giovedì 12 ottobre 2017

Paesi lucani. 41b. Atella. 2. I ritrovamenti paleolitici (Angelo Carriero)

Durante l'estate del 1971 il prof. Edoardo Borzatti von Löwenstern (insegnante presso l'Università di Firenze), su invito del direttore del Museo Archeologico di Potenza, F. Ranaldi, cominciò le proprie indagini tra il territorio di Atella e di Lagopesole dove tra 700.000 e 500.000 anni fa sorgeva un lago pleistocenico conosciuto come “Bacino di Atella”, venutosi a formare da uno sbarramento di un affluente del Fiume Ofanto per via delle continue attività del Vulcano Vulture, attualmente Monte Vulture, e dei fenomeni atmosferici. Questo lago aveva un lunghezza di 16 km, ovvero la distanza da Atella a Lagopesole (frazione del Comune di Avigliano conosciuta per il castello federiciano). Borzatti all'epoca cominciò le indagini a Serra Pisconi (Filiano), dove nel 1965 alcuni contadini si accorsero delle pitture rupestri presenti in quella zona boscosa caratterizzata da querce, all'altezza di 879 metri s.l.m. Queste pitture rupestri di 9000 anni fa descrivono scene di cervidi in pascolo. 
Qualche anno più tardi, nel 1991, dal celebre archeologo, dopo quasi venti anni di ricerche, nei pressi del Cimitero di Atella, venne finalmente individuato un sedimento di natura perilacustre con rilevanti testimonianze preistoriche dal Paleolitico Inferiore (Acheuleano Inferiore, circa 700.000 anni fa) fino agli inizi del Paleoltico Superiore (di facies Castelperroniana, 32.000 anni fa). Infatti furono trovati quattro molari di Elefante Antico, una zanna intera, un'altra non ancora tutta liberata dal terreno ed altri resti di un carnivoro ed un erbivoro. 
Sulle rive del “Bacino di Atella” viveva l'uomo di Atella, conosciuto anche come uomo cacciatore che già prima di insediarsi in comunità con gli altri della sua specie cacciava predatori. Poi, quando si vennero a formare i primi “branchi” di uomini, la caccia veniva data all'animale più mostruoso dell'epoca, il mammut, che raggiungeva e superava l'altezza di 5 metri, quindi era molto più grande dell'attuale discendente. 
Ad Atella veniva utilizzata una particolare tecnica di caccia per l’Elephas antiquus: infatti, dopo aver separato un membro del branco ed averlo costretto a incunearsi in un angusto lembo di spiaggia proteso nelle acque, disorientandolo con lancio di pietre o con l’aiuto di fiaccole, i cacciatori lo avrebbero indotto ad impantanarsi nel bacino. Per l’oggettiva impossibilità di uscire dal fango, la morte avrebbe colto l’animale dopo qualche giorno. Raggiunta la carcassa, dopo aver realizzato con frasche e rami una sorta di pontile fra questa e la riva, i cacciatori avrebbero alla fine dato luogo alla macellazione. 
Questi resti sono visitabili nei pressi del cimitero del Comune angioino e sono contenuti in una gabbia per evitare di subire modifiche dagli agenti atmosferici e/o saccheggiamenti. 

Si ringrazia lo studente Angelo Carriero, classe 4G, dell'IIS "Giustino Fortunato" di Rionero in Vulture (PZ), per il contributo.

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