principe albanese Giorgio Castriota Skanderbeg, per reprimere una ribellione di baroni e ricompensandoli con feudi nel territorio di Catanzaro.
Nel 1450 un'altra forza di arbëreshë intervenne in Sicilia, stanziandosi nei pressi di Palermo. Durante il periodo della guerra tra angioini e aragonesi per il Regno di Napoli (1459-1463), Ferrante I d’Aragona richiamò le forze arbëreshë contro gli eserciti franco-italiani e Skanderbeg sbarcò nel 1461 a Brindisi. Dopo alcuni successi, gli arbëreshë accettarono delle terre in Puglia, mentre Skanderbeg ritornò per organizzare la resistenza albanese contro i Turchi, che avevano occupato l'Albania tra il 1468 e il 1492. Parte della popolazione arbëreshë migrò, dopo la caduta di Scutari nel 1477, in nel Mezzogiorno d’Italia, dove il re concesse loro altri casali in Puglia, Calabria, Campania, Sicilia e Molise. È il caso di Demetrio Reres, in Calabria, o di Skanderbeg, che ricevette feudi in Puglia da Alfonso il Magnanimo. I centri calabresi appartenenti alla cosiddetta Arberia sono per la maggior parte nella provincia di Cosenza, dove si contano ben 33 comuni d'origine albanese. Solo tre, invece, i comuni arbereshe nel Crotonese. Infine i cinque paesi di Andali, Caraffa, Gizzeria, Marcedula e Maida (la frazione Vena).
Impiegati come mercenari dalla Repubblica di Venezia, gli Arbëreshë dovettero evacuare le colonie del Peloponneso con l'aiuto delle truppe di Carlo V, ancora a causa della presenza turca. Carlo V stanziò i soldati nel Mezzogiorno d’Italia, per rinforzarne le difese proprio contro la minaccia degli Ottomani. Stanziatisi in casali isolati (il che permise loro di mantenere inalterata la propria cultura fino al XX secolo), gli arbëreshë divennero tradizionalmente soldati del Regno di Napoli o della Repubblica di Venezia. Altre due ondate migratorie si verificarono dal 1532, con la caduta di Corone e nel 1647, quando Maina fu occupata dai Turchi. In seguito a tali nuove ondate, i coronei si stanziarono in Val Sarmento, nel territorio dello Stato di Noja (attuale Noepoli), fondando San Costantino e Casalnuovo (attuale San Paolo). Questi insediamenti, impiantati in una zona definibile a «feudalità universale» e con un’economia nella quale l’allevamento e la cerealicoltura provocavano frequenti contrasti, furono connotati da bassa crescita demografica e da un tenore di vita materiale piuttosto basso, con notevole isolamento degli albanesi.
Gli scutarioti, invece, esentati dal pagamento delle tasse fin dai tempi di Ferrante, si insediarono nei territori di Barile, Maschito, Lombardamassa (attuale Ginestra) e Brindisi, aiutati anche dalle concessioni dei locali feudatari, che videro negli stanziamenti Arbëreshë un’occasione per ripopolare i propri feudi per far riprendere un’economia stagnante: è il caso dei Doria, che accolse i coronei nel territorio di Melfi e di Lombardamassa, allora disabitata, o del principe di Lavello o, ancora, del Gran Capitano, Consalvo di Cordova, che concesse, nel 1507, il territorio di Maschito a Lazzaro Mattes.
Un’area, quella del Vulture-Melfese, connotata da prevalente dimensione abitativa di tipo rurale, con una maggioranza di Terre e casali, tra i quali spiccavano i centri di Melfi, Rionero e Venosa. Il centro con minor densità demografica era il casale di Ginestra, ancora con soli 600 abitanti ed unito al centro di Ripacandida a fine Settecento. Uno dei centri agricoli più fiorenti, ancorché non densamente popolato, era Barile, distante un miglio da Rionero e sette da Melfi, i cui terreni erano quasi tutti coltivati a vigne ed oliveti. Nell’ambito di un territorio connotato da notevole dinamismo economico e politico-istituzionale, gli spostamenti degli albanesi furono frequenti, sia pure sempre nella subarea vulturina, il che diede luogo ad insediamenti più stabili e radicati.
Ancora nel XVII secolo molti centri conservavano il rito ortodosso, come Ginestra, Maschito, il casale di Rionero e Brindisi di Montagna: successivamente, nel 1627, il vescovo Diodato Scaglia di Melfi riportò Ginestra, Maschito e Rionero al rito romano mentre, nel caso di Barile, il ritorno al rito romano fu imposto con la forza. Uno scontro, quello tra lo Scaglia e gli arbëreshë vulturini, che riproponeva, in termini più drammatici, l’incomprensione di fondo tra locali feudatari e minoranze albanesi, dovuta essenzialmente a motivi fiscali, ma che in questo momento divenne uno scontro giurisdizionale nell’ambito di una rigorosa applicazione dell’omogeneità confessionale propria dei vescovi post-tridentini di seconda generazione.
Nel corso dell’età moderna gli arbëreshë riuscirono a mantenere e a sviluppare la propria identità grazie anche al ruolo culturale esercitato dai due Istituti religiosi di rito orientale, con sede in Calabria (Il Collegio Corsini (1732) e poi Corsini-Sant'Adriano (1794) e in Sicilia, con il Seminario greco-albanese di Palermo (1735) poi trasferito a Piana degli Albanesi (1945). Gran parte delle cinquanta comunità arbëreshe conservano ancora il rito greco-bizantino e fanno capo a due eparchie (diocesi orientali): quella di Lungro, per gli arbëreshë del Mezzogiorno continentale e quella di Piana degli Albanesi, per gli arbëreshë di Sicilia.
Nonostante l’apparente isolamento linguistico e culturale, comunque, le comunità arbëreshe si ramificarono e radicarono nel territorio circostante, partecipando alle vicende della provincia di Basilicata, come evidenzia, ad esempio, il notevole intervento nell’insurrezione lucana del 1860.
Tra gli altri, si distinse Francesco Saverio Scutari di San Costantino. Già capitano della Guardia Nazionale nel 1848, aveva guidato a Campotenese i volontari della Val Sarmento. Riconfermato capitano, dopo essere stato incluso tra gli attendibili, in quanto sostenitore dell’intervento armato in Calabria, guidò i 26 insorti di San Costantino, aggregati alla VI colonna, comandata da Aquilante Persiani e, in seguito, si distinse nella repressione delle manifestazioni contro il Plebiscito dell’ottobre 1860.
Da Casalnuovo (San Paolo), che diede all’insurrezione un drappello di 29 insorti comandati da Vincenzo Smilàri, si distinse Alessandro Smilàri, inviato a Roccanova con un reparto della Guardia Nazionale per ripristinare l’ordine pubblico dopo la manifestazione antidemaniale del 18 agosto.

2 commenti:

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