lunedì 21 luglio 2014

Francesco Mario Pagano. 2. Una lettera a Gaetano Filangieri

S. E., il Sign. Cav. D. Gaetano Filangieri, de’ prìncipi d’Arianello, gentiluomo di camera e maggiordomo di stagetimana di S. M., ufiziale nel Real corpo de’ volontari di marina.

Nel fortunato giorno, nel quale, già volge il dodicesimo anno, io mi e-sposi nell’Università napoletana al pubblico cimento del concorso per la cattedra dell’Etica di Aristotile, per la prima volta mi concedette la sor-te, in un discorso sul sistema morale del gran filosofo stagirita avuto coll’E. V., di ravvisare nel di lei elevato spirito que’ rari semi d’ingegno che, fecondati poi col tempo, in tant’ampiezza e sublimità germogliaro-no; e mi apparvero altresì le nobili scintille di non ordinaria virtù, che poi, destate ed accresciute, in Italia e fuori con tanta luce e gloria vi ma-nifestarono a tutti. Dopo lungo tempo mi si presentò di nuovo l’occasione di rinnovare la conoscenza antica e la mia servitù, quando di già il romore del vostro nome immortale avea scossa l’Italia e di là delle Alpi erasi ancora udito. Ma’ non prima d’ora (ciò che ho sempre sommamente desiderato) ho potuto con un pubblico monumento attestarvi la mia profonda venerazione e stima della vostra grande virtù me mi si è al presente offerta l’opportunità di fare.
Tra le penose e moleste cure, tra gli strepiti e romori del foro, ho fatto una pruova delle mie deboli forze in una difficile impresa, quale e quanta per l’appunto si è una regolare tragedia. Ed avendone una formata, come per saggio, ho ardito di presentarla all’augusto ed incorruttibile tribunale de’ dotti, de’ quali le discrete correzioni le potranno in una ristampa procurare quel pregio, che ora per sé non ha. Le mie forensi occupazioni mi fanno sperare un compatimento umano:
Haec quoque, quae facio, iudex mirabitur aequus,
Scriptaque cum venia, qualiacumque leget.
Or, qualunque ella pur siasi, io ve la presento ed offro per segno e testimonio del mio grande ossequio e devozione.
Ma perché il dono non fosse così picciolo di mole, come é pur di valore, alla tragedia aggiunsi la mia orazione latina, anni addietro data alla luce, della vittoria moscovita, nell'arcipelago riportata contro l'ot-tomana potenza, ed altresì la lettera, onde col dono di una medaglia mi onorò il signor Domasnev, presidente di quella Imperial Accademia di Pietroburgo.
Or altra cosa a soggiunger non mi rimane. Forse dovrei, secondo il volgar costume di coloro che fanno le dediche, intessere il vostro elogio? Ma il vostro solo nome compiutamente lo fa. Esso ne desta l’idea dell’entusiasta amico dell’uomo, dell’eloquente e profondo politico, di colui finalmente che forma la felicità e la delizia degli amici ed è l’oggetto della stima de’ generosi allievi delle Muse; e, se questo a grandi uomini altresì conviene, io dirò del mio culto ancora. Onde soverchia sarebbe ogni qualsiasi lode.
Piacciavi adunque di rimirare non la viltà del dono, ma l’animo di chi vel presenta, mentre io ripieno della nobile idea della vostra ami-cizia (mio inestimabile pregio), mi annunzio per sempre
di V. E. Devotiss. obligatiss. servidore Francesco Mario Pagano

FONTE: F. M. PAGANO, Gli esuli Tebani, Napoli, s.e., s.d., pp. I-III

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