domenica 30 settembre 2018

Il Mezzogiorno moderno. 7a. Il 1820-21 in breve (Antonio Cecere)

Nel 1820 in Europa si creò un binomio che sarebbe sfociato nella Rivoluzione del 1848 e si sarebbe protratto a lungo in Italia fino all’Unità, ossia quello tra Atteggiamento conservatore delle monarchie restaurate/Tendenze liberali tra il popolo.  

Ancora una volta, come in età napoleonica, l'iniziativa partì dalla Spagna dove, il 1º gennaio 1820, alcuni reparti concentrati nel porto di Cadice (non fu un caso) in attesa di essere imbarcati per l'America Latina, dov'erano stati stanziati per reprimere delle rivolte, si ammutinarono. In pochi giorni la rivolta si estese in altri reparti, rendendo vani i tentativi di repressione e costringendo il re a richiamare in vigore la costituzione liberale del 1812. 

La vittoria facile dei liberali spagnoli infiammò gli animi e nel luglio ebbe inizio il moto rivoluzionario di Napoli. Anche a Napoli, l'iniziativa spettò ai militari, i soli che, come suggerisce Vidotto, erano «in grado di minacciare seriamente la stabilità di troni e governi».  

Dopo un tentativo rivoltoso scoperto nel maggio a Salerno, il 1º luglio a Nola, un gruppo di soldati, guidati da due ufficiali, Morelli e Silvati, si ammutinò e unendosi ai rivoltosi Salernitani chiesero che nel regno venisse applicata la Costituzione di Spagna del 1812. La rivolta dilagò in provincia cogliendo anche l'assenso di altri reparti, come quello comandato dal generale Guglielmo Pepe che si mise a capo della rivolta. Nel contempo anche in Sicilia dilagò il moto, sponsorizzato e fomentato dai fidi dei Borboni, gli Inglesi, che assunse tratti separatisti, come sempre, del resto, nella parte insulare del Regno. 
La mancanza di coesione, quindi, del popolo rivoltoso, data la molteplicità di interessi e l'intervento austriaco, furono le cause del fallimento del moto che, dopo i richiami fatti dal Metternich al re “pusillanime e spergiuro” (definito così da questo momento da parte del popolo per aver ritirato la parola data oltre che la costituzione), si concluse con la sconfitta degli eserciti rivoluzionari nella battaglia di Rieti - Antrodoco e le condanne a morte dei sostenitori del moto, con notevoli strascichi anche in Basilicata

Nella nostra provincia, infatti, già il 28 agosto 1818 si era tenuta una Assemblea Carbonara Lucana a Potenza, presieduta da Egidio Marcogiuseppe. Due anni dopo, nel giugno 1820, sempre a Potenza, si era tenuta un'ulteriore assemblea della rete di «Vendite» carbonare presenti nella provincia, sfociata, il 6 luglio 1820, nella pubblicazione, da parte del Senato della Regione della Lucania Orientale, di una Dichiarazione in nome di Dio e sotto gli auspici  della Nazione Napoletana, con la promessa di diminuzione delle imposte fondiarie ed esortazione a giurare fedeltà al sovrano ed alla Costituzione.
Quattro giorni dopo, Egidio Marcogiuseppe fece pubblicare il «Giornale patriottico della Lucania Orientale», edito fino al 13 marzo 1821.
Il 10 agosto, una ulteriore assemblea del Popolo Carbonaro della Lucania Orientale, con dichiarazione pubblica indirizzata al Duca di Calabria e Vicario Generale del Regno di Napoli, il futuro Francesco I, faceva entrare ufficialmente la Basilicata nelle elezioni per il Parlamento Nazionale delle Due Sicilie, tenutesi il 3 settembre, con l'elezione di Domenico Cassino di Moliterno, Carlo Corbo di Avigliano, Innocenzo De Cesare di Craco, Gaetano Marotta di Trecchina, Paolo Melchiorre di Lauria, Francesco Petruccelli di Moliterno, Diodato Sansone di Bella, Diodato Sponsa di Avigliano.
Con il precipitare degli eventi a Napoli, il 28 gennaio 1821, dopo la Convocazione del Parlamento Nazionale delle Due Sicilie e la dichiarazione di guerra all’Austria che aveva deciso l’occupazione del Mezzogiorno d’Italia, le truppe dei Legionari lucani, al comando di Diodato Sponsa, mossero verso il Lazio per congiungersi all’Armata del generale Guglielmo Pepe.
Dopo Antrodoco, il 21 aprile 1821 si ebbero ancora tentativi insurrezionali, come quelli dei capitani Giuseppe Venita e Domenico Corrado a Tito e Vignola (Pignola).
L'esercito austriaco entrato a Napoli si spinse fino in Basilicata: il 30 agosto, a Potenza, Laurenzana e Calvello, furono istituite quattro corti marziali, una delle quali presieduta dal maresciallo Philip Roth. Esse, tra il 13 marzo e il 10 aprile 1822, decretarono l'esecuzione, dopo processo sommario, dei protagonisti lucani dei moti insurrezionali, tra i quali Domenico Corrado, Giuseppe Venita e Carlo Mazziotta.

giovedì 20 settembre 2018

La Basilicata contemporanea. 23. I corrispondenti di Giustino Fortunato. I A-D

Con questo post, iniziamo una serie di schede relative ai circa cento corrispondenti di Giustino Fortunato, che elencheremo in ordine alfabetico e con link relativi alla biografia di ciascuno. Laddove il link non sia presente, inseriremo una breve scheda biografica del personaggio in questione.

