giovedì 19 luglio 2018

Nicola Fiorentino. 2. Le "Riflessioni sul Regno di Napoli"

Le Riflessioni sul Regno di Napoli furono composte da Fiorentino nel 1794, periodo in cui egli era ancora legato alla monarchia. La dedicò, infatti, a Tommaso D’Avalos De Aquino, un personaggio molto vicino al re Ferdinando IV. In quest’ opera erano affrontati i problemi suggerendo le possibili soluzioni che un sovrano illuminato era chiamato ad affrontare: la questione dell’educazione scolastica, il feudalesimo e quindi lo sviluppo dell’agricoltura, l’amministrazione della giustizia, l’incremento del commercio . 
 Il provvedimento del 1224 di Federico II di fare dell’Università di Napoli il centro propulsore della cultura nel Regno di Napoli portò con il passare del tempo ad una graduale decadenza della stessa Università. Sempre più spesso la formazione scolastica e quindi culturale venne affidata ai Collegi dei Gesuiti, fino a quando nel 1767 , in seguito alla soppressione dell’Ordine dei Gesuiti da parte di Ferdinando IV, su suggerimento di Tanucci, molte scuole vennero chiuse. 
L’Illuminismo portò un nuovo modo di concepire l’educazione scolastica e l’insegnamento, che non doveva consistere in una mera e pedissequa quantità di nozioni da impartire e da imparare, ma nella formazione di una mente critica, svincolata soprattutto dalla religione. Di notevole importanza era, poi ritenuta la diffusione dell’educazione scolastica tra gli strati più bassi della popolazione. Infatti venne avviata da Carlo di Borbone prima e da Ferdinando IV poi una politica che favorisse una più ampia diffusione dell’educazione scolastica sul territorio. 
Nicola Fiorentino suggerisce che gli scopi più importanti dell’insegnamento fossero quelli di infondere i concetti di giustizia e di umanità negli alunni e, soprattutto, quello di fatica attraverso la quale si raggiunge il benessere sia fisico che morale. Un’altra necessità era quella di introdurre le conoscenze agrarie nelle scuole di tutti i livelli e nelle aperture di Accademie agrarie dove insegnare le tecniche più avanzate dell’agricoltura, che costituiva il motore dell’economia del Regno.
Fiorentino, legato alle teorie fisiocratiche di Quesnay, poneva al centro delle attività economiche dell’uomo l’agricoltura. Molti, infatti, erano gli ostacoli che non ne permettevano lo sviluppo pieno: innanzitutto un sistema feudale che soffocava la libera iniziativa e, in secondo luogo, la dottrina mercantilistica, su cui era fondata da qualche secolo l’economia, avendo oscurato l’agricoltura. 
Secondo Fiorentino l’unica ricchezza era costituita dalla terra ma, per rendere produttivo questo bene, occorrevano dei seri provvedimenti: la limitazione del fedecommesso e dei diritti feudali, la distribuzione di terre da dare in affitto ai contadini per un periodo di almeno dieci anni e un allargamento della partecipazione politica a quei proprietari o fittuari le cui rendite erano pari ad almeno venti ducati. Il voto censitario secondo Fiorentino avrebbe stimolato una maggiore partecipazione alla vita politica e avrebbe favorito più investimenti nell’agricoltura. Questi provvedimenti, insieme all’introduzione di bonifiche, di canali d’irrigazione, di nuove tecniche di coltivazione e di nuovi strumenti agricoli, avrebbero determinato il surplus , vera ricchezza della nazione destinato ad essere venduto con un notevole aumento della moneta. 
La ricchezza quindi, per Fiorentino, non era rappresentata dalle riserve monetarie o di materiali preziosi, come per la teoria mercantilistica, ma dalla sovrabbondanza dei prodotti dell’agricoltura che davano luogo così al commercio. Una diminuzione poi, dei dazi doganali avrebbe dovuto abbassare il costo, favorendo una maggiore circolazione dei prodotti. Un altro passo fondamentale delle Riflessioni sul Regno di Napoli, riguarda l’amministrazione della Giustizia, come valore etico, è un diritto irrinunciabile degli uomini. I suggerimenti di Nicola Fiorentino erano molto semplici: dalle leggi chiare e accessibili anche per gli strati della popolazione meno acculturata alla decentramento dei tribunali nelle province, uniti alla presenza di un maggior numero di magistrati sul territorio delle province.

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