Abba Giuseppe Cesare
Albertini Alberto
Albertini Luigi
Albini Decio
Nato a Napoli l'11 maggio 1865, figlio del patriota Giacinto, morto nel 1923. Autore di numerosi saggi sul Risorgimento in Basilicata.  
Amendola Giovanni
Ansaldo Giovanni
Azimonti Eugenio
Biagi Vittorio
Bodio Luigi
Bonomi Ivanoe
Catenacci Giuseppe
Cefaly Antonio
Ciasca Raffaele
Ciccotti Ettore
Corapi Luigi
1849-1941. Nacque il 23 marzo 1849 a Catanzaro da Filippo. Amico di Fortunato fin dal 1862, quando entrambi furono allievi del collegio napoletano degli Scolopi a San Carlo alle Mortelle.
Cotugno Raffaele
Croce Benedetto
De Giorgi Cosimo
De Pilato Sergio
De Sanctis Gaetano
Del Secolo Floriano
Di Marzo Donato
Dorso Guido

giovedì 13 settembre 2018

Paesi lucani. 41c. 3. Atella nel 1642

La Terra di Atella stà situata nella Provincia di Basilicata, distante dalla Città di Napoli capo del Regno per la strada di Avellino, Ponte di Bovino, Ascoli, Melfi, e Barile miglia 112, e per la strada di Salerno, montagne, boschi miglia 160; distante dalla marina di Salerno miglia 40. Da Barletta miglia 40. Da dove risiede la Regia Udienza miglia 52. Dalla città di Molfetta miglia 80. Dalla città di Melfi miglia 8. Da Rapolla miglia 6. Da Barile miglia 4. Dalla città di venosa miglia dodeci; da Avigliano miglia 10. Da San Fele e Ruvo miglia 6. Da Ripacandida miglia quattro in circa.

FONTE: Apprezzo della Terra di Atella e suo Casale Rionero fatto dal Tavolario Honofrio Tanga nell'anno 1642 a' 14 giugno, Napoli, Laurenziana, 1988, p. 11.

domenica 2 settembre 2018

Personaggi. 19a. Maria Luisa Ricciuti (Grazia Pastore)

Maria Luisa Ricciuti (Roma, 1919-2015) è stata una pittrice, scultrice e scenografa italiana, nata da una famiglia di origini lucane. 

Gli anni della formazione artistica
Già in tenera età viene educata all'arte dal padre Giuseppe, medico con la passione dell'arte e della fotografia, descritto da Lucio Luccioni un "delicato e preciso acquarellista"[1]. Nonostante ciò, quando nel 1943 Maria Luisa esprime la volontà di iscriversi al Liceo Artistico di Roma, non ha dai familiari l'entusiasmo che si attendeva, auspicando per lei un percorso di studi più "concreto" e adatto ad una donna, per di più apparente alla borghesia. Ma lei procede nel suo intento e, dopo il liceo, si dedica agli studi accademici, entrando nella temperie artistica romana, in un periodo di fermenti legati all'astrattismo.[2]. 

Entra a Roma nei cenacoli di giovani intellettuali ed artisti, tra cui casa Costabile dove, con la scultrice Delia Costabile, frequenta Giandomenico Giagni, Michele Parrella, Mino Minola, Edoardo Trillo. Frequenti sono anche i suoi contatti con gli intellettuali e gli artisti di Potenza, città dove espone con Maria Padula, nell'ottobre del 1953, in una Collettiva di 85 opere organizzata da un comitato diretto da Pietro Valenza, segretario del Partito Comunista Italiano inviato a Potenza dalla direzione del partito. Nella mostra, che per la prima volta metteva a confronto esperienze artistiche lucane con quelle di altre regioni e correnti artistiche, Maria Luisa espone due monotipi, accanto ai dipinti di Carlo Levi, Renato Guttuso, Giuseppe Antonello Leone, e ai lucani Italo Squitieri, Michele Giocoli, Mauro Masi, Remigio Claps, Francesco Ranaldi, Rocco Falciano. Con il matrimonio e la nascita dei due figli la sua attività di pittrice viene temporaneamente sospesa; riprenderà negli anni settanta, dopo aver partecipato ad una personale nel 1965 alla Galleria Schneider, in un periodo fecondo per le istanze femministe che si intrecceranno con la sua poetica. 

I simboli della sua poetica 

Fin dall'inizio la sua arte è caratterizzata da una grammatica espressiva ironica e dissacrante e da un immaginario fantastico, così descritto da Giorgio Di Genova ed Elio Mercuri: 

« Negli abissi del suo io, certo, convivono strani ibridi antropomozoomorfi (Il sipario del piacere) o antropofitomorfi (Apollo e Dafne), nei quali non è difficile cogliere simbologie sia del maschile che del femminile, com'è anche nei "grilli" ideati dal grande Hieronymus Bosch, artista con il quale, assieme a De Chirico, Ernst, e forse Clerici mi sembra l’Es della Ricciuti si senta maggiormente in sintonia. Tutta la sua opera dice sempre "altro" (e di più) di ciò che mostra. Per questo affascina ed allarma allo stesso tempo, come sempre accade quando ci si trova di fronte alle confessioni di qualcuno che mette il proprio cuore, tutto il proprio cuore, a nudo.[3] » 

« La ricerca di Maria Luisa Ricciuti è una intensa e tesa, nonostante l’intenzione dissacrante, canzonatoria e ironica, approssimazione alla dimensione dimenticata dell’esistenza; un voler rendere espliciti i meccanismi della psiche, la struttura segreta della nostra immagine, che appartiene ormai, come ogni opera, non più alla sfera dell'object réel ma all'altra, sfuggente e indefinibile dell'«object de connaissance». È il suo affondo, che apre quella sotterranea realtà, dove come in un gioco di specchi, l'archetipo, l'immagine e il simbolo si compenetrano in una percezione lucida e lacerante.[4] » 

Attività artistica 

Palmarosa Fuccella definisce l'arte di Maria Luisa Ricciuti "totale": 

«pittrice, scultrice, scenografa (ha collaborato con Gae Aulenti in alcuni importanti allestimenti, in teatro lavora con Carmelo Bene, Béjart e Robert Wilson, nel 1994 le viene assegnata la targa d'oro per la scultura dalla rivista "Arte" di Mondadori) esce dal suo animato atelier per popolare spazi urbani, teatri, giardini (...) Con la mostra "Animalità" Maria Luisa Ricciuti entra nel Museo Civico di Zoologia di Roma, per raccontare il suo fantastico universo zoomorfo, fatto di dipinti, sculture, pietre»[5]. 

Il poeta Dario Bellezza ha descritto questo universo fantastico «un rituale, un gioco al massacro fatto con una laica pietas che mi ha subito coinvolto».[6] Nell'aprile 2011 Maria Luisa Ricciuti espone per la prima volta in Basilicata, presso il Museo Archeologico Provinciale, con la personale di pittura e scultura La donna e il mito della differenza, iniziativa inserita nell'ambito della XIII Settimana della Cultura Basilicata, promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. In occasione della sua morte, nel novembre del 2015, tra le attestazioni di stima si segnala quella della Federazione Unitaria Italiana Scrittori (FUIS) che ne riconosce la rilevanza nell'ambito artistico (collaborazioni, premi e riconoscimenti) oltre che la vicinanza alle istanze di tutela degli Autori con la sua collaborazione con l'Unione Nazionale Scrittori e Artisti UIL e la realizzazione di opere grafiche poi confluite in diversi testi letterari (Einaudi, Révue d’Histoire Littéraire de la France, Carte segrete, Il Caffé di Vicari e Metaphorein). 


Note 

1. L. Luccioni, I Ricciuti a Potenza, Rionero in Vulture (Pz) 2006, p. 60. 
2. P. Fuccella, Generazioni di artiste. Tracce per una mappa dell'arte delle donne in Basilicata", Lagonegro (Pz) 2010, passim
3. G. Di Genova, Le scene del profondo di Maria Luisa Ricciuti, in Aa.Vv., Maria Luisa Ricciuti, Roma 1990, pp. 5-9. 
4. E. Mercuri, Nota, in Maria Luisa Ricciuti, cit., p. 20. 
5. P. Fuccella, Generazioni di artiste..., cit., pp. 27-28. 
6. Maria Luisa Ricciuti, Animalità, catalogo della mostra tenuta al Museo Civico di Zoologia di Roma, 2002. 

Bibliografia 

G. Di Genova, M. Lunetta, E. Mercuri et al., Maria Luisa Riccuti, Roma 1990. 
L. Luccioni, I Ricciuti a Potenza, in La Borghesia tra Ottocento e Novecento in Basilicata. Storie di famiglia, Rionero in Vulture 2006. 
P. Fuccella, Generazioni di artiste. Tracce per una mappa dell’arte delle donne in Basilicata, in Le donne nella storia della Basilicata, a cura di M. Strazza, Lagonegro (PZ) 2010, pp. 15-51. 

Le perle lucane. 3. Lagopesole

«Lo stile somiglia a quello di Castel del Monte presso Andria, ma tranne pochi ornamenti alle finestre, archi di porta e cornicioni non esis